Davanti ai giudici una torbida storia di amori, di attentati, delitti e veleno di Filiberto Dani

Davanti ai giudici una torbida storia di amori, di attentati, delitti e veleno Il dibattimento si è iniziato alla corte d'assise di Pisa Davanti ai giudici una torbida storia di amori, di attentati, delitti e veleno Quattordici gli imputati ma solo cinque (tre uomini e due donne) detenuti - Questi ultimi sono accusati di due omicidi, di occultamento di cadavere e detenzione di materiale esplosivo - Si accusano a vicenda (Dal nostro inviato speciale) Pisa, 9 maggio. Corte d'assise di Pisa. Il processo riguarda una storia di bombe, di torbidi amori, di veleno e di morti. Sul banco degli imputati siedono 14 persone, cinque delle quali detenute. Queste ultime, tre uomini e due donne, sono: Alessandro Corbara, 34 anni Glauco Michelotti, 40 anni; Vincenzo Scarpellini, 35 anni; Elsa Serragli, 47 anni, e sua figlia Paola, 20 anni. I capi d'accusa parlano di due omicidi, di occultamento di cadavere, di detenzione di materiale esplosivo, di danneggiamento e di procurati aborti. C'è un sesto imputato, Piero Michelozzi, 68 anni, che deve rispondere di concorso in omicidio, ma ha ottenuto la libertà provvisoria perché affetto da una grave malattia. Gli altri otto imputati, tutti a piede libero, sono chiamati a rendere conto di reati minori, quali, ad esempio, il favoreggiamento. Gli omicidi E' una storia complessa, ambigua, scabrosa. Vediamo, capitolo per capitolo, come è nata, come è cresciuta e chi sono i protagonisti. Il primo omicidio. A Marina di Pisa, la notte del 13 febbraio 1971, una carica di «cheddite» fa saltare in aria la macelleria di Aldo Meucci. Una scheggia colpisce un passante, lo studente Giovanni Persoglio Gamalero, 29 anni, padre di due bambine, che muore dissanguato sul marciapiede. La polizia accerta (ma non va oltre) che gli attentatori hanno voluto dare una «lezione» al macellaio perché aveva tenuto aperto il negozio in occasione di uno sciopero svoltosi poco tempo prima. Il secondo omicidio. Tre mesi dopo, la notte del 19 maggio 1971, un entomologo va a caccia di farfalle sul monte Castellare, alle spalle di Pisa. E' appostato dietro un cespuglio (c'è luna piena), quando vede arrivare due uomini che trasportano un corpo. Incuriosito, li segue a distanza, senza farsi notare: i due uomini abbandonano il corpo in un anfratto e se ne vanno. L'entomologo corre in questura, racconta quanto ha visto, il corpo viene ritrovato. E' il cadavere di Luciano Serragli, 44 anni, proprietario del ristorante «L'archetto» di Pisa. La polizia ferma una decina di persone e, tra queste, il cacciatore di farfalle notturne riconosce i due uomini di monte Castellare. Sono Vincenzo Scarpellini e Glauco Michelotti, entrambi camerieri de «L'archetto»: nessuno dei due parla, ma vien fuori che il secondo ha avuto torbidi rapporti con la moglie e la figlia della vittima, Elsa e Paola Serragli (quest'ultima aveva allora meno di 17 anni). L'autopsia, frattanto, accerta che Luciano Serragli è stato ucciso con una siringa carica di curaro. Confidenza La confidenza. Passano altri due mesi e arriviamo al 19 luglio 1971. In piena notte, nello studio di un avvocato pisano, si svolge un incontro segreto, cui prendono parte uno studente, un magistrato della procura della Repubblica, funzionari di polizia. E' stato lo studente a volere questo incontro: rivela che alla vigilia dell'attentato contro la macelleria, Vincenzo Scarpellini gli ha confidato: «Vedrai quello che succederà domani: salterà in aria il negozio di un macellaio». Il magistrato non perde tempo e va in carcere a interrogare Vin¬ cenzo Scarpellini. Il cameriere nicchia per un po', poi, messo alle strette, fa il nome di chi ha organizzato l'attentato: Alessandro Corbara. Gli esplosivi. Alessandro Corbara, un ex comunista espulso dal partito, viene arrestato il 29 luglio 1971. Da sette anni è dipendente dell'amministrazione provinciale di Pisa, prima come geometra e poi come disegnatore presso l'ufficio tecnico. La polizia perquisisce il suo armadio e la sua scrivania e scopre tre chili di cheddite, undici detonatori, micce, congegni elettrici, istruzioni per fabbricare bombe e un fascicolo con uno studio per attuare la rivoluzione attraverso una serie di atti terroristici. Il ristorante «L'archetto». E' qui che Alessandro Corbara (nativo di Reggio Emilia, diviso dalla moglie, due figlie) faceva la sua propaganda politica. Il locale era diventato punto d'incontro per la sinistra extraparlamentare pisana, lo stesso proprietario, Luciano Serragli, era un estremista arrabbiato. Ed è qui, secondo l'accusa, che sarebbe stato preparato l'attentato alla macelleria, attuato poi dal geometra rivoluzionario, dai due camerieri e da Piero Michelozzi, un anziano pescatore. Il proprietario sapeva dei preparativi, ma era stato escluso dall'azione perché non dava fiducia: era un uomo collerico, malato, dedito al bere. Ogni tanto veniva colto da crisi di fegato, per lenirle doveva fare iniezioni di Talofen: gliele praticava Vincenzo Scarpellini, che prima di diventare cameriere era stato infermiere all'ospedale pisano. Il curaro. Perché l'eliminazione di Luciano Serragli? Ecco la spiegazione fornita dall'accusa: dopo l'attentato, alle orecchie del proprietario del ristorante giungono sgradevoli voci circa una tresca di sua moglie e sua figlia con Glauco Michelotti. Le voci dicono anche che la ragazza, rimasta incinta per due volte, aveva subito pratiche abortive. Scenate Luciano Serragli inizia a incupirsi, si ubriaca sempre più spesso, fa continue scenate alle due donne. E si scava la fossa, perché non perde occasione di gridare che un giorno o l'altro manderà tutti in galera, che racconterà dell'attentato, che indicherà nomi e cognomi. Accade così che la sera del 19 maggio 1971, allorché viene colto da una crisi epatica, si busca un'iniezione che non è di Talofen ma di «Myothenlis», un farmaco a base di curaro prodotto esclusivamente per le sale chirurgiche degli ospedali, dove viene adoperato in dosi minime come anestetico. Il processo. Dice l'accusa: «La decisione di uccìdere Luciano Serragli è nata da una convergenza di moventi ». Ecco quindi, per la morte del proprietario del ristorante, la prima imputazione di concorso in omicidio premeditato nei confronti del geometra, dei due camerieri e delle due donne. Per la morte dello studente Giovanni Persoglio Gamalero, seconda imputazione di concorso in omicidio sotto il profilo del dolo eventuale («conseguenza non voluta dai responsabili dell'attentato alla macelleria») nei confronti dei tre uomini e di Piero Michelozzi. Al processo, giunto oggi alla terza udienza, sono stati interrogati i due camerieri de «L'archetto». Hanno negato tutto, si sono accusati l'un l'altro per l'omicidio di Luciano Serragli, la responsabilità dell'attentato dinamitardo è stata attribuita ad Alessandro Corbara. Glauco Michelotti: «La sera del 19 maggio 1971, quando Elsa mi chiamò nella sala da pranzo del ristorante, Luciano Serragli era già morto e accanto a lui c'era Vincenzo Scarpellini. Vidi anche una siringa: era posata sopra un tavolo. Proposi di portare il corpo all'ospedale, ma Elsa non volle e mi sussurrò all'orecchio: "Guarda che l'ho fatto per te". Dell'attentato non so niente». Vincenzo Scarpellini: «Falso. Fui io ad essere chiamato quando Luciano Serragli era già morto. Mi limitai a collaborare nel trasporto del cadavere sul monte Castellare, ma fu una collaborazione passiva, perché Glauco Michelotti mi ci aveva costretto con le minacce. L'attentato? Posso dire di aver visto Alessandro Corbara preparare la bomba. Anzi: la portai io da casa sua fino alla sua macchina. Il resto, per quello che ne so, lo fece da solo». La prossima udienza martedì prossimo: sentiremo Alessandro Corbara, il geometra rivoluzionario. Filiberto Dani

Luoghi citati: Pisa, Reggio Emilia