Processo Valpreda: respinto nuovo tentativo di bloccarlo di Guido Guidi

Processo Valpreda: respinto nuovo tentativo di bloccarlo Movimentata udienza alle assise di Catanzaro Processo Valpreda: respinto nuovo tentativo di bloccarlo La parte civile aveva chiesto che, uniformandosi all'ordine della Cassazione, i giudici revocassero l'ordinanza di proseguire il dibattimento - Ascoltati due testi - Il dott. Improta, della questura di Roma, afferma che le indagini furono svolte a destra e a sinistra - Un'amica di Valpreda conferma l'alibi: l'imputato era a letto (Dal nostro inviato speciale) Catanzaro, 7 maggio. Nuovo tentativo di bloccare il processo a Pietro Valpreda, nuova risposta negativa della Corte d'assise. Il dibattimento ha ripreso il suo cammino: ma non sembra che i giudici possano mantenere facilmente l'impegno di andare avanti con speditezza. Ad ogni passo salta fuori un ostacolo più o meno giustificato, o imprevedibile. Ieri il blocco di Eboli, tagliando la Calabria dal resto della penisola, ha avuto come conseguenza che l'udienza si chiudesse così come era cominciata perché erano assenti alcuni protagonisti rimasti forzatamente a Roma; oggi, un avvocato di parte civile ha cercato di convincere la Corte d'assise ad ammettere di aver sbagliato «ribellandosi» alla Cassazione, mentre un avvocato della difesa ha proposto di eliminare qualsiasi eventuale pericolo per la vita del processo dichiarando inammissibile il ricorso del pubblico ministero contro la decisione di giudicare Valpreda separatamente da Freda e Ventura. Richiesta, dunque, della parte civile, oggi, perché venisse revocata l'ordinanza con cui la Corte si è ribellata alla Cassazione; tentativo della difesa di evitare che la Cassazione possa prendere in esame il ricorso del pubblico ministero. Per la discussione sono volate via un paio d'ore: l'accusa, in sostanza, ha chiesto ai giudici di far atto di sottomissione ai «senatori del diritto»; la difesa li ha invitati, invece, ad accentuare i toni della loro rivolta. La Corte d'assise ha dato torto agli uni e agli altri: non ha revocato l'ordinanza sottolineando, quindi, di essere convinta che non ha sbagliato; non ha dichiarato inammissibile il ricorso del pubblico ministero riconoscendo che questo è un problema la cui soluzione è lasciata alla Corte suprema. Sembrava che, a questo punto, il processo potesse riprendere il suo cammino quando, invece, l'avvocato Azzariti-Bova, di parte civile, ha sollevato un'altra questione: disporre subito un confronto tra Valpreda, Merlino e Borghese; interrogare Umberto Improta, capo dell'ufficio politico della questura di Roma, soltanto dopo che a Catanzaro fossero giunti gli atti dell'istruttoria per Freda e Ventura. Era, in sostanza, una proposta che nascondeva un gravissimo pericolo: l'eventualità di un rinvio del dibattimento per almeno un mese. E' stato un altro avvocato di parte civile, Claudio Gargiulo, ad opporvisi. «E' una richiesta assurda», ha commentato. Soltanto a mezzogiorno è stato possibile iniziare l'esame del primo testimone. Umberto Improta ha 40 anni, è vice questore, dirige ora l'ufficio politico della questura di Roma. Ma nel dicembre 1969 era il braccio destro del dottor Provenza ed aveva l'incarico di controllare i gruppi extraparlamentari di destra della capitale. Sapeva e sa tutto su Mario Merlino, ma si è interessato anche di Pietro Valpreda. Si è preoccupato di difendere la legittimità del criterio con cui furono compiute le indagini dopo la strage di Milano e di sostenere, ovviamente, che si arrivò agli anarchici romani senza preconcetti. Presidente: «E' vero che Merlino era l'informatore della polizia?». Dott. Improta: «Non è esatto. Gli avevamo chiesto se voleva fornirci informazioni quando cominciarono a scoppiare le bombe sui treni ma Merlino si rifiutò. Dopo l'attentato del 12 dicembre 1969, fu fermato e io lo trovai in questura, dove era stato convocato anche Stefano Serpieri, che conosceva molto bene gli ambienti di destra. Né l'uno né l'altro mi riferirono circostanze importanti. Indagai anche su Stefano Delle Chiaie, noto attivista di destra; ma mi resi conto che era completamente estraneo agli attentati perché controllato a vista da tempo. Merlino mi accennò soltanto all'esistenza di un deposito di esplosivo lungo la via Tiburtina: contestai la circostanza a Valpreda che me la confermò». Valpreda (intervenendo): «Mi limitai a dire che Delle Chiaie mi aveva parlato di questo esplosivo». Esiste una nota del Sid (servizio del controspionaggio) in cui si accenna che la responsabilità degli attentati, forse, era da attribuirsi a Merlino. Questa indicazione non è mai stata tenuta in alcun conto dalla polizia. Per quale motivo? Il dottor Improta ha replicato con una battuta ad un argomento che ha dato origine a molte polemiche e a molti sospetti: «Era zeppa di contraddizioni e la trovammo inutile. Facem¬ mo, comunque, alcune indagini negli ambienti dell'Oas e dell' "Avanguardia nazionale", che è un'organizzazione di estrema destra: ma non trovammo nulla di interessante». Esiste anche — la circostanza era già stata contestata all'allora capo dell'ufficio politico, Bonaventura Provenza — un'indagine tecnica compiuta dalla polizia tedesca sui resti della borsa nella quale erano gli ordigni esplosi a piazza Fontana: per quale motivo questa indagine, disposta dall'Ufficio affari riservati del ministero dell'Interno, è stata inviata in archivio? «Non è vero — ha replicato il dottor Improta con notevole nervosismo —: io non ho inviato in archivio nulla; ho fatto sistemare la relazione della polizia tedesca nel fascicolo; d'altro canto, sapevo che il magistrato romano aveva disposto una perizia tecnica e, comunque, non ritenni opportuno avvertire il giudice». «Ma chi avrebbe dovuto comunicare l'esistenza di questa relazione al magistrato?», ha insistito l'on. Malagugini. Dott. Improta: « Prima dovrebbe farmi un'altra domanda...». On. Malagugini: «Intanto risponda a questa mia richiesta...». Dott. Improta: « Doveva pensarci il mio collega del ministero dell'Interno». On. Malagugini: «E quando ha veduto il telex con cui, cinque giorni dopo la strage di Milano, la questura di Padova avvertì di avere scoperto il negozio dove presumibilmente erano state acquistate le borse in cui erano stati sistemati gli ordigni esplosivi?». Dott. Improta: «Ho visto questo telex, che non era diretto a noi, molto tempo dopo ». Elena Segre è l'altra testimone che la Corte d'assise oggi ha avuto il tempo di interrogare: costituisce un elemento abbastanza importante per l'alibi di Valpreda. Sostiene di avere veduto a Milano l'anarchico la domenica 14 dicembre 1969: era a letto, indisposto. Secondo l'accusa, quel giorno, Valpreda era invece a Roma in partenza per rientra¬ re a Milano. Mentre tutti i familiari di Valpreda sono stati incriminati per falsa testimonianza, ad Elena Segre, che pur ha riferito le stesse circostanze, è stato riservato un trattamento di favore: le è stato concesso di venire interrogata come semplice testimone. Elena Segre è una amica d'infanzia di Pietro Valpreda e gli è rimasta sempre legata da grande affetto. Abita nel medesimo palazzo in cui vivono i genitori di Valpreda. Domani, altra udienza prima della lunga vacanza. Viene interrogato Salvatore Ippolito, l'agente dell'Ufficio politico che lasciò credere a Valpreda d'essere anche lui un anarchico e riuscì ad introdursi nell'ambiente del circolo «22 Marzo» captando confidenze ed indiscrezioni. Oggi, dopo alcuni anni, per la prima volta Valpreda lo ha intravisto attraverso lo spiraglio di una porta: «Spione!», gli ha detto. L'avvocato Calvi lo ha preso per un braccio e lo ha trascinato via con forza. Guido Guidi