Come in quel giorno di Cavallero

Come in quel giorno di Cavallero Come in quel giorno di Cavallero (Nostro servizio particolare) \ Milano, 3 maggio. Una banca assaltata alle 12,30 in pieno centro; un bandito in fin di vita colpito da proiettili di mitra e pistola; una giovane ferita da un colpo di rivoltella; due ostaggi in balìa dei malviventi per oltre due ore. Raffiche sparate di tetto in tetto; quasi duemila persone terrorizzate, assiepate sulla piazza, nelle strade circostanti, alle finestre; oltre quattrocento agenti fra polizia, carabinieri, finanzieri, vigili urbani, pompieri; traffico interrotto per più di quattro ore. Infine tre banditi arrestati da funzionari e agenti della « mobile ». Era dal 25 settembre 1967, dall'epoca cioè del tragico inseguimento per le strade degli uomini della banda Cavallero (la sparatoria costò la vita a quattro cittadini) che a Milano non si svolgeva una caccia all'uomo così clamorosa e drammatica. Tutto comincia a mezzogiorno e mezzo in piazzale Cadorna (dove sorge la stazione delle Ferrovie Nord, a quell'ora particolarmente affollata). Nello stabile contrassegnato col numero 15 c'è un'agenzia del Credito Italiano: tra impiegati e clienti ci saranno una ventina di persone. Entrano tre uomini, vestiti impeccabilmente, giacca e cravatta; uno ha il volto celato da una calzamaglia, è disarmato e tiene fra le mani un sacchetto di carta marrone (per mettervi le banconote); gli altri, a viso scoperto, spianano le pistole (una calibro 7,65 e una calibro 9). Intimano « tutti fermi, con la faccia al muro »; poi si rivolgono a un'impiegata, Paola Consonni: « Sdraiati e apri 'a cassaforte ». Sotto il tiro di una rivoltella la giovane esegue. E' in questo trambusto che scatta il dispositivo di allarme. Le testimonianze non sono concordi: forse il pulsante collegato alla centrale operativa della questura è stato premuto inavvertitamente dagli stessi banditi, forse dal cassiere; comunque non trascorrono cinque minuti e arrivano in piazza Cadorna le pantere della volante. Un agente armato di pistola entra nella banca; vede che i banditi sono tre e torna fuori a prendere il mitra. I malvi¬ venti non si accorgono di nulla e lui può appostarsi a una entrata secondaria. Intanto, un altro poliziotto si affaccia alla porta principale. I rapinatori si accorgono di queste presenze e i due agenti sparano. Quattro proiettili colpiscono un bandito. Un colpo di rivoltella raggiunge la Consonni al gluteo sinistro, guarirà in 15 giorni. A questo punto gli altri due rapinatori vorrebbero fuggire, ma è impossibile: i poliziotti stanno irrompendo nel locale. Si dirigono allora verso il retro, dove ci sono altri due dipendenti della banca: Angelo Manenti 62 anni, abitante a Milano in via Castellini 12, addetto alle pulizie, e Flavio Torchio, 33 anni, residente in via Zante 21, impiegato. I banditi consegnano al più anziano il sacco con i soldi e, pistole in pugno, facendosi scudo dietro agli ostaggi li costringono a salire le scale dello stabile, in cerca di un posto dove rifugiarsi. Arrivano al sesto piano: c'è un attico appartenente all'architetto Rocca, in quel momento fuori per lavoro. In casa non c'è nessuno, solo un gatto. Per raggiungere la mansarda bisogna scavalcare un muretto, alto un metro e mezzo e quindi attraversare una terrazza. Un ostaggio, il Manenti, incespica, cade, i banditi lo sollevano di peso e lo trasportano dall'altra parte. Quindi, sfondano la porta a vetri e si asserragliano nell'appartamento. Comincia la caccia all'uomo. Decine di « pantere » e di « gazzelle » facendosi largo con il fischio delle sirene tra il traffico dell'ora di punta affluiscono sulla piazza. Un elicottero dei carabinieri prende a sorvolare l'isolato. Arrivano il questore, dott. Massagrande, 11 capo della Mobile, dott. Pagnozzi, il tenente colonnello Rossi dei carabinierin, i funzionari di polizia Colucci, Serra, i marescialli Oscuri e Siffredi. Nella piazza, fra la gente, ressa e caos, pianti, urla, svenimenti. Corrono voci e testimonianze discordi, stravolte: i banditi sono stati « visti » dovunque: in un bar, mentre fuggivano, in questo e quel portone, sui tetti. Qualcuno afferma che hanno preso in ostaggio una bambina. Finalmente viene identificato il nascondiglio: salgono due funzionari e i due marescialli. Alle 13 cominciano le trattative. Il dott. Serra invita i banditi ad arrendersi, spiegando come la loro posizione si aggraverebbe, rimanendo chiusi lì con gli ostaggi. I due rifiutano, affermano che parleranno soltanto quando ci sarà un magistrato. Arriva il magistrato, il sostituto procuratore Dito Tucci, ma ai banditi non basta più: adesso esigono la presenza di un difensore e chiedono di interpellare l'avv. Sotgiu. Viene loro risposto che il legale abita a Roma, non è facile farlo giungere immediatamente a Milano. Si propongono altri nomi e i due accettano Giuseppe Prisco, presidente dell'ordine degli avvocati milanesi. Lo si manda a prendere con una « pantera ». Dapprima i banditi non credono che sia l'avv. Prisco personalmente a trattare; poi uno dei due, tifoso interista, riconosce la voce del legale, che è vice presidente della squadra, e accetta di cominciare a trattare. L'elicottero copre le voci, deve allontanarsi. Dopo un'ora, i quattro poliziotti si offrono di entrare al posto degli ostaggi: non sono armati, tutti e quattro in maglietta e mutande, dalla porta a vetri i banditi li possono vedere. Ma la proposta non viene accettata. E si continua a trattare mentre dalla folla arrivano ondate di urla, clamori. L'avv. Prisco ribadisce che rimanendo lì aggraverebbero la loro posizione, promette che sarà steso « un rapporto favorevole », che sarà concessa l'attenuante dell'essersi arresi. Man mano pare che i due siano sempre più disposti a cedere. E quando i poliziotti accettano di farli uscire, a viso coperto (l'uno con un casco da motociclista e l'altro con una tovaglietta da the, trovate entrambe nell'appartamento) i due si arrendono. In questura si è appreso che i tre rapinatori erano giunti da Torino, in treno, scendendo a mezzogiorno alla stazione centrale e recandosi col metrò in piazzale Cadorna. Se la rapina si fosse svolta secondo le loro previsioni allo stesso modo si sarebbero allontanati dalla banca. Hanno spiegato di ritenere il metrò il mezzo più sicuro perché passa un convoglio ogni due minuti. Il bandito ricoverato con prognosi riservata è Sergio C'reglia, di 24 anni, nato a Pola d'Ischia e residente a Bergamo. In tasca, aveva una carta d'identità che è risultata rubata a Giussago (Pavia) e intestata a Felice Boarino, nato nel '37 a Barletta e residente a Milano in via Alatri 10. Generalità che corrispondono ad un cuoco incensurato e totalmente estraneo alla vicenda. Il Creglia risulta evaso 111 settembre 1973 dall'ospedale Amedeo d'Aosta di Torino, dove era piantonato in attesa di giudizio, per rapina. Nell'assalto di oggi impugnava una cai. 9. Gli altri due sono: Giovanni Spadavecchia, nato nel '51, abitante a Torino in via Parenzo 95. (Questi, disarmato, teneva il sacco delle banconote) e Donato Mastro del '44 residente nel capoluogo piemontese, in corso Salvemini 25-11 (armato con la cai. 7,65). Nell'aprile del '70, il Mastro rapinò i magazzini Sma di corso Francia. Ornella Rota Milano, Poliziotti corrono verso la casa dove sono asserragliati i banditi (Ansa)