Cin Cin che festa primitiva di Marco Aime

Cin Cin che festa primitiva Cin Cin che festa primitiva Marco Aime ^ RA tre giorni le nostre ^ strade, le nostre piazze saranno invase da scoppi di petardi, illuminate dabe cascate colorate dei fuochi d'artificio, riempite dagb urb deba gente. Nelle case e nei ristoranti lo schiocco sordo è morbido dei tappi di spumante segnerà la fine del conto aba rovescia, che dovrebbe indicarci, con precisione tecnologica che significa modernità, la fine del vecchio anno e l'inizio del nuovo. Qualcuno getterà dabe finestre vecchie carabattole casalinghe, rompendo, assieme a piatti e bicchieri la continuità tra passato e futuro, fl Capodanno è una festa di rottura, segna fine e inizio di una linea temporale che noi abbiamo deciso rinnovarsi ogni dodici mesi. Abbiamo attribuito un numero ordinale o ogni segmento di tempo, che chiamiamo anno ed è su questa sequenza che misuriamo b nostro passato e progettiamo b futuro. Il tempo per essere misurato, non può essere una linea che fugge in avanti, ma deve dare qualche appigbo di ripetizione. L'unico tempo che si può suddivi, dere è b tempo che ritorna, cbe si ripresenta, ciebco. E nel misurarlo, come fosse una cosa concreta di fatto creiamo b tempo. Fino a cbe non abbiamo operato questa suddivisione non c'è Jempo da misurare. E tra i diversi punti che abbiamo stahibto, quebo di fine anno ricopre un ruolo particolare. Italo Calvino, a proposito del cambio di mibennio, scrìsse die nel nuovo secolo non avremmo trovato nuba di più di quanto ci avessimo portato. Ma questa realistica e disincantata affermazione non servì certo a ridimensionare queb'eccitazione cobettiva che caratterizzò H Capodanno del consideriamo «primitive» o arretrate, riappare nebe nostre librerie, preceduto da una brillante introduzione di Edoardo Sanguinetì, un classico deb'etnologia italiana: La grande festa, di Vittorio Lanternari, classe 1918, uno dei padri fondatori deb'etnologia itabana (Dedalo, pp. 606, «32). Uscito nel 1959, questo testo prende in considerazione la quasi universabtà di celebrazioni rituab che segnano l'inizio di un nuovo ciclo temporale. Forse eccede in generosità Sanguineti nel definire questo libro «un capolavoro del '900», sicuramente si tratta di un'opera di grande erudizione e che ha avuto b pregio di tentare un'analisi diversa rispetto agb schemi dominanti deb'epoca. Infatti, se in qualche caso b testo dì Lanternari subisce l'ingiuria degb anni, per esempio neba classificazione un po' schematica debe «civbtà» e neb'attribuire abe stesse una coerenza culturale eccessiva, per altri versi colpisce la critica aìTìrrazionalismo, ancora diffuso tra gb antropologi deb'epoca, che relegava ogni espressione culturale del¬ le popolazioni altre in una sfera prelogica, estranea aba civbtà occidentale. Invece dì propoire una fenomenologia dei rituab, dice Lanternari, che peraltro è stato uno dei primi etnologi itabani di impostazione marxista, occorre piuttosto ricostruirne la storia e le basi sociah. L'uomo non è schiavo di archetipi, come molti, influenzati daba psicologia, pensavano abora, ma è b protagonista costruttore deba propria cultura. Invece di andare alla ricerca dì una presunta mentalità primitiva, l'autore si concentra sui modelb di produzione, offrendo una copiosa serie di esempi etnografici, com'era un po' uso fare nei testi italiani di etnologia di quel!' epoca. Partendo dabe società dì caccia-raccolta, Lanternari definisce b Capodanno come un rito degb alimenti, che nasce dab'osservazione della periodicità naturale debe stagioni, che risulta fondamentale per l'acquisizione degb alimenti. Così la periodicità rituale si adegua a quella della natura, drammatizzando, in alcuni casi di popolazioni che vivono in climi estremi, il cambio di stagione. Per esempio, l'accensione cerimoniale di fuochi presso alcune popolazioni del Nord, sancisce, secondo l'autore, l'attesa di giornate più luminose. Più complessa la situazione nebe società basate sub'agricoltura. Anche qui b ciclo solare, legato a quebo debe piogge, costituisce la base di riferimento per determinare la ripetitività del ciclo annuale. Tale sistema di produzione conduce però a insediamenti stabbi, a un accumulo di risorse alimentari, aba gerarchizzazìone deba società con una conseguente stratificazione sociale. L'offerta di beni, che nel caso dei caccìatori-raccogbtori era rivolto abe forze deba natura, sì trasforma nebe società agricole storiche, in molti casi, in offerta al sovrano, spesso considerato sacro o divino oppure abe divinità. Un caso particolare, secondo Lanternari, è quebo dei pastori nomadi, per i quab b periodo d'inizio di un nuovo ciclo coincide con la primavera. È infatti in questa stagione che, dopo la durezza dèlia vita invernale pati¬ ta da uomini e animali, le famigbe si preparano aba nascita dei nuovi armenti; Aba fine di questa ampia panoramica etnografica, Lanternari ci mostra come la festa di Capodanno, intesa come celebrazione di fondazione di un nuovo ciclo, costituisce un «grande complesso religioso proprio di civbtà ai più svariati bvelb culturali». Muta forma e significato e funzioni, ma racchiude in sé un elemento che accomuna popob quanto mai distanti tra di loro: la necessità di scandire b tempo e di ritualizzare alcune di queste scansioni in chiave rigenerativa. Nebe sue varie espressioni, b Capodanno propone sempre un rapporto dialettico tra sacro e profano. Il sacro è rappresentato dabe offerte abe divinità, una o plurime esse siano, b profano sfocia in molti casi nell'orgia, intesa come stato di esaltazione psichica che conduce aba trasgressione. Boscimani e pigmei, dice l'autore, raggiungono l'esaltazione grazie a bevande eccitanti, gb andamanesi con rumori assordanti, gli aborigeni au¬ straliani con musica e ritmo. Dopo aver fatto con Lanternari b «giro lungo», che caratterizza l'esperienza antropologica (nonostante l'autore dichiari di aver lavorato soprattutto a tavolino), si ritoma a casa. E tra poco è Capodanno. La dimensione religiosa è pressoché scomparsa in questa celebrazione. Nessuna offerta a nessuna forza naturale, sovrano, divinità. Il senso di rigenerazione però rimane, magari lo si sottolinea fragorosamente spaccando vecchie suppebettib. Rimane nebe speranze di un futuro migbore. Per questo festeggiamo l'evento. Proviamo però, per un istante, a rileggere i metodi utilizzati dai popob «primitivi» per raggiungere l'esaltazione che prelude alla dimensione oi^iastica. Pensiamo a un nostro tipico cenone di Capodanno: bevande, rumori, ritmi e suoni, eccessi alimentari ... Scriveva Walter Benjamin: «Non c'è mai stata un'epoca che non si sia sentita, nel senso eccentrico del termine, "moderna"», ma riusciamo davvero a pensarci così lontano da quelb che chiamiamo primitivi? BRINDISI E FUOCHI D'ARTIFICIO, TAVOLE IMBANDITE, MUSICHE, STREPITI ED EBBREZZE SEGNANO IL PASSAGGIO TRA IL VECCHIO E IL NUOVO ANNO, MARCANO LA ROTTURA TRA PASSATO E FUTURO, UN'ECCITAZIONE COLLETTIVA CHE CI SEMBRA TANTO MODERNA MA CI ACCOMUNA A RITI PRIMORDIALI COME RACCONTÒ VITTORIO LANTERNARI IN UN CLASSICO DELL'ETNOLOGIA, ORA IN UNA NUOVA EDIZIONE

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