MENO RIGIDO PIÙ' EUROPEO di Franco Bruni

MENO RIGIDO PIÙ' EUROPEO MENO RIGIDO PIÙ' EUROPEO Franco Bruni LE idee di riforma del Patto di Stabilità e Crescita avanzate da Berlusconi non hanno trovato accoglienza favorevole a Bruxelles. Vi è il sospetto che siano addirittura improponibili in quanto, implicando una modifica strutturale del limite del 30Zo del rapporto deficit/pil, non riguardano il Patto, bensì il Trattato, che può essere modificato solo da un nuovo Trattato. Il Patto, lo abbiamo detto più volte, andrebbe ripensato e modificato. Ma con rigore istituzionale. Il nostro non è forse, il Paese più adatto per guidarne la revisione. Da un lato perché l'alto debito ci toglie forza contrattuale e rischia di rendere più rigida la posizione di altri Paesi. Dall'altro perché, anche ultimamente, non mostra un processo di decisione delle imposte e della spesa pubblica particolarmente lineare, tempestivo, rigoroso e credibile. Può sembrare che stiamo solo cercando aiuto per uscire dalle nostre «impasse» politiche inteme. Rimane vero che, se il Patto fosse rivisto adeguatamente, ima disciplina di bilancio che non sia di sacrificio aer la crescita sarebbe più facile anche per l'Italia. Rivedere il Patto significa dargli, in vari modi, maggiore flessibilità e adattabilità a situazioni nazionali diverse e a esigen- ' ze di riforme strutturali costose nel breve ma portatrici di più crescita e migliore equilibrio finanziario nel mediolungo. Perché il Patto cambi in questa direzione è però indispensabile che venga gestito con ampia discrezionalità, cioè con la possibilità di giudicare senza appello la qualità delle poste dei piani di finanza pubblica presentati dai Paesi membri. Ma se la discrezionalità è lasciata ad accordi opportunistici e occasionali tra governi diventa, come negli ultimi anni, uno «scambio di indulgenze» che può essere utile politicamente ai governanti del momento, ma non alla stabilità finanziaria e alla crescita economica dell'Unione. Per essere virtuosa la discrezionalità richiede l'accentramento dei poteri di amministrazione del Patto e la cessione di sovranità nazionale nelle politiche di bilancio a favore di un'autorità centrale indipendente e responsabile. Quest'ultima dovrebbe occuparsi anche di rendere più omogenee e rigorose le procedure contabili con cui i Paesi fanno i bilanci, e stimano la loro evoluzione nel tempo e l'effetto dei provvedimenti che adottano. L'equivoco che inceppa la riforma del Patto è proprio questo: chi chiede con più insistenza flessibilità del Patto è anche meno propenso a cedere sovranità alle autorità comunitarie. Senza la garanzia di tale sovranità un Patto più flessibile significa solo meno disciplina, meno stabilità e quindi anche meno crescita di medio-lungo. E' davvero simbolico che Berlusconi associ la proposta di riforma del Patto all'idea di una «guerra» da condurre a Bruxelles. Fino a che non ci sarà disponibilità dei Paesi ad aumentare i poteri di finanza pubblica della Commissione, o di organi appositamente predisposti entro il suo raggio d'azione e sottoposti a controlli del Parlamento, hanno ragione i più conservatori, ha ragione la Bce quando scoraggia riforme del Patto che non possono che apparirle opportuniste e pericolose per la stessa stabilità monetaria. franco.bruni@uni-bocconi.it

Persone citate: Berlusconi

Luoghi citati: Bruxelles, Italia