Fine del protezionismo ?

Fine del protezionismo ? Fine del protezionismo ? Nei prossimi mesi si riunirà in America la conferenza mondiale sul commercio internazionale per studiare le condizioni atte a rimuovere le misure che ostacolano il libero esercizio del commercio estero. Si spera che il nostro Paese potrà parteciparvi insieme con quelli più interessati. Ma è esso preparato di fatto ad un tale passo che avrà una eccezionale importanza per l'economia mondiale? Preparato come Inghilterra e America, sulla base della formula trumaniana dell'* accesso in condizioni paritetiche al commercio e alle materie prime del mondo » ; come il Canada con la. riduzione delle tariffe e l'abolizione dei dazi ad vaiorem; e infine come la Francia, che ha dichiarato di portare al minimo i diritti doganali? Certo, noi sappiamo, per angosciosa esperienza, che senza commercio estero non si ricostruisce. Tuttavia, molti settori economici sembrano paventare la fine di ogni protezionismo, e ne denunciano il pericolo. Le stesse categorie operaie meglio organizzate mostrano alquanto scetticismo per le basse tariffe e la sparizione di ogni forma protettiva. Si chiedono: « come potremo resistere alla concorrenza internazionale?». Il problema è assai complesso e gli elementi di giudizio per le soluzioni più diverse sono a portata di mano. Storicamente, la nostra politica protezionista è stata la maggior causa della schiacciante inferiorità di quasi tutte le nostre produzioni, costrette in nosizioni estremamente vulnerabili per poco che si fossero allentate le misure doganali di difesa. Artificiosi balzelli ne derivarono per, i contribuenti e per i consumatori. Ne soffrì l'agricoltura per l'alto costo delle macchine agricole e dei concimi e, indirettamente, per le misure di ritorsione dei paesi esteri con dazi quasi proibitivi alle nostre esportazioni agricole. E pure taluni rami dell'industria (come la meccanica) ne sentirono grave peso, sotto forma di un rincaro elevatissimo dei costi di produzione per le ferrovie, le navi, le tranvie, le auto, le costruzioni edili. Pochi soltanto i privilegiati: gli agrari « pesanti », come i bieticultori e gli agricoltori « marginali », gli industriali « politicanti », come i siderurgici e i chimici strettamente legati alla Direzione generale delle dogane, gli enti statali di monopolio, e disciplina del commercio estero, molti tuttora in funzione. Un punto però è chiaro: che se si dovrà mantenere qualche forma di protezionismo, questa dovrà essere giustificata con dati incontestabili. Non gli interessi particolaristici dei trust o della burocrazia traffichina, bensì pochi principi chiari c generali: la prosperità e la piena occupazione di larghi strati della popolazione, l'equilibrio della bilancia dei pagamenti, la ragione fiscale, la preferenza ai beni strumentali su quelli di consumo Uno sguardo alle 2500 voci della tariffa doganale del 1921 (modificata nel '23 e nel '32) mostra come l'antico protezionismo sia venuto meno per i diciannove ventesimi, se si considerano gli alti prezzi odierni. Oltre al 5 per cento di tassa di licenza sul valore importato (più l'imposta generale sull'entrata, l'I,30 per cento sull'ammontare del dazio pagato e i 30 centesimi per quintale di diritti di statistica), le importazioni pagano oggi per quintale una tariffa quasi trascurabile. Le carni congelate da 140 a 200 lire ; il frumento 45 ; gli oli vegetali 200; il cotone 200; le lane naturali 150; quelle lavate 320 ; i filati di lana 500 ; il ferro greggio 17,60; gli acciai comuni 14,30; i fili di ferro 200; il rame 14,70; le macchine utensili 150; quelle agricole 60 ; quelle per filatura 55; il carbone 0,50; il coke 3; la benzina 12; i lubrificanti 50; i concimi azotati 55; il nitrato d'ammonio per l'agricoltura 100 lire. Mai la pressione doganale è stata tanto leggera quanto al presente. Vogliamo considerare ciò come un punto fermo per l'avvenire o dobbiamo ritornare alle tntiche misure restrittive, ristabilendo il carico della pressione doganale ai nuovi livelli moneta ri? Nessuno, finora, in sede politica, si è espresso su questo importantissimo problema. Noi pensiamo che lo Stato dovrebbe risolutamente affrontare la nuova situazione accettandola nressochè interamente, poiché il suo compito non è quello di mostrare preferenza per questa o quella classe sociale, bensì di proteggerle tutte. Se il crollo monetario ha, quasi inavvertitatamente, portato l'economia nazionale a mettersi in condizione di accogliere i vantaggi del com¬ marpcrctrpzapceoegvgndtaddmtanfilebcp1LièodhcntrnlPplcgasPriltlmsdcisldndszrfmcpsegfidd mercio internazionale più ampio, sarebbe male pensare di « correre ai ripari », per rifare un'attrezzatura che ancora una volta colpirebbe a morte le desiderate correnti internazionali di traffico. Una sola obiezione potrebbe farai: che l'assenza del protezionismo precipitasse il Paese nella disoccupazione e nel malcontento e fosse contraria alla piena occupazione delle sue forze economiche. Ma questa ragione non è stata mai provata nè storicamente nè logicamente; arizi il nrotezionismo ha sempre reso più difficile il problema della totale occupazione. Il compito di_mantenere alta la domandi da totale di lavoro è certamente tra quelli più importanti di un governo moderno. Esso peraltro non significa innalzare i costi di tutte le produzioni, cui si andrebbe inevitabilmente incontro con una resipiscenza del protezionismo. Giovanni Demaria. l

Persone citate: Giovanni Demaria

Luoghi citati: America, Canada, Francia, Inghilterra