I nostri poveri P.G. di Ezio Bacino

I nostri poveri P.G. Il primo sorriso della Patria I nostri poveri P.G. Triste visione della banchina di Orano - Amari ricordi I campi infernali del Marocco e dell'Algeria • L'imbarco sull'incrociatore "Duca d'Aosta,, - Ecco Capri, finalmente e . (Nostra corrispondenza) ORANO, dicembre. L'incrociatore italiano Duca d'Aosta, dopo una notte di navigazione fortunosa attraverso la furibonda tempesta che aveva sconvolto le acque del Golfo del Leone, si accostava alla riva dell'Algeria, ad Orano, per una missione di fraterna pietà. .Sulla, grande banchina del portò' 'nella" "Vflttnif trasparve una grande massa umana, ma immota, bloccata in quadrati scaglioni con la fronte rivolta al mare. Pareva nella fermezza e nel colore grigio-cachi una massa di pietra, inanimata anch'essa. Il deserto dell'immenso piazzale cingeva i seicentocinquanta prigionieri italiani; e tutto intorno, a distanza, una rada corona di « tirailleurs » algerini con il mantello azzurro, il * tarbusch » rosso in testa ed il lungo tradizionale fucile francese imbracciato, circondava il blocco dei prigionieri i7n?noti e si(e?i«iosi, frapponendosi fra loro ed il mare, fra loro e la nave che si accostava alla banchina; fra loro e la prossima libertà che giungeva dopo tanti anni a bordo di uno scafo da guerra della patria che recava al picco la bella bandiera grande e nuova, fiammeggiante ancora come una speranza per chi non ha mai nella disperazione cessato di sperare. Da quanto tempo attendevano n immoti sulla banchina con gli occhi ancorati al mare? Dal la notte attendevano. Il loro lungo viaggio verso quella banchina di Orano era cominciato alcuni anni addietro dalla Tunisia, quando una marcia terribile di oltre 500 chilometri a piedi li aveva condotti dai campi di battaglia della Tunisia fino al campi maledetti dell'Algeria e del Marocco. Marcia di nove giorni senza rimangiare né bere, braccati dal marocchini che imbestialivano contro di loro con la violenza disonorante e con le lunghe baionette francesi, delle cui aguzze punte molti d'essi recano le tracce visibili sulle braccia e sulle gambe. Venivano dai campi di Alm-El-Hadyar, di Saida, dove oltre mille ufficiali erano alloggiati nella disertata caserma della Legione Straniera, dal maledetto campo numero 7 di Palat, l'inferno a 1300 metri sull'altipiano, di cui tutti i prigionieri parlano con terrore invocando che i fratelli siano liberati al più presto da quella gabbia dove tutti si ammalano, dove tutti sono o stanno dive- ndStaMndecittpFmsptgstpaDaqqptfOet n o o a i é i i e e e i e ga al di ri inila o, e- mi A ni n hr ra di eaa. la ro gli a o ò a hr nri e no le sallo elde in ato nendo tisici. Venivano ancora dai campi di Saint Denis du Sig, da Pont du Phas; dai lontani campi di Marrakesch nel Marocco e di Colomb-Bechar nell'Algeria, ultima staslone della linea transahariana, dove erano vissuti per cinque franchi al giorno nelle miniere 34 mila attendono ancora Dei 35.000 soldati ed ufficiali italiani ancora prigionieri dietro il filo spinato del tristi campi dell' Africa Settentrionale Francese, questo che attende muto la libertà è solamente II secondo magro scaglione, composto di 135 ufficiali e 518 sottufficiali e soldati. Un altro gruppo, a un di presso della stessa forza, è partito non molti giorni addietro dallo stesso porto di Orano a bordo di un altro incrociatore italiano, il Duca degli Abruzzi. E non è a dire quanto più agevole e quanto più. economico sarebbe questo ritmo di viaggi tra i porti dell'Africa francese e l'Italia se il porto d'Imbarco non fosse questo remotissimo di Orano che richiede due giorni e due notti di navigazione continua ed una spesa di trenta milioni ogni missione: pnirltà non vi è mezzo di trasporto più antieconomico, oltre che inadatto e disagevole, di una nave da guerra, la quale è uno strumento di lusso costruito per tutt'ultrl scopi che il trasporto di persone: beve nafta a tonnellate e non ha impianti per alloggiare la gente. Se II porto di imbarco fosse spostato in Tunisia, o almeno ad Algeri, e gli Alleati si decidessero a concederci l'uso di qualcuna delle nostre residue navi mercantili per questa pietosa bisogna di riportare l prigionieri In patria, il ritmo dei rlmpatrii prohahllmente potrebbe essere più agevole, più frequente e più economico. Ma l poveri P.G. (i « prisoniers de guerre » che recano impressi come un marchio sulle spalle e spesso sul sedere le due si gle del loro calvario) devono adattarsi ad attendere II soccorso della nostra Marina da Guerra, questo residuo strumento di nostro prestigio e di nostro onore. Così come valorosamente combatterono, le navi da guerra pietosamente ope rano con immensi sacri/lei al soccorso delle vittime più tristi e desolate della guerra: i miserabili P.G. La pace non è negli animi 71 Duca d'Aosta é ora alla banchina, e tra la nave e i pri glonieri immoti vi è uno spazio deserto solcato solo dalla azzurra e rossa fila dei « tirailleurs » dalla grinta dura e dalla presenza proterva ed inutile. Dove potrebbero o vorrebbero fuggire i P.G. so non verso il mare, se non verso quello scafo che reca la libertà? Un piccolo gruppo di alti ufficiali francesi passeggia lutigo il mo lo: un d'essi, che maneggia e fa volteggiare tra le mani un frustino, si fa sotto il bordo si abbocca con il Comandante in seconda De Grenet, dice che bisogna far presto: nessuno può scendere a terra e l'incro datore italiano prima farà l'imbarco dei prigionieri, e più presto salperà gli ormeggi, meglio sarà. La nostra presenza in porto non è molto desiderata: non ci sono quasi contatti, non visite «//letali. Qui nell'Africa Settentrionale i rapporti son freddi e duri, quasi di ostilità ancora perdurante al di là della fine della guerra guerreggiata Forse per questo nei porti dell'Africa Settentrionale non si desidera il loro sbarco a terra, in franchigia o per servizio. Pochi palmi d'acqua tra il bordo della nave e la banchina, appena solcati da una sottile passerella, costituiscono una frontiera ostile e chiusa. Nessuno salird a bordo, nessuno scenderà a terra; altro che per un momento, e con aria timida dliaMibelmeniedisredetamolunpadaL'dee sigle il fralsbulcidibatre vcihstalaItzl'ntinncmtctcescrfrbentmvqcdnrMrg ù e r o r e o i e i ù a e i e o ca udi oae al ti ea i o zlle. ro il acali o e un o te he no ro rà iù meza ati, Arti ti là egoron erio. il na, ile na esno per da di disagio, i due membri italiani di una Commissione del Ministero dell'Assistenza Postbellica che reca casse di indumenti e di viveri per i prigionieri, la cui speranza e la cui disperazione è ancor chiusa nel reticolato. Le casse e i sacchi dei rifornimenti vengono gettati alla rinfusa dal bordo sul molo mentre i prigionieri in lunga fila indiana infoiano il passaggio dalla terra alla nave, dalla schiavitù alla redenzione. L'ufficiale francese ai piedi della passerella grida un nome e un numero, e l P.G. con le sigle stampate stelle spalle, sulle gambe e sulle braccia, con il loro numero oppuntato sulla fronte salgo*" con gli ufficiali alla testa. Salgono le povere e sbrindellate divise italiane: le ultime stellette, gli ultimi sdruciti galloni, anche qualche paio di speroni, i malati pallidi in barella dagli òcchi fissi e vitrei, altri sorretti dai bastoni e dai compagni. Il primo conforto Il Comandante De Grenet, valoroso marinaio, li attende in cima alla passerella: per tutti ha un saluto, un sorriso, un gesto di aiuto. Sono i primi dopo tanti anni. Alcuni, salendo sulla coperta di ferro della nave Italiana, si scrollano con sprezzo le scarpe dalla sabbia del l'Africa maledetta, altri battono sul ponte i piedi quasi a sentirsi ben saldi su quel lembo navigante di patria, altri vanno alla bandiera, si inginocchiano e la baciano religiosamente e carezzano con delicatezza l'acciaio delle torri e dei cannoni. Quanta attesa e quanta speranza in questi ignari che han vissuto solo di ricordo e di attesa: una attesa e una speranza tali da far tremare il cuore per la realtà che troveranno in Patria, e alla quale forse non sono preparati. L'amarezza della prigionia, il riscnti?nento per i francesi trabocca dalle loro parole. Essi erano stati vinti e fatti prigionieri dagli anglo-americani contro i quali avevano valorosamente combattuto: non pensavano di finire In cattività di quei pochi reparti francesi di colore, miserabili e scalzi e disarmati più di quanto essi non fossero. DI tutto II spogliarono, di scarpe e di indumenti, che ne avevano fame. Solo chi andò a lavorare nelle tfermest, nelle fattorie dell'Algeria e del Marocco, alla meno peggio se la cavò: dipendeva dal temperamento e dall'umanità del padrone che incontrarono. Con gli aguzzini marocchini ed algerini ce l'hanno a morte, ed anche con quei francesi rigidi ed altezzosi, dallo scudiscio fischiarne nell'aria, che pretendono di esser vincitori come gli altri, come gli Alleati, e ne hanno l'atteggiamento. Della patria non san nulla, o quasi: ne hanno solo un'amorosa speranza. L'introspezione e la severa meditazione, cui l'Isolamento e la desolatezza della prigionia li ha indotti, ha maturato in loro una umana volontà di pacificazione e di ricostruzione: questo è intuibile nei loro pensieri e nelle loro parole. Essi cercano pace e conforto, non lotta politica. / P.G. sono degli storditi e dei convalescenti che hanno necessità di molte cure, più che ai loro corpi, ai loro spiriti feriti. Essi sulla nave si sono dischiusi ad un primo albore dsperanza, che la patria dovrebbe aver ogni cura di non deludere. Un gesto quasi di delicato omaggio a loro dedicato fu quello di passare proprio sotto le scogliere di Capri, di modo che, dopo ^gli anni di deserto di filo spinato, dopo l'oscura notte ed il lungo travaglio della navigazione tempestosa, ifulgore solare dell'isola magica apparve ai loro occhi come lfata morgana della sospirata patria, fatta realtà. Ezio Bacino

Persone citate: Colomb, De Grenet, Duca D'aosta, Palat