Ambrosini di Luigi Ambrosini

Ambrosini Ambrosini In un interrogatorio subito nel maggio 1944 presso la questura repubblicana di Torino*, mi fu rinfacciato anche di esser stato in rapporti con 11 pericoloso antifascista Luigi Ambrosini. Spiegai al birro che Ambrosini era morto il 10 dicembre 1920, Insinuandogli che per una di quelle straordinarie assurdità, dal punto di vista della logica, di cui 11 regime fascista brillava, 11 podestà di Fano, poco prima dello scoppio deli!; jruerra, m| aveva Invitato a partecipare alle onoranze, che la città natale del mio amivoleva tributargli (e che avrebbero, tra parentesi, dimostrato come a dispetto di tutti gli sforzi governativi, trionfi uno spirito di solidarietà locale, un senso della tradizione che fa onorare i figli della terra dal loro compaesani). La postuma persistenza poliziesca nel confronti di Ambrosini, che non cospirò e complottò mai, e — candidato giollttiano a Torino — si ritirò dalla vita politica al riuscire del « listone », ritornando al prediletti, studi letterati, mi sarebbe sembrata Incomprensibile se non avessi riflettuto che Ambrosini portava, come tanti altri, 11 marchio dell'uomo libero. La squadra politica sapeva che quest'uomo Innocuo, inattaccabile perchè onesto, incorruttibile perchè senza ambizioni, non avrebbe mal compilato o distribuito un manifestino o acceso la miccia di una bomba, o sparato un colpo di rivoltella, ma avrebbe fatto qualcosa di peggio: tenuto cattedra di libertà. n periodo in cui la nostra amicizia diventò viva e Intima fu quello dell'assassinio di Giacomo Matteotti. Prima di allora, avevamo lavorato nello stesso giornale, ci eravamo Incontrati o scontrati su questioni teatrali e letterarie, ma nelle giornate di giugno del 1924, sebbene appartenessimo a due generazioni separate da un ventennio di età, e formatesi in modo profondamente diverso, la saldatura fu pronta e piena. Il caso Matteotti era l'affare Dreyfus dell'Italia, e la pietra di paragone tra fascisti e antifascisti. Bisognava a qualunque costo prender partito, compromettersi, pronunciarsi, passate al di là o al di qua della barriera di sangue. Pirandello, Gentile, che andarono verso 1 lucri e gli onori fascisti, furono da quel momento irrevocabilmente segnati. Purtroppo, la reazione del 25 risucchiò l'ondata delle anime timorate e prudenti sull'altra sponda, ma tra di noi ci eravamo -j™nosclutl, e ci bastò fino al a'2» aprite di quest'anno, l'esser e a a a e a a, n a e a a i la e, o ik allora per non di altra affiliar tati ir "-lame ave- hlrogi.o zione. Il stvondo semestre del 1924 fu uno si^Uncolo unico e indimenticabili-, i.' disi -.cimento giorno per giorno -'-i un regime sotto un'arma noi* 1 indignazione morale. Ricordo l'ira di Ambrosini rlceven. i !<■ ietterò di Federzonl, di Ma*'-;» M'affli e di altri che tentavate di k'ustlflcare l'accaduto, e d eoi re 11 padrone. Nella au:, n talltà di carducciano, le nefandezze erano senza scusa. So egli aveva potuto illudersi si le possibilità di un. esperimento fascista al momento della marcia su Roma, vedeva in quella tragica estate apparire la vecchia faccia faziosa di una Romagna sanfedista che egli ben conosceva per averne battuto in breccia il retore e plagiarlo Alfredo Oriani (e le.sue critiche all'uomo di Ossola Valsenio, gli restarono palla al piede fino alla fine). Ragionando con lui sino alle prime ore del mattino, analizzavamo il fondo di servitù che una tradizione secolare ha creato nel nostro paese, le tare della classe i dirigente, 11 putridume Intel,lettuale che si manifestava in rigurgiti periodici (Fiume, , a, ei na oe lni iaara a, a m lus o ti riaa, o. o to a oli oito ni gin ne ra simnrino. D'Annunzio), la crescente debolezza dell'Impalcatura politica che già corrodeva le assise costituzionali. E sulle sue labbra un nome di frequente appariva: Giolitti. Che cosa l'unico uomo di stato che l'Italia abbia avuto dopo Cavour significasse per Ambrosini è difficile dire: credo davvero ch'egli avesse per lui un fascino artistico, assolutamente Incredibile e impiegabile a coloro che ne facevano un astuto burocrate, comprensibilissimo a noi piemontesi, che in Giolitti sentivamo la durezza e la serenità delle nostre montagne, l'Innata democrazia della razza, la tempra di amministratore. Ambrosini aveva (nelle Teste di legno) spontaneamente difeso Giolitti contro 1 conservatori lombardi 1 quali ancor oggi non capiscono 11 male Immense» della formola « bolscevico dell'Annunziata » che fu 11 loro tratto di genio. Nel 1924, sentiva che era troppo tardi forse per un ultimo tentativo giollttiano, tanto più che dietro di lui mancavano 1 quadri (avremmo dovuto improvvisarli), ma avvertiva che quel gran nome di galantuomo e di esperto gerente della cosa pubblica era ancora una bandiera. Dopo, fu 11 progressivo smantellamento degli scarsi residui di libertà, ti graduale spegnersi nel paese di ogni forza viva e di ogni coscienza morale, lo scivolare lento o a scossoni nelle sabbie mobili che tutto dovevano coprire. Ambrosini confessò, In una Lettera perduta che fu l'onore di queste colonne, come la sua generazione fosse ormai fuori gioco, con le gambe tagliate. E ripiegò sulla letteratura. La sua salute declinava, 1 suoi libri scolastici (di cui andava giustamente orgoglioso) scomparivano dalle aule per lasciare u

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