Una semplice onesta storia

Una semplice onesta storia Una semplice onesta storia « Questa volta non ci lasceremo turlupinare come Sforza ci turlupinò a Rapallo... ». Così la radio jugoslava nei giorni scorsi. Truculenza a parte, chi sa non vi sia in questi accenti una tal quale sincerità; è sì generale da per tutto, adesso, l'ignoranza dei fatti... Si è pe.* ciò che, pur persuaso del pericolo di scontri verbali o di strada in un problema che richiede freddezza e calma, stimo mio dovere di offrire una testimonianza a jugoslavi e italiani. Avendo tutto sacrificato nella mia vita al concetto di un'Italia rispettata nel mondo pel suo divenire internazionale, se mi decido a parlare è per servire i due popoli con uguale lealtà. Privato cittadino senza alcuna carica, posso rompere un silenzio che continuando diverrebbe complicità con fittizi miti. Oltre le radio, che invece di ravvicinare le genti le inacerbiscono, sono stati anche solenni memoriali ai governi di Londra e Washington che hanno affermato che il trattato di Rapallo fu im posto colla violenza. E' il contrario che è vero. Io iniziai e perseguii i nego ziati per la pace colla Jugo slavia mai allontanandomi dal principio che formulai al Consiglio dei Ministri, come ben ricordano i colleghi superstiti, Bonomi e Rodino: « Noi dobbiamo dar l'esempio al mondo - dissi . della prima pace raggiunta dopo questa guerra per libero consenso reciproco; solo cosi sarà una vera feconda pace; solo cosi serviremo stabilmente gli interessi italiani che si identificano con quelli dell'Europa ». I fatti furòn conformi alle parole: nei miei contatti preliminari a Rapallo col Primo Ministro Vesnich e col Ministro degli Esteri Trumbich i^ li informai che Lloyd George, Curzon e Millerand mi avevano generosamente offerto di premere su Belgrado perchè vi si accettassero tutte le nostre proposte; il che mi è grato ripetere in questa Italia ove sì a lungo imperversarono MfidpenisuosdeoablpaalmvosenqurialfielrocotadtrdtiinacdvgefovteptllAcrPnmlabccrlatcdfgsaLtdtCWbasse calunnie contro Gran _ . _ rBretagna e Francia. Ma av¬ vertii i nostri ospiti che, con la mia gratitudine, avevo espresso a Londra e a Parigi anche la mia preghiera di non far « pressioni » perchè quello cui più tenevo era il libero consenso degli jugoslavi. E più tardi, durante resistenze di Vesnich e di Trumbich per qualche valle di più o di meno: « Anche se su questo non ci mettessimo d'accordo siate sicuri che malgrado la nostra superiorità militare non eserciteremo pressioni nè violenze; se voi non vi accorderete con noi lo proclamerò al mondo unilateralmente quali sono i nostri confini; probabilmente il mondo stupirà ch'io-Tion mi sarò valso di impegni che voi non riconoscete, quale 11 trat tato di Londra del 1915, ma che legano Londra e Parigi verso di noi; continuerò ad agir con voi da amico, a evitarvi il pericolo di una restaurazione asburgica, raccomanderò sempre a Sofia una politica di intese con voi; e aspetterò; son certo che finirete per rendervi conto quanto l'accordo fra 1 nostri due paesi è prezioso anche per voi... ». I delegati jugoslavi sentirono la nostra sincerità; nessun convegno del primo dopo-guerra fu più cordiale e leale di quello di Rapallo: i numerosi membri ancora viventi della delegazione iugoslava non potranno non farne testimonianza. Fino all'ultimo continuai a oppormi a insistenti pressioni che volevano chiedessi di più ; trovavo ciechi quei connazionali, allora; vedendo ora quel che fan tanti jugoslavi mi domando se certe cecità non sono il duro scotto della vittoria... Confesserò che esitai a includere Zara nelle nostre domande; fu infatti per Za ra e non pel confine alpino al monte Nevoso che gli jugoslavi resistettero; se inai stetti — e lo dissi loro —fu perchè temevo che un perfetto gioiello italiano come Zara, tutta popolata da italiani, divenisse teatro di nazionalistici eccessi slavi che avrebbero turbato quel le relazioni fra i due paesi che io volevo intimissime. snM«gtnqfgtdczèengs Ma- anche allora — e lo confidai ad amici slavi — il mio pensiero era che Zara divenisse un giorno un legame super nazionale, non un ostacolo; sbaglierò, ma credevo, come ora, all'utilità di oasi minori rompenti quei blocchi nazionali che appaion sì impermeabili l'uno all'altro. Secondo me, Fiume, città libera come l'avevo creata, avrebbe meglio servito l'Italia, che annessa nóTSnlmènCé a" nói'; è per questo che nuove entità territoriali come il Vaticano o altre con tanto minor significato morale sono preziosi elementi di respiro in un'Europa ancora malata di pericolosi nazionalismi. Come vinsi le restanti esitazioni jugoslave? Alla fine di una lunga riunione protrattasi oltre la mezzanotte dell'll novembre 1920, sentii che — come dicon gli inglesi — si guardavan gli alberi e non la foresta, e che bisognava finirla: « Voi sapete — dissi in piedi — che fi trattato è onesto; voi sapete ch'Io rischio con gioia la mia popolarità presso elementi nazionalistici che, forti dei nostri 500.000 morti, vorrebbero di più. E voi? voi temete i vostri vociatori! Ma pensate a questo, che fra vent'anni dovremo difendere in¬ sieme, noi Trieste e Pola, voi Zagabria e Lubiana contro una inevitabile aggressione tedesca. Se -siamo amici resisteremo e vinceremo; se no... ». Erano onest'uomini ; alla loro emozione compresi che avevan sentito quanto vere fossero le mie parole. L'indomani firmarono. Questa scena l'ho descritta in un libro anche tradotto in serbo-croato e edito a Belgrado, anni fa. Come mai nessuno mi smentì, come mai non si dubitò un momento, là, della mia amicizia per un popolo che appresi a rispettare nelle trincee di Macedonia? Quella notte dissi « fra vent'anni ». Fu proprio venti anni dopo che la tedesca bufera precipitò su ipopoli; è vero che dei traditori gettarono l'Italia nelle braccia del nemico comune; nè, per scusare le loro colpe, voglio citare i Paolo Karageorgevich, gli Stoyadinovich, i Nedich e tanti altri che occhieggiarono amorosamente col fascismo; ma la politica è guardar avanti, non indietro: pensino gli jugoslavi che fra vent'anni lo stesso pericolo mortale potrà risorgere; guai a loro — e an che a noi — quel giorno, se non saremo fraternamente uniti. Le bestiali crudeltà dei fascisti e dei vari Roatta contro migliaia di inno centi jugoslavi costituiscono un cocente dolore per noi; se dei sacrifici potranno riscattare quel rimorso noi li accetteremo ; ma è interesse supremo del popolo jugosla¬ vo che non si infliggano ferite che rimarrebbero aperte e sanguinanti per delle generazioni. Ben so che le passioni delle masse, quando artificialmente eccitate, diventano più pericolose di quelle dei vecchi re ; ma son sicuro che molti jugoslavi sentiranno in cuor loro che, europeo, ho parlato nell'interesse dell'Europa di domani di cui anche la Jugoslavia sarà parte che spero feconda, felice, serena. . i Gli jugoslavi meditino sulla loro storia. I loro antichi diedero un nobile esempio-', al mondo prendendo come data nazionale la più solenne, quella della loro sconfitta di Kossovo; ricordarono per lunghe generazióni, resistettero, vinpero. Gli è che un popolo vitale non è mai sconfitto. Ma anche il nostro è un popolo vitale; gli jugoslavi commetterebbero un fatale errore credendo che l'Italia — perchè la videro sotto la lercia grinta fascista — può fiaccarsi come la tarlata Austria degli Asburgo. L'Italia, alla scuola del dolore, stupirà il mondo colla sua risurrezione. Per me che so quanto siano vani gli inebrianti liquori della vittoria, spero e confido nel nostro dolore. Gli , jugoslavi che mi avranno letto non potranno non sentire che mi son rivolto a loro con una lealtà che sento fraterna. Carlo Sforza

Persone citate: Asburgo, Bonomi, Carlo Sforza, Curzon, Lloyd George, Paolo Karageorgevich, Roatta, Rodino, Sforza