La tragedia della resa francese nelle testimonianze di Daladier e Lebrun

La tragedia della resa francese nelle testimonianze di Daladier e Lebrun La tragedia della resa francese nelle testimonianze di Daladier e Lebrun Smentita all'offerta a Mussolini - Il numero dei carri armati e degli aerei era superiore a quello dei tedeschi - La riunione del Gabinetto a Tours e l'errore dell'imputato i l i e Parigi, 25 luglio. Alla sua terza udienza il grande processo contro il vecchio Maresciallo di Francia Pétain è entrato in un'atmosfera di vera tensione con la deposizione dell'ex-Primo Ministro Edouard Daladier. E' presente anche ReynaudL a richiesta della difesa di Pétain, che desidera fare dei confronti con altri testimoni. La temperatura nella sala stipat.issima di persone è « equatoriale ». Nugoli di agenti armati stazionavano ovunque per prevenire possibili dimostrazioni ostili contro l'imputato. Il funzionarlo incaricato di dirigere il servizio d'ordine ha precisato con tono di sicurezza ai giornalisti che le forze di polizia sarebbero 3tate in gcado di Car sgombrare l'aula in due minuti. Sono le 13,20 quando Pétain entra nell'aula e va a sedersi nella poltrona riservatagli. Poi fa il suo ingresso la Corte e viene annunziato che l'udienza sarà più breve di quella di ieri. L'ex-Primo Ministro Daladier riprende la sua deposizione. L'accusato è calmo, ma le sue mani si agitano nervosamente sul tavolo. Daladier dichiarava: «Non ho mai offerto all'Italia il condominio sulla Tunisia o su altra parte dell'Africa », ed aggiunge di avere scritto una lettera focosa a Mussolini il 29 maggio 1940 proponendogli una riunione per comporre le vertenze franco-italiane; Mussolini, però, rifiutò l'offerta. Riferendosi a Pétain l'ex Primo Ministro afferma: «A mio giudizio la circostanza più impestante è che i tedeschi trovarono un lacchè perfetto in Pétain ». Un giurato interrompe il teste e chiede spiegazioni su un telegramma che Pétain inviò a Hitler congratulandosi per i successi tedeschi a Dieppe e chiedendo di permettere alle truppe francesi di partecipare alla difesa della Francia al fianco della Germania. Il vecchio imputato non risponde. « Pétain — prosegue implacabile l'ex-Primo Ministro teste d'accusa — è inoltre responsabile del processo di Riom, celebrato per soddisfare Hitler e Otto Habeg. Io spero fermamente che il senso di equità della Corte salverà la Francia! ». La Francia non era disarmata Daladier dichiara quindi che « il popolo francese è stato imbrogliato nel 1940 ed ha assistito a un colpo di Stato di Vichy », e dà poi lettura di cifre riguardanti il rapido aumento del materiale bellico francese tra il giugno 1936 e il maggio 1940, aggiungendo: «La Francia non eia disarmata. Essa aveva 3600 carri armati contro 3200 tedeschi, e la produzione germanica non era superiore a quella francese. Dopo l'armistizio — egli continua — vi ecano 4200 aerei da guerra nella zona libera della Francia, di cui 1200 di prima linea. Se allora Pétain avesse dato il segnale della rivolta della Francia il giorno dello sbarco angloamericano nell'Africa settentrionale, quale pagina gloriosa sarebbe stata scritta nella storia della sua lunga vita! Io mi aspettavo questo e pregavo per questo. Invece Pétain cedinò alle nostre truppe del nord-Africa di resistere ai nostri alleati ». L' avv. Payen, difensore dell'eroe di Verdum, chiede a Daladier se ritiene che l'imputato abbia tradito la responsabilità del suo alto ufficio e i suoi doveri di francese. Daladier risponde» «Penso che egli abbia commesso un grave errore, dal quale scaturì la sconfitta del nostro paese ». Il teste continua ne¬ gcccppacrmdtesdiz e o e o ¬ gando di avere promesso alcuna parte di territorio francese. I difensori di Pétain chiedono che cosa pensi dei processi di Riom e degli altri processi politici e accennano alla situazione paradossale creata da quello odierno. Il P. M. Mornet si alza e, ricordata la sua posizione di magistrato, dichiara che l'atto di accusa contro Pétain è stato scritto interamente da lui e che ne assume intera la responsabilità dicendo: « Quan do indosso questa toga rossa io non conosco alcuna giustizia politica ». L'ex-presidente Lebrun L'udienza è sospesa alle ore 14,50 per pochi minuti. Poi sale sulla pedana l'ex-Presidente della Repubblica, Lebrun. Alto e snello, Lebrun, che ha 73 anni, veste una giacca nera e pantaloni a righe; sembra molto emozionato al momento di entrare nell'aula. Con labbra tremanti sotto i baffi bianchi comincia a parlare con voce incerta degli avvenimenti che condussero all'armistizio e cita le parole del Primo ministro Churchill quando apprese che la Francia aveva firmato l'armistizio con la Germania: «La Francia-ritroverà il suo onore e la sua grandezza >. B vegliardo spiega, poi che la carica di presidente della repubblica in Francia è piuttosto onoraria e che i ministri stessi spesso dimenticano di comunicargli 1 messaggi importanti e dice che spera che nella nuova Costituzione al presidente verranno conferiti i maggiori poteri di cui ha diritto. Lebrun, come già Reynaud e Daladier, parla della riunione del gabinetto francese a Tours, ricordando che Reynaud lesse il messaggio di Roosevelt il quale affermava che gli Stati uniti non avreb bero riconosciuto alcun territorio preso con la forza dalla Germania. Nello stesso messaggio il Presidente ame ricano affermava di essere dolente di non poter dare aiu ti maggiori, perchè solo il Congresso del 1940, prima della legge affitti e prestiti, aveva il diritto di venire in aiuto della Francia. Lebrun ricorda l'atmosfera deprimente di quella riunione, alla quale era presente Pétain, e aggiunge che questi era il cuore della nuova opposizione contro Reynaud ed ' suoi seguaci. Lebrun, il più e motivo del testi finora uditi, ha spesso delle lacrime agli occhi, particolarmente quando riferisce come venne invitato a dimettersi nel 1940. « Io reagii violentemente — dichiara con voce, rotta — ma con il mio carattere' la violen za non va molto lontano ». Lebrun dice di non avere mai avuto contatti con Vichy dopo aver lasciato la carica e racconta come fu condotto in Germania dalla Gestapo con bestiale brutalità. Secondo lui due gravi errori sono stati commessi da Pétain o dal Governo di Vichy: Lavai credeva alla vittoria della Ger mania e Pétain pensava che 11 suo prestigio di maresciallo avrebbe potuto proteggere la Francia. Ma, invece di opporre resistenza alle richieste del Reich, egli cedette. ' Quantunque il maresciallo abbia finora rifiutato di rispondere a qualsiasi domanda, egli risponde prontamente quando gli viene chiesto se aveva preparata la lista di Gabinetto alla quale Lebrun ha accennato: « La lista che avevo in tasca non era quella definitiva ». Il presidente Mongibeaux osserva con ironia, allora, che la sordità di Pétain sembra essere piuttosto « diplomatica » e soggiunge: « Io credo che il maresciallo ode benissimo; solo fa finta di essere sordo ». Il vecchio testimonio alla dsdtaabrTdtNonqcsgfltKdvpbPDs domanda che gli viene fatta nse considera Pétain come tra-inditore risponde: « Il ttadlmen- Tto è difficile da definire. Egli davrebbe dovuto dire "no" e!aandarsene; la Francia avreb be avuto un "gauleiter"; sarebbe stato meglio per tutti! ». Triste destino del maresciallo Lebrun continua: «Il rifiuto del 1940 era stato preordinato, nel 1918, da Clemenceau. Noi abbiamo solo messo in opera il suo piano. Se i ministri fossero stati unanimi su questo punto noi avremmo continuato la guerra. In risposta al telegramma di re Giorgio d'Inghilterra io avevo confermato che in nessun caso l'esercito francese avrebbe aiutato la Germania. Mers ti Kebir non avrebbe dovuto ca dere. L'Inghilterra avrebbe do vuto aver fiducia in noi. Con profondo dolore io vedo oggi un maresciallo di Francia sul banco degli accusati. E' un ben triste destino che il nostro Pétain, salito tanto in alto, sia poi caduto cosi in basso! ». Con queste parole ha termine l'udienza. La folla sciama lentamente e scuote la testa. Dalla maggior parte dei discorsi si comprende che la sorte del maresciallo è gnata. cprse- Un grido d'allarme