La Cia inchioda Arafat, la Casa Bianca prepara il «dopo» di Maurizio Molinari
La Cia inchioda Arafat, la Casa Bianca prepara il «dopo» UN RAPPORTO: HA GESTITO PERSONALMENTE IL TRAFFICO DI ARMI IRANIANE. PER IL NEW YORK TIMES E' UN «MORTO CHE CAMMINA» La Cia inchioda Arafat, la Casa Bianca prepara il «dopo» retroscena Maurizio Molinari inviato a WASHINGTON YASSER Arafat a Ramallah è sotto scacco, ma ad averlo messo in questa situazione non sono i tank di Ariel Sharon bensì un rapporto dell'antiterrorismo della Cia consegnato da George Tenet alla Casa Bianca. Venerdì scorso il Segretario di Stato, Colin Powell, ha chiuso bruscamente ima telefonata con Arafat e non ha nascosto con i suoi stretti collaboratori di essere «infuriato». H leader palestinese aveva appena negato, come aveva già fatto per iscritto con una lettera indirizzata al presidente Bush, di avere a che vedere con la «Karine A», la nave palestinese carica di armi iraniane intercettata nel Mar Rosso dai commandos israeliani. Ma sul tavolo di Powell a fianco del telefono c'era il rapporto della Cia sulla nave. Le prove a carico di Arafat sono descritte come «schiaccianti» da chi lo ha visto. Si tratta di prove non «made in Israel» ma raccolte dall'intelligence Usa in Medio Oriente. Sulla lotta al terrorismo dopo l'II settembre l'America non delega più, opera' in proprio, ovunque. I sateUiti Usa hanno individuato per primi la «Karine A» di fronte alle acque iraniane e la Cia di George Tenet ha condotto un'«mchiesta indipendente» per appurare se gli israeliani dicevano o meno la verità sul carico trovato a bordo. Quando Tenet, durante imo dei briefing del mattino, la scorsa settimana, ha rivelato a Bush i risultati dell'indagine svolta con i più sofisticati strumenti di intelligence, la sorte politica di Arafat è stata segnata: il leader palestinese voleva armi simili a quelle degli Hezbollah libanesi per minacciare con i razzi le città di Israele e, in particolare, l'aeroporto Ben Gurion. «Schierarsi con l'Iran per Arafat - spiega un diplomatico Usa - significa scegliere di stare con chi non ha mai accettato gli accordi di pace di Oslo del 1993». Bush in persona ha spiegato al presidente egiziano Hosni Mubarak che Arafat voleva aprire le porte della Cisgiordania e di Gaza ai Guardiani della Rivoluzione iraniani. «Gli egiziani si sono arrabbiati molto - racconta un funzionario dell'Amministrazione - perché temono un rafforzamento dei fondamentalisti ai loro confini e perché la Karine A doveva passare attraverso il Canale di Suez». Il dossier sulla «Karin A» di Tenet ha messo in scacco Arafat perché lo ha collocato, prove alla mano, nello schieramento dei nemici del processo di pace e quindi dell'America. «Arafat non ha capito che dopo l'II settembre il mondo è cambiato - continua il funzionario, chiedendo l'anonimato - prima non ha ascoltato la nostra richiesta di fermare il terrorismo e i kamikaze di Hamas e della Jihad, poi ha ordinato venti milioni di dollari di armamenti a Teheran». I kamikaze di Osama bin Laden abbattendo le Torri Gemelle hanno cambiato l'agenda della pohtica americana in Medio Oriente: ad essere prioritaria ora è la lotta al terrorismo nella convinzione che sarà la sconfitta delle forze dell'* Asse del Male» - Iran, Iraq, Hezbollah, Hamas e Jihad islamica - a portare la pace nella regione. La diplomazia americana funziona come una macchina, nulla avviene per caso e ogni processo ha tempi e ritmi ferrei. Raggiunto all'interno dell'Amministrazione il consenso sul fatto che Arafat «non combatte il terrorismo» e «mente perfino al presidente degli Stati Uniti», la scelta è di esercitare su di lui la massima pressione politica per obbligarlo a cambiare registro. Da qui la soddisfazione di Washington per i franchi messaggi inviati ad Arafat da Egitto e Giordania (ma non dall'Arabia Saudita) e per la recente presa di posizione dei ministri dell'Unione europea, che hanno adoperato a Bruxelles un linguaggio senza precedenti per chiedere all'Autorità nazionale palestinese di combattere il terrorismo. Se neanche questa massiccia pressione congiunta di Usa, paesi arabi moderati e Unione europea servirà a smuovere Arafat, la sua legittimità pohtica internazionale guadagnata firmando gli accordi di Oslo svanirà. Il «signor Arafat» - come da quattro giorni lo chiama Bush - non ha molto tempo. Basta sfogliare i grandi giornali americani per accorgersene. Thomas Friedman sul «New York Times» lo definisce «un morto che cammina», Jim Hoagland sul «Washington Post» suggerisce all'Amministrazione di «affrettarsi a progettare il dopo-Arafat», l'ex inviato in Medio Oriente di Clinton, Dennis Ross, sul «Wall Street Journal» chiede a Powell di «essere pronto a troncare ogni tipo di rapporto con l'Anp». Dietro le quinte le manovre per il dopo-Arafat sono già cominciate. Gli scenari possibili sono cinque: i palestinesi scelgono un nuovo leader, i paesi arabi impongono ai palestinesi di farlo, la Giordania si riassume la responsabilità di trattare per loro, Israele rioccupa i Cisgiordania e Gaza, la Nato si schiera nei Territori come avvenuto in Kosovo.
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