«Insegno ad amare, ma sono solo»

«Insegno ad amare, ma sono solo» «Insegno ad amare, ma sono solo» Francesco Alberoni: mi confido con pochi amici Alain Elkann PROFESSOR Francesco Alberoni, sta per uscire un suo nuovo libro, qual è l'argomento? «Parla di comando, ma non posso ancora parlarne». Passa da scrivere di amore ad occuparsi di argomenti pratici della vita. «Ho già scritto di temi simili: "Abbiate coraggio", "L'ottimismo", "La speranza", naturalmente ho anche continuato a scrivere libri sull'amore come "Ti amo" e "Il primo amore"». Come definirebbe il suo lavoro? «Sono un sociologo, ma mi occupo molto dell'esperienza interiore. Do importanza al vissuto, all'osservazione dei piccoli comportamenti, la fenomenologia, il mondo interiore. Pensiamo per esempio a "Innamoramento e amore" : in quel libro c'è la teoria sociologica da una parte e la fenomenologia dall'altra. Io sono sociologo perché definisco innamoramento lo stato nascente di un moviriiento collettivo formato da due persone». Che cosa insegnano i suoi libri? «A capire quello che ti sta succedendo. Descrivo quello che intuitivamente sai e su cui non rifletti. Vivi l'amicizia ma non ci rifletti, e quindi puoi fare un errore». Quale errore? «L'amicizia è un sentimento morale. Se l'amico ti tradisce, ti fa una malvagità. L'amicizia si rompe per sempre e non si può più aggiustare perché un sentimento morale. I bambini hanno i segreti che confidano per esempio solo all'amico del cuore. Se l'amico del cuore rivela il segreto, è uno schianto, una rovina, un tradimento della fiducia. Nell'innamo¬ ramento uno rischia, l'amicizia è sicurezza, fiducia. L'innamoramento è basato sul rischio, e questo vale dai 6 ai 90 anni». Si diverte a scrivere i suoi libri? «Da morire. Passo la vita a leggere libri, a osservare intorno a me e a guardare film». Per il suo articolo settimanale decide lei l'argomento? «Sì e lo faccio "maturare" lentamente. Lo scrivo quindici volte, tanto è piccolo lo spazio e devo condensare tutto». I lettori le chiedono consigli? «Sì, ma non rispondo. Per questo ho solo una rubrica on line dove rispondo alle lettere più significative». Oltre a scrivere, si è dedicato a molte attività nella sua vita. «Sono stato rettore a Trento. Non c'era più l'Università, era un po' come la Kabul di oggi. Mi hanno chiamato Bobbio, Andreatta e Boldrini e l'ho ricostruita. Quando sono andato via, mi sono messo a studiare economia. Ho costituito il C.R.S., l'istituto di ricerca che si occupava del futuro. Ho creato lo lulm che era solo una piccola università in un vecchio convento. Ho dato vita alla prima facoltà di Scienze della Comunicazione e dello Spettacolo di cui ci sono ora tre corsi di laurea. Nel giro di dodici anni - ho lasciato lo scorso anno lo lulm - ho creato un campus che si estende su 80 mila metri quadri di proprietà, dai meno di 3 mila d'affitto originari, e un patrimonio superiore ai cento miliardi. Adesso si chiama Libera Università di Lingua e Comunicazione Liulm». E' stato annunciato che lei andrà a presiedere la Fondazione della scuola nazionale di cinematografia. «Sì, se il Parlamento mi dà l'incarico». Perché hanno fatto tante po¬ lemiche intorno alla sua nomina? «Non lo so. Nella mia vita non ho mai partecipato a polemiche e non ho mai letto nulla che mi riguardasse. Se no non avrei fatto niente. Deciderà il Parlamento. Penso che le polemiche ci siano perché non sono un regista, uno storico del cinema, insomma un addetto ai lavori». Però di cinema se ne intende. «Ho diretto per tre anni a Milano l'Istituto di Filmologia e ho creato una facoltà di comunicazione». Che cosa farà alla Scuola dì cinema? «Quello che ho fatto negli altri posti: utilizzare tutte le risorse che ci sono nel Paese indipendentemente dal colore politico, far espandere la scuola e collocarla a un livello più alto. Vorrei che fosse conosciuta e che attirasse i giovani più capaci e più dotati». Che cosa pensa di fare al Vittoriano, museo al quale tengono molto il presidente della Repubblica Ciampi e il ministro dei Beni Culturali Urbani? «Sono uno dei tanti della commissione. Ho avuto un'idea sulla quale ho insistito molto. Ho proposto che sia un museo della Patria, della civiltà italiana e un museo virtuale. La civiltà italiana è co¬ me un fiume con tanti affluenti che vengono dalla storia. I vari Stati italiani a un certo punto confluiscono tutti nello Stato italiano centrale. C'è una civiltà italiana inconfondibile e poi c'è uno Stato italiano». Che cosa la spinge a occuparsi di tante cose? «Il gusto di creare e di inventare. Tutto parte da uno scritto. Il museo prima di ogni cosa è un pensiero, un'idea sviluppata a tavolino e con la fantasia. E' come una sceneggiatura. Io mi sento di fare una sceneggiatura con l'aiu- to degli esperti. In un certo senso sono anche come un architetto». Sembra che non abbia paura di nulla. «No, al massimo se sbaglio mi ritiro. Agisco seguendo i miei ideali, ma se non riesco a realizzarli lascio che lo facciano altri». In televisione va poco. «E' solo un problema di tempo. Mi concentro su un problema per volta. Ci sono stati momenti in cui ricordo che non riuscivo nemmeno a viaggiare». Passa la sua vita a lavorare allora. «Mi diverto, faccio cose che mi piacciono. Quando attorno a me c'è un'atmosfera avvelenata, lascio giocare gli altri. Mi disgusta, è una corruzione dell'anima». E' religioso? «A modo mio. Sono cristiano e credente, ma non vado molto sovente a Messa». Si occupa di politica? «Sono sempre stato un moderato per natura. A Trento la persona più di destra era comunque un castrista. A me la politica fa paura come lotta, come scontro. Mi fa paura l'ideologia. Sono terrificato dal fanatismo e dalla mancanza di obiettività. D'altra parte la vita è costruita sulle differenze e le contrapposizioni». Quali rapporti ha con il mondo della cultura? «Pochi, frequento solo alcuni amici. Nella mia vita sono sempre stato solo, anche se i miei libri sono letti in tutto il mondo. Mi confido con pochi amici, come Edgar Morin o Roland Barthes». «Non so perché ci siano tante polemiche intorno alla mia nomina alla presidenza della Scuola del Cinema Forse non vengo considerato "uno del mestiere", in realtà io me ne intendo» li sociologo Francesco Alberoni con la moglie

Luoghi citati: Kabul, Milano, Trento