Re Rebaudengo-Sandretto: i tesori per la prima volta in pubblico
LA COLLEZIONE «SEGRETA» LA COLLEZIONE «SEGRETA» Re Rebaudengo-Sandretto: i tesori per la prima volta in pubblico EL programma della Biennale viene giustamente definita «Evento speciale» la mostra nella sede della Fondazione Italiana della Fotografia in via Avogadro 4, che presenta per la prima volta al grande pubblico la collezione privata Re Rebaudengo Sandretto di fotografia italiana. Speciale perché questa raccolta e l'unica del genere in Italia. E se è scandaloso che nessun museo d'arte moderna e contemporanea della nostra Penisola abbia una sezione dedicata ai grandi fotografi italiani, tanto maggior merito va ai giovani coniugi torinesi Agostino Re Rebaudengo e Patrizia Sandretto per aver saputo costituire in pochi anni una raccolta esemplare per rigore storico e qualità artistica, grazie anche al coinvolgimento diretto degli autori nella scelta dei lavori. Onore al merito anche per Antonella Russo, curatore sia della raccolta Re Rebaudengo Sandretto, sia della mostra. La studiosa napoletana, già «curator» per la fotografia prima al Museum of Modem Art di New York e poi al Castello di Rivoli, ha saputo ben consigliare negli acquisti i signori Re Rebaudengo Sandretto e ben selezionare le opere esposte, che sono soltanto una parte dell'intera collezione. Ma è quanto basta per raccontare la storia della fotografia italiana dal 1940 a oggi con un'antologia di un centinaio d'immagini realizzate da quindici autori, in pratica tutti i più grandi del periodo, affiancati da giovani emergenti. Il percorso espositivo prende l'avvio con le foto in bianco e nero di Giuseppe Cavalli, uno dei primi in Italia nel secondo dopoguerra a utilizzare la macchina foto come strumento espressivo e non solo documentario. Per lui un tubo di stufa nero contro il muro bianco diventa lo spunto di un'elegante ricerca esteticoformale. Risalgono agli Anni Cinquanta anche le fotografie astratte di Antonio Migliori e Pasquale De Antonis, attenti entrambi alle sperimentazioni pittoriche condotte a Milano dagli artisti del MAC, il Movimento Arte Concreta. All'inizio degli Anni Sessanta con il celebre Ugo Mulas si ritorna a una fotografia più «figurativa» e realista che ha come soggetto privilegiato la periferia industriale di Milano, durante gli anni del boom economico. In quello stesso periodo un altro caposcuola del reportage, Ferdinando Scianna, descrive il Sud Italia, le tradizioni, gli usi e costumi che ormai vanno scomparendo, con la passione dell'antropologo culturale. E' invece interessato all'archeologia industriale, agli interni di fabbriche in particolare, Gabriele Basilico, fotografo milanese tra i più celebri e quotati del momento. L'obiettivo di Guido Guidi, caposcuola del minimalismo, descrive con identica analitica freddezza edifici popolari in Romagna e le aree industriali dismesse di Porto Marghera. Ancora fabbriche, fotografate però con uno stile più caldo e Qui sopra «Madonna Avvocata» dijodice A destra in alto «Uomo che rende aeroplanini» di Ugo Mulas e in basso «Muro» diAntonio Migliori Sotto l'opera "A. 9» di Pasquale DeAntonis
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