I viaggi in immagini di Scorsese e Frears

AUTORI PERI 100ANNI AUTORI PERI 100ANNI I viaggi in immagini di Scorsese e Frears PER festeggiare, nel '95, i primi cento anni del cinema, il British Film Institute chiese ad alcuni registi - di chiara fama mondiale e al tempo stesso significativi per i loro Paesi di provenienza - di proporre, in totale libertà, un proprio sguardo sul cinema del loro Paese. A Jean-Luc Godard e Anne-Marie Mieville è toccata la Francia, a Nagisa Oshima il Giappone, a Nelson Pereira Dos Santos il Brasile, e così via. Ma i due lavori per motivi opposti più significativi sono quelh di Martin Scorsese sul cinema americano («A Personal Journey With Martin Scorsese Through American Movies») e di Stephen Frears sul cinema inglese («Tipically British»). I due lavori saranno riproposti al cinema Massimo - il primo fino a sabato 6, il secondo mercoledì 10 alle ore 19,20. Il «viaggio personale attraverso il cinema americano» di Scorsese è imperniato sulla contraddizione principale intrinseca al cinema di Hollywood. Per usare le parole del regista, «come si può sopravvivere al conflitto costante e spietato tra gl obblighi commerciali e l'espressione individuale? E' possibile essere un professionista di Hollywood e al tempo stesso un vero artista?». Sono gli interrogativi che OTAR I0SELÌANI «I miei film sovietici venivano puntualmente censurati, salvo poi venderli all'estero con la Soverexportfilm: un modo per poter dire all'Occidente che da noi c'era la libertà di espressione. Ogni volta invece bisognava riccorere ai soliti trucchi: presentare una sceneggiatura accettabile per girare poi un film diverso». Sono parole di Otar Ioseliani, sessantatreenne georgiano tornato in Patria lo scorso anno dopo diciassette anni di esilio. All'autore originario di Tbilisi, diplomato alla scuola di cinema di Mosca nel 1961 e subito al lavoro dietro la macchina da presa con storie assai critiche nei confronti del regime sovietico, il Museo del Cinema dedica da giovedì 11 settembre al Massimo Tre, via Montebello 8, una breve personale. In programma, gran parte dei suoi lavori a cominciare dagh acclamati ai festival «I favoriti della luna» (premio speciale della giuria alla Mostra di Venezia nel 1984) e «Caccia alle farfalle», commedia amara incentrata sul rapporto tra due nobili signore e i giovani che rifiutano le tradizioni. Non mancano, inoltre, il censurato «C'era una volta un merlo canterino», storia all'apparenza insignificante di un musicista di Tbilisi solito ad arrivare in ritardo alle prove d'orchestra, il successivo «Pastoral» realizzato nel '76 e il recente «Briganti» la scorsa stagione nelle sale. Proiezioni sino a lunedì 15 settembre, biglietti a 7 mila lire, [d. ca.] hanno sempre attraversato il miglior cinema americano, quello che sapeva raggiungere il successo nonostante gli «uomini della finanza» che dettavano legge negli studios; sono i dubbi Godard aveva ben presenti quando faceva il critico e parlava del «mistero e del fascino del cinema americano». Scorsese vuole raccontare il cinema «che mi ha invogliato a diventare a mia volta regista», il grande cinema di Griffith e quello di Cassavetes, la classicità di Ford e la rabbia di Orson Welles: e non c è dubbio che il percorso da lui suggerito sia veramente «personale». Il punto di vista «tipicamente britannico» di Stephen Frears è quasi opposto. Secondo il regista di «My beautiful Laundrette», «i film inglesi parlano il linguaggio della vita. E la vita inglese è fatta unicamente di usanze tradizionali e di volti famigliari, il tutto molto inoffensivo: se c'era qualche traccia di anarchia, era ben nascosta». E, a partire da questa premessa, Frears racconta i passaggi più noti e più ovvi del cinema britannico (le commedie dell'epoca d'oro, l'inventiva di Powell e Pressburger, gli arrabbiati del Free Cinema, la British Renaissance eternamente sospesa tra impegno e leziosità, tra rottura e formalismo), dimenti-

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