Le mogli dissero: "Morite bene,, di Virgilio Lilli

Le mogli dissero: "Morite bene,, Le mogli dissero: "Morite bene,, (Dal nostro inviato speciale) Tokio, 22 dicembre. Setta vecchi, penduti dalla forca, dondolano da stasera nella testa del popolo giapponese. Dondolano, dondolano alla maniera di quelle lanterne di carta che appese a uno spago sulla soglia delle case, delle trattorie e delle botteghe — nei sobborghi di Tokyo, di Yokohama, di Osaka, di K.obe giil giù, fino ai villaggi del Kiushu e su su fino ai villaggi delVOkkaido, — fanno una certa luce malinconica, cara agli occhi obliqui dei * figli del sole». Sono sette condannati a morte, sette tardivi impiccati, sette uomini che hanno subito, con l'ironico ritarda di trm anni, la vendetta del vincitore. Dondolano dalle forche e sembrano dire: «Non-va... non-va... nonva... ». « Non va, non va » Sono sette vinti, sette « criminali di guerra», generali e ministri d'un impero disfatto sul campo dì. battaglia, feroci coma tutti i generali che comandino eserciti in armi su questa terra, colpevoli come tutti gli uomini di Stato che guidino le sorti d'una nazione in guerra, su questa terra. Il nemico li ha vinti, e ora li strangola. E strangolandoli dice: « Voi avete ucciso, voi avete massacrato! » come se a sua volta, a ragione o per forza, esso non abbia ucciso, esso non abbia massacrato. I sette vecchi dondolano dalle forche e rispondono: «Noi abbiamo solo perduto la guerra. Se l'avessimo vinta, voi avreste ucciso, voi avreste massacrato!». Sette sentenze tetre e inutili, sette atti di guerra in tempo di pace, sette infrazioni atta norma giuridica che universalmente deve informare la legge, ecco i sette imputati di Tokyo. Generale Bideki Tojo, anni 64; generale Seishiro Itakaki, anni 63; generale Iwane Matsui, anni 70; generale Kenji Doihara, anni 65; generale Heitaro Kimura, anni 60; generale Akira Muto, anni 56; ex-premier Kaki Hirota, anni 70. Ammazzati a freddo, di malavoglia, in un'atmosfera di apatico tedio, quando i conti son chiusi da tempo, quando «chi ha dato ha dato e chi ha avuto ha avuto », quando il bilancio della tragedia, della violenza, della distruzione, delle sofferenze, del sangue, degli odi eccetera è ormai in pareggio, relegato negli archivi, quando il passato è dietro le spalle e avanti agli occhi c'è solo il futuro, il lavoro, il desiderio di dimenticare, il bisogno di guarire, l'esigenza di trovare una parola d'amore, di perdono, di pentimento. (Non va, non va, dicono i sette tardivi impicca¬ ti; e il soldato americano d'oc-, cupazione in terra nipponica dice: Non va, non va; s il cittadino americano, al suo paese, e quello inglese, quello francese, quello di paesi ex-nemici, ex alleati, neutrali eccetera dicono: Non va, non va. TI piccolo giapponese gravato dalle pene del dopoguerra non dice nulla, legge i giornali, scrolla la testa, sorride; ma si capisce ch'egli pensa: Non va, non va bene). « Non va bene che il Ministro del Paese vinto sia impiccato e il suo imperatore, — monarca assoluto, — continui a regnare » pensa il giapponese, «Non va bene che il generale vincitore sia arbitro della vita del generale vinto » pensa. «Non va bene che una sentenza sia basata su una legge postuma ignorata dall'imputato appunto per essere stata erogata dopo l'azione dell'imputato; nè che il generale paghi e il soldato sia esonerato: nè che si giudichi con il metro della pace l'atto di guerra; nè che si cerchi la pace prolungando < gesti di guerra» pensa. Il sol datp che dalla trincea spara sulla testa del soldato nemico non è un assassino, è un soldato. Se lo si giudica in tempo di pace e gli si imputa un omicidio, si commette un atto insensato I criminali di guerra non esistono (specie quando la guerra è condotta col criterio del massacro da ambo le parti), perchè tutta la guerra è un crimine, un carnaio, una vio lenza bestiale, una infrazione della legge sociale e morale. Guai misurare con il metro della pace l'azione del soldato che in guerra fracassa il cranio o squarcia il ventre del soldato nemico (o del cittadino del paese nemico): guai misurare con il metro della pace il lavoro dell'operaio che costruisce la bomba o il cannone. Un generale che comanda un esercito in guerra è già ut per sè una atroce macchina di morte, una sorgente di sangue e di lacrime. Una bomba al fosforo che accieca migliaia di donne e ragazzi non è più pura della baionetta del soldato che uccide il prigioniero. Ragazzi e donne seno inermi e irresponsabili quanto lo è il prigioniero. Un ministro che presiede il governo d'un paese in guerra (.aggressore o aggredito) è sempre uno spaventoso cervello distruttore, negativo. Impiccare' » «criminali di guerra» come tali, è un atto violento e cruento in tempo di pace. Cosi pensa il giapponese. Ma non parla. Si limita a sorridere. La guerra e la pace I sette impiccati di Tokyo sono figli d'un paese esotico, remoto, qualcosa come la luna. La loro gentilezza d'animo e la loro efferatezza (la loro maniera di essere efferati, poiché in guerra cambia la forma del le efferatezze, ma la sostanza è sempre la medesima) non sono loro particolari virtù particolari di/etti: sono il loro modo d'essere vitali. La guerra del giapponese è fatta c quel modo perchè a quel determinato modo sono fatti gli occhi del giapponese, e la pelle e i capelli. Uomini che mangiano con i bastoncini non possono fare la guerra come uomini che mangiano con la forchetta. Punire il leone perchè mangia la gazzella sarebbe la più madornale scempiaggine del mondo; o premiare l'usignolo perchè canta. Il modo di essere vivo del leone consiste nel mangiare la gazzella. L'America in guerra lancia la bomba atomica da un aeroplano fornito di poltrone di cuoio e di bar; è il suo modo d'esser viva. La guerra è un crimine agli occhi di Dio, ma agli occhi degli uomini, da citando la razza umana calca il suolo, è una vecchia storia, una vecchia malattia per la quale si arriva alla convenzione infernale che chi tanto più uccide tanto più è bravo, tanto più è eroe. Una convenzione che dice: puoi uccidere in guerra, non puoi uo< eddot < eidere in pace, Scoccata la fine della guerra, ripete, « chi ha dato ha dato e eh, ha avuto ha avuto». Il nemioo odiato o odioso bisognava ammazzarlo dentro la zona di tempo della guerra. Dichiarata la tregua, è tardi, forche, plotoni d'esecuzione, carcere, tutte cose tardive, ormai superate. Chi ha ucciso si toglie l'uniforme e va a casa. La legge lo punisce se schiaffeggia una persona in tempo di pace; poiché la convenzione dice che uccidere in tempo di guerra, per la guerra, non è un crimine; mentre è un crimine schiaffeggiare altrui in tempo di pace, E hanno scrìtto poesie Codesti sette impiccati appartengono a un mondo di uomini per i quali la morte è «una certa semplice cosa che risolve alcune cose complicate». Credere di dar lero una lezione; — n di darla al loro popolo, — uccidendoli, è un'ingenua illusione. La forca apre loro la porta su un'altra vita, li restaura. Per Tojo e compagni, morire è come cambiarsi d'abito. E' la ragione per la quale alle parole del giudice che guardandoli con occhio drammatico diceva loro: «Sarai impiccato », i sette si sono inchinati cerimoniosamente e hanno detto: «Domo arigatò», grazie mille. E hanno scritta poesie. Quale europeo o americano, immediatamente dopo la sentenza di morte, avrebbe scritto poesie"! Per fare uscire degli emistichi dalla forca ci volevano i giapponesi, quegli stessi che han massacrato prigionieri inermi, che hanno pazzescamente creduto di piegare con la guerra la Nazione più giovane, più forte, più ricca, più generosa del mondo. Il generale Tojo ha scritto: «Oh guarda! Guarda come 1 fiori del ciliegio cadono senza parola! » TI generale Seishiro Itakaki ha scritto : « Non temo per l'aldilà o per l'anima; mi duole sia perduta l'umana simpatia». TI generale lutane Matsui ha scritto : « Se sia nuvola o vetta, ecco non posso dire — la distanza fa del chiaro cielo una nebbia — ma si. dietro quella nebbia pallida campeggia un Immutato eterno picco — e col cader della luce oh! io so che è il Monte Fuji! » Vecchietti di settanta anni, generali d'un duro esercito di suicidi, l'esercito di un paese affondato nel feudalismo con la aspirazione disperata alla modernità, di fronte alla forca hanno preso il pennellino, l'inchiostro di China e si sono messi a scrivere di questi poemetti delicati come un velo di fiato che appanni un vetro. Ecco i figli, ecco le mogli, ecco i fratelli dei condannati a morte andarli a visitare nelle loro celle, e dir loro: «Morite bene ». I sette vecchi hanno sorriso, hanno detto lentamente «Saionara», cioè addio, come dovessero partire da Tokyo alla volta della spiaggia di Atami e dovessero tornarne il giorno dopo. Ognuno d'essi si è tagliato una scaglia d'unghia da un dito e un ciuf/etto di capelli alla tempia e ha consegnato quella scaglia d'unghia e quel grumo di fili grigi alla moglie o al figlio. (Non va). Non va neanche che le autorità militari abbiano ordinato' preghiere alle chiese delle varie confessioni per l'anima dei condannati fino al momento della esecuzione. E' un gesto stonato che ha messo il saio del sacerdote sulla giacca del militare. Le preghiere a Dio, semmai, vanno riuolte per l'anima di chi condanna, non per quella di chi è condannato. In questi casi chi deve pregare preghi al di fuòri d'ogni ordine. Alcuni secoli fa un grande spagnolo scrisse una definizione del criminale di guerra: «El venquido eu stempro trahidor ». Se il tribunale di Tokyo avesse letto Caideron de la Barca avrebbe forse dato una sentenza diversa. Virgilio Lilli

Luoghi citati: America, Tokio, Tokyo, Yokohama