Ladri di biciclette

Ladri di biciclette Ladri di biciclette Il temperamento, in uno lscrittore, è tutto, e qual dia- tvolaccio sia Luigi Bartolini, acquafortista, pittore, poeta, sautor di racconti a sfondo autobiografico come la Passeggiata con la ragazza, ed ora Ladri di biciclette (ed. Longanesi) le cronache politico-letterarie sanno. Fascismo, antifascismo, botte e risse, libelli e scontri, l'hanno tenuto al bando per molto tempo, e oggi ancora parecchi lo guardano con odio e timore (se n'ebbe la prova al premio St. Vincent), lo ignorano o respingono ai margini; e per parte sua è pieno di aculei, di risentimenti, e non perde mai l'occasione per un buon colpo di coda. Gran peccato, perchè quel tipaccio di Bartolini, che mette in carta ogni cosa, e persino gli amori e le beghe coniugali ed extra, e scrive imperterrito : « ma questi gusti elevati appartengono a Baudelaire e a me», piglia Rabelais sottebraccio, e crede che Joachin du Bellay fosse cardinale, e Giulio Cesare imperatore, ci ha dato non poche pagine fresche e di vena, e adesso, coi Ladri di biciclette, il suo libro più organico, davvero eccellente. (Fra parentesi, mi dicono che nel film omonimo n'è rimasto poco meno del titolo; oltre a un retroscena di liti, al solito). La sua continua polemica contro i letterati coetanei, si spiega. Bartolini, ch'è un marchigiano pronto e vivo, dalla lingua tagliente come la penna, una specie di Leo- netto Gipriani scrittore, cominciò a sfogarsi durante il ventennio nero, e si trovò subito addosso tanto i conformisti ed apologeti, quanto coloro i quali, pur non rifiutando le prebende, ai dedicavano all'ermetismo psettdo critico e pseudo poetico. Retorica da una parte, et tichezzà artistica dall'altra; non c'era campo per Bartolini, poco incline allo stile nazionalista, e con arie di gradasso, pulcino fra le camorre degl'imitatori di Mallarmé e della Nouvelle Bevve Francasse. Scalpitando, passò per varie disgrazie. e alcune avventure in cui è difficile veder chiaro la ragione e il torto, e riuscì in definitiva a cumulare le inimicizie dei letterati e quelle dei pittori, ancor più vive e serpentine. Cosicché, va oggi verso i sessanta, sempre con figura di esordiente, di spirito bizzarro, di dilettante, pur avendo pubblicato una dozzina di libri, non facilmente rintracciabili. • Quando penso a lui e ai suoi personaggi, oltre al Celimi, mi vengono alla mente Lazarillo de Tormes e i racconti picareschi ; lo vedo riallacciarsi di pieno diritto alla nostra tradizione cinquecentesca, proseguita nel Settecento con il Gorani e il Da Fonte, lo scorgo cittadino di una vecchia Italia gagliarda e colorita, sanguigna e spregiudicata, che resiste e persiste. Ladri di biciclette è la semplice storia del furto di una bicicletta, e degli sforzi per rintracciarla, con la scorata conclusione che, per rientrarne praticamente in possesso" conviene ricomprarla dai ladri I Dalle duecento pagine, esce un panorama della Roma 1944 che vale un Perù, balza una folla di personaggi vivi e parlanti, e il racconto, che non fa una grinza e non s'intoppa un istante, oontiene in filigrana le confessioni dell'artista povero e violento, prepotente e ingenuo, che non si ascoltano senza malinconia. Piace la franca stesura e lindura della pagina, certa grazia poetica fiorente in immagini lievi, il segno duro dèli acquafortista, l'epiteto crudo e proprio. Bartolini sa vedere, e quando gira gli oc-chi su di una piazza, un vicolo, un mercato, una bottega, una donna, le figure saltan fuori nitide e rilevate; c'è movimento e colore. Il suo realismo è privo di partiti presi, di substrati ideologici; è l'applicazione della vecchia massima che l'arte deve riprodurre la natura, da qualcuno tradotta : un miroir qui se promine le long d'un chemin. Ora, la fetida Roma delle vie popolose, piene di gatti e di rifiuti, di odori nausea bondi e di creature chiassose e sboccate, lo ispira. Pittore, ritrae una modella dopo l'altra con pochi tratti, ne coglie i segni del sudiciume, ne respira il profumo dozzinale, s'accorge dello sta to della sottoveste, dei peli sulle gambe, e obi vuol veder la differenza fra la sanità elementare del Bartolini, e le finezze sensuali e cerebrali di certa ecuoia francese, confronti le Soeurs Vatard, di Huysmans. I suoi volti di ladri, di favoreggiato- pzds li, di ricettatori, formano tutta una galleria, e le sce ne poliziesche, di un comico squallore, sembrano tolte dal teatro di Eduardo de Filippo. L'acutezza dell'osservazione sfiora talvolta il paradosso: «i suoi occhi — generano chiari color delle acque torbide, con riflessi come d'acque che sanno d'orine di muli ». Ma che delicate movenze, nel paragrafo sui primi voli dei fringuelli (p. 162), e leggerezza di tòcco nel disegno di una «celeste anarchia», di un governo-ombra, di quel sogno d'Arcadia che ogni artista porta in sè. Così, Ladri di biciclette, dove passeggiano paltonieri e meretrici, s'agita e ribolle il fiore della malavita, è un libro candido, e di una moralità umana, tanto rara oggi da esser segnalata. Le distinzioni fra il bene é il male scompaiono, nessun compiacimento esiste per l'osceno, manca la retorica dei cenci e dei pidocchi, ogni declamazione è assente. Bartolini ci narra.le sue disgrazie e le sue passioni, scapacciona gli omuncoli che si è trovato fra i piedi, gonfia, è vero, un po' il petto e si accarezza i muscoli ; però, in sostanza, resta un fanciullone, la cui caccia al velocipede è condotta con senso sportivo. E' sincero quando dice che la città lo soffoca, e deve andare a respirare aria dì prati e di colli: il brulichio dei miserabili, gli antri e gli abituri, le reti delle complicità delle omertà, lo sfacelo morale dilagante e ormai cristallizzato, il vano, bambinesco e ridicolo appellarsi alle «colonne della società», polizia e magistratura, finiscono per fargli orrore. Quevedo con La vita del pitocco. De Foe con Moli Flanders, il Dickens di Oliver Twist, apron la serie dei «libri della fame», in cui si inserisce Ladri di biciclette. E non c'è sociologo e politico, alle prese con questa materia, capace di scuoterci più a fondo: poche immagini, incancellabili, e l'incubo è creato, la coscienza rimorde. Arrigo Cajumi

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