Il pianoforte

Il pianoforte Il pianoforte per come dice¬ vi son oerte ore ch'io resto solo e sento la solitudine della casa immersa nei giardini che serbano ancora qualcosa di monacale dei tempi quando non erano, qua, che conventi. A poco a poco anche in me sale la melanconia: una melanconia antica, d'antiche cose. E' allora che io apro il pianoforte e dagli ecaffali della musica traggo «no dei vecchi spartiti della raccolta paterna e riaccenno, e di tratto in tratto rieseguibco, abbozzando l'accompagnamento, il recitativo e l'aria d'una romanza «basso-cantante » vasi allora, d'una qualche opera famosa un secolo fa, oggi sconosciuta, o che da anni e anni non si dà più: I Normanni a Parigi di Mercadante, II furioso all'isola di San Domingo, o una delle Marie: la Maria di Rohan, la Maria Padilla, la Maria di Rudenz di Donizetti. E per me nulla ha tanta potenza quanta il riudire quella mia voce che un tempo cantò questi pezzi. Si esprimeva in essi un mondo così distante dall'oggi come se fosser passati millenni, un mondo che nella romantica ebbrezza del sentimento, nel delirio della passione trovava la sua suprema delizia. Già quest'effetto di lontananza, questo profondissimo cambiamento nella concezione della vita òpera l'incanto: « in tale atmosfera i ricordi acquistano la loro forza poetica. Sono i ricordi di quella parte dei rapporti miei con mio padre che fu la sola in cui, dopo la mia adolescenza, si stabilisse un qualche affettuoso contatto. E ora che ogni giorno di più veggo e sento mio padre in me stesso, da quando la sua morte me lo rivelò così opposto all'immagine che m'ero formata di lui, ne più m'era dato rimedio, ora tali ricordi son come impregnati di codesto dolore, di codesta irreparabilità. (Le serate musicali in casa mia quand'ero fanciullo. Dolce m'era addormentarmi e sognare a quei canti: e alcuni sono tra quelli che io ora ripeto. Mio padre che riga col (tpèttine» le pagine della «carta a mano» e traccia quei segni così eccitanti per la mia fantasia. E di tanto in tanto si alza e va .di là, al pianoforte, e saggia gli accordi. E quando in me avvenne il mutamento della voce, alla crisi della pubertà, egli incominciò-a dare anche a me lezioni di musica. Erano ancora i tempi delle passeggiate insieme: gli 'Ultimi tempi. E fu andando e tornando da San Felice a Ema, da Santa Margherita a Montici, che imparai il valore delle note e i tempi e i toni e modi e i principi fondamentali dell'armonia. In casa poi, come divago e a premio, tra un'ora e un'altra dello studio scolastico, la lettura del setticlavio e il solfeggio parlato e l'applicazione pratica al pianoforte. Veramente un premio era quell'ora per me. Mio padre attenuava il distacco e l'austerità: lo sentivo vicino, desideroso di attrarmi, e dentro di me rispondevo con tutta l'anima aquesto richiamo. Ma forse... forse io non lo davo a conoscere come mio padre non lasciò a me conoscere in tanti altri più gravi momenti tanta altra parte più essenziale di sè. Era già incominciato l'allontanamento, il fraintendimento allorchè mia madre: — Sai, il babbo avrebbe piacere d'insegnarti anche il canto. Sarebbe per lui una distrazione, un ritorno ai bei tempi. — E perchè non me lo dice da sè? — Lo sai com'è il babbo. E quand'avrete incominciato, abbi pazienza, sii docile; non gli amareggiare questa consolazione. E l'insegnamento ebbe principio. Impostazione della voce. Note essenziali delle tonalità. Vocalizzi. Filare e portare la voce. Intervalli. Metodo Lablachej studi del Vaccai. E solfeggi, solfeggi, solfeggi. Ma di cantare veramente un pezzo, una romanza, un'aria, erano mesi e mesi e non se ne parlava. Proibizione assoluta di emettere la voce per conto mio, di accennare anche a mezza voce per conto mio. Io avevo una voce di basso, facile estesa ed unita che con l'esercizio era giunta, negli acuti, al possesso sicuro del sol. Abitavamo al Viale dei Colli. Dalle finestre del salotto si vedeva il viale. E io mi ricordo, l'estate, quando la mattina prendevo lezione, notavo soffermarsi i passanti e sostare ai miei vocalizzi ; e io stesso provavo un godi . r . , _i mento di curiosa natura al- l'ndire spaziar la mia voce armonizzando con la bellezza e l'ariosità dei luoghi, su fino alle tombe bianche delle Porte Sante. E la notte, quando uscivo dopo cenato, le belle notti stellate, • la luminosità di Firenze laggiù, il silenzio era troppo invitante e io non resistevo: Bella e di sol vestita, mi sorridea la vita... Ma il coronamento dei lunghi insegnamenti, l'esecuzione non a mio talento ma regolata dalla sapienza paterna fu breve. Già all'inizio delle lezioni mio padre aveva accusato un'uggia al pollice destro; per una bruciatura — egli disse — con la ceralacca nel sigillare una lettera. E cominciò a portare un ditale tolto da un vecchio guanto. Nessun lamento, nulla che desse a divedere una sofferenza. Io però mi accorgovo che al pianoforte egli risparmiava il più possibile l'uso di quel dito. Di mese in mese il suo compito visibilmente diveniva per lui doloroso. Quando alla fine della lezione s'alzava, manifesti eran i segni, nel viso, dei patimenti taciuti.- Le lezioni si fecero, con una scusa o con un'altra, più rade. — Che ha il babbo a quel ditol Perchè non se lo fa veder dal dottore! — Tu sai com'è fatto. — Ma tu, l'hai visto! — S'è rifiutato di farlo vedere anche a me. E mia madre non riusciva a dissimulare la preoccupazione. Io non chiedevo più ch'egli mi facesse lezione. — Bruno s'è disamorato anche del canto. Non ha carattere. Non ha pazienza. 10 lasciai ch'egli credesse che fosse così. Qualche mese dopo andavo sotto le armi. E sotto le armi mi rovinavo la voce. Al ritorno, mio padre volle fare una prova. Quando fui all'emissione del mi acuto, chiuse il pianoforte, tentennò il capo e uscì dal salotto senza dirmi nulla. Era anche quello per lui un altro dolore. — Un altro dono che Bruno ha sprecato. E i rapporti.tra noi si fecero sempre più quali fra estranei. Si può dire che non ci scambiassimo più una parola. E nulla era avvenuto che portasse questo. 11 pianoforte — ora stavamo in via Santa Maria, di là d'Arno, in una disadorna e quasi squallida casa — il vecchio pianoforte da anni non accordato più, dal suono ormai che ricordava le nàcchere, non era più toccato. Mio padre portava sempre il ditale ma aveva ora al costato la stessa cosa che al dito. E ancora, per illuderci : a Tenni troppo tempo quel senapismo sul petto». Finché una mattina, di Pasqua, la mamma mi sveglia: — Il babbo non parla più. Quello che furon le ore ch'io passai tenendo nella mia mano la mano di mio padre che, muto, me la stringeva, i suoi occhi nei miei, quello che non le nostre anime ma la parte più profonda ancora, inconscia, del nostro io misterioso rivelò l'una all'altra nel silenzio dell'increato, non può umanamente ridirsi. Ma quando s'aprì il testamento, mio padre lasciava, in prelegato, «tal suo caro Bruno» la libreria della musica. Bruno Cìcognanì

Persone citate: Bruno Cìcognanì, Donizetti, Maria Padilla, Mercadante

Luoghi citati: Ema, Firenze, Montici, Parigi, San Felice