Sulla tragedia di Fiuggi non è detta l'ultima parola?

Sulla tragedia di Fiuggi non è detta l'ultima parola? Sulla tragedia di Fiuggi non è detta l'ultima parola? Libotte: "Uno dei più grandi errori giudiziari,, • L'avv. Pacini parla di complici - L'emozionante incontro della madre col figlio Roma, 12 novembre. Arnaldo Graziosi questa mattina ancora non aveva saputo nulla di quello che aveva deciso la Cassazione. La notizia, la terribile notizia che tutti conoscevano non era trapelata e Graziosi continuava ad illudersi. Non aveva passato, però, una notte tranquilla nonostante fosse sorretto da una grande speranza. Aveva passeggiato nella cella, fumato più del solito, lui'che fuma tanto poco; aveva parlato per ore e ore con un compagno di sventura che sapeva e che non osava guardarlo negli occhi per non farsi carpire il segreto. Il tempo era trascorso e, sopraggiunta l'alba, le prime luci avevano cominciato a iiiiiiiiiiiiiiiimiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiii rendere visibili le cime delle montagne vicine: l'aria fresca del mattino, invece che calmare, aveva eccitato sempre di più l'uomo che attendeva. Venne l'ora che gli spenditori escono dal carcere per la spesa: Graziosi ne chiamò uno, lo pregò di comperargli i giornali. Non ne poteva più. A lui avevano detto che la Corte avrebbe deciso solo al mattino, ma « non si sa mai — si era chiesto — potessi capire fra le righe qualcosa per mettere almeno 1 anima in pace!». Il compagno disse di si, che sarebbe uscito e che gli avrebbe portato tutti i giornali che avesse trovato. Graziosi continuò a passeggiare, a chiacchierare, a fumare. Passò, cosi, un'altra ora: ormai nei carcere tutti erano in piedi, Qualcuno già lavorava, qualcuno cantava. Il compagno tornò con 1 giornali: glieli diede con un gesto quasi sgarbato e andò via di corsa: « Beh, amico — gli gridò dietro quasi scherzando Graziosi — mi hanno fregato?». Solo l'eco gli rispo se. Ci rimase male a questo silenzio; ma non gli dette un gran peso e cominciò a sfogliare lentamente 1 giornali. Le mani gli tremavano: sembrava che stesse giocando a poker e che si divertisse per rendere più emozionante il momento — a «pizzicare» le carte. Vide un titolo a quat tro colonne e lo guardò meglio, sgranò gli occhi. Non volle credere. Apri un altro giornale, vide un titolo, sempre a quattro colonne. Li aprì tutti con mossa fulminea: tutti, tutti, tutti dicevano la stes' sa cosa: « n ricorso di Graziosi respinto dalla Cassazione »; « La condanna di Graziosi confermata dalla Corte suprema»; «Graziosi sconterà 24 anni di reclusione ». Sembrò che le mura del carcere gli cominciassero a girare intorno; non gli sembrava di essere più neanche vivo. Il pacco dei giornali gli scivolò dalle mani: si appoggiò, istintivamente, a una parete per non cadere. Un groppo alla gola gli impedì di parlare. Qualcuno gli si fece vicino, cercò di consolarlo. Una lagrima gli rigò il volto: fu tutto, Poi si riprese e uno scialbo sorriso, il sorriso del rassegnato, gli increspò le labbra. - «Ormai che volete consolare? — mormorò — non c'è più niente da fare! ». Poi pensò alla madre e diventò più triste. «Povera mamma! Questo processo proprio non lo meritava! ». Ebbe uno scatto, sembrò scuotersi di dosso qualcosa, se ne andò a lavorare nella sala dell'amministrazione come se quello fosse un giorno uguale a tutti gli altri. E cosi arrivò au mezzogiorno^ -edre. Credeva di dover dare lei la notizia al figlio; entrò nel carcere: se il figlio non averse già saputo non avrebbe avuto bisogno di domandare. Sa¬ rebbe stato sufficiente che la avesse guardata in faccia, tanto erano chiari i segni della sofferenza e del dolore. Madre e figlio non si dissero nulla: si abbracciarono e piansero. Nessuno dei presenti osava parlare. Trascorsero i minuti; alla fine Graziosi si asciugò il volto. Era la prima volta che piangeva con uno sfogo sincero. Si sciolse dall'abbraccio. Nel silenzio della piccola stanza solo un mormorio si poteva afferrare: « Non ti preoccupare mamma, non ti preoccupare; sta tranquilla. Ricordati che tuo figlio è innocente e che qualcosa dovrà pur accadere!». Che cosa deve accadere? Ottavio Libotte, passato il primo attimo di sbigottimento, non si è dato per vinto. Una sola strada gli è rimasta aperta, oltre la grazia che può essere chiesta solo dopo avere scontato metà della pena; la revisione di tutto il processo. Ed è per questo che egli si batte ancora e « mi batterò — dice lui — fino a quando non sarà sanato uno dei più clamorosi errori giudiziari del secolo». Ed è per questo che già. si è messo alla ricerca di elementi, testimonianze, indizi, prove che gli diano la possibilità di avanzare una richiesta di revisione. Se Libotte lavora, Pacini, il suo avversario non sta fermo; e ora che la giustizia umana ha bollato come assassino Arnaldo Graziosi e ha detto che Maria Cappa non si uccise ma fu uccisa, si propone di portare — come aveva promesso già al tempo di Frosinone — sul banco degli imputati coloro che, secondo lui, parteciparono al delitto. Insomma, tutto fa pensare che il caso del maestro di plano Arnaldo Graziosi e di Maria Cappa non sì debba considera, chiuso neanche con la parola della Corte suprema di Cassazione.

Luoghi citati: Fiuggi, Frosinone, Roma