Graziani fa l'esaltazione della repubblica di Salò

Graziani fa l'esaltazione della repubblica di Salò Graziani fa l'esaltazione della repubblica di Salò "Se mi ritrovassi nelle stesse condizioni del 23 settembre 1943 mi regolerei allo stesso modo,, - In luglio con Mussolini, in agosto col re, in settembre coi tedeschi - Per Badoglio "non odio ma disprezzo,, (Dal nostro inviato speciale) Roma, 14 ottobre. Graziani, che ama di professarsi cattolico apostolico romano convinto e credente, conosceva le vie della fede ma è negato a percorrere quelle del pentimento e della redenzione. E non vogliamo alludere qui al suo atteggiamento verso gli inglesi, ai quali dichiara che non si sarebbe unito ad alcun costo, perchè « li ha odiati li odia e li odierà sempre » ritenendoli i responsabili maggiori della nostra rovina, ma all'atteggiamento che egli ha assunto di fronte al Paese dopo l'8 settembre. Ponendo termine oggi alla prima parte della sua esposizione relativa appunto agli avvenimenti seguiti all'8 settembre, Graziani è giunto a questa stupefacente conclusione: «.Se dovessi ritrovarmi domani nelle stesse condizioni di fronte alle quali venni posto il 23 settembre 1943 (quando nella sede dell'Ambasciata tedesca egli -aderì all'iniziativa mussoliniana del governo repubblichino e entrò a far parte della compagine dei traditori di Salò come ministro della difesa nazionale) io mi regolerei allo stesso modo. Lo dico non per spavalderia, ma per intima e profonda convinzione ». Il mistero d'una lettera In questa dichiarazione, fatta con voce tagliente e altisonante, quasi con tono di sfida alla Corte che lo va giudicando, è tutto Graziani: la impulsività che si spòsa nella natura del suo carattere alla caparbietà, il furibondo prepotere dell'io, la passionalità che ispira tutti i suoi atti. La sua tesi difensiva circa il comportamento tenuto dopo la caduta del fascismo è semplice: il 24 luglio ebbe un colloquio con Melchiorri in cui si dichiarava pronte ad assumere la carica di capo di Stato Maggiore Generale se Mussolini gTiel'avesse affidata. (La offerta della vita a Mussolini e quanto altro Melchiorri eb- lllllIllMtllillllllllllIllIllllIllllllllSlll ■■■■Illlll nimiiiinninitiiiitiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiibe a scrivere nella lettera indirizzata al capo sono. « tutte storie », dichiara Graziani, aggiunte dallo zelo di Melchiorri). Ma, tramontato il regime, egli non ebbe più contatti con gli ex-gerarchi, nè ebbe a cercarne con Badoglio o con gli uomini del nuovo governo, u. quanto faceva Badoglio era tuttavia informato, minutamente, da una famiglia che abitava in contiguità alla stessa casa di Badoglio e che seguiva i movimenti del Maresciallo, annotava le visite che riceveva, cercava di scoprire le fila dell'attività che egli andava svolgendo. La notizia dell'armistizio Graziani l'ebbe, come tutti gli italiani, dalla radio. E allibì all'annuncio: subito gli si affacciò il quadro di quelle che dovevano essere le conseguenze: l'esercito sfasciato, il Paese diviso, l'ira tedesca scatenantesi per le nostre contrade. Il giorno avanti, ad Anagni, aveva avuto un colloquio col Principe Umberto, ma questi non gli aveva, in alcun modo, accennato all'evento e del resto dall'aiutante di campo del principe, Marzano, che il princirje colonnello di San apprese più tardi cipe non aveva lasciato "trapelare con alcuno la notizia. Molto più tardi, vale a dire al suo ritorno dall'Algeria, Graziani apprese du un nipote che era rimasto al Sud, Giulio Cesare Graziani, valoroso ufficiale dell'aviazione, che il principe, incontrandolo su un campo, gli aveva detto: « Ho indirizzato a tuo zio una lettera a mezzo di un ufficiale fidato; ma, disgraziatamente, questo ufficiale è caduto nelle mani dei tedeschi che l'hanno ucciso ». Dopo l'8 settembre — Questa lettera — aggiunge Graziani — resta per me un mistero. So che c'è a Roma una Principessa che è al corrente della cosa e so anche che nella lettera il principe mi diceva: «Avrei voluto vederla, ma me lo hanno impedito ». La lettera, comunque, finì nelle mani di Hitler, mentre le S.S. avrebbero voluto trasmetterla a Himmler, il quale, tuttavia, fini con l'esiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiuiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiii seme informato, tanto che diede istruzioni perchè si diffidasse di me. Dopo 1*8 settembre Graziani restò, quasi permanentemente, nella sua proprietà di Arcinazzo -a- curare i propri interessi. Venne a Roma di tanto in tanto per provvedersi del permesso di circolazione che, su interessamento del conte Calvi, gli fu rilasciato dal generale Stheil, e poi per ottenere dai tedeschi la restituzione degli automezzi che gli erano stati rubati ad Arcinazzo e che erano Indispensabili per il funzionamento della sua azienda agricola Gli automezzi, tuttavia, non gli furono restituiti. Il generale Stheil, col quale cercò di parlare, lo tenne alla porta. In occasione di queste saltuarie gite a Roma Graziani si incontrò con De Bono il quale gli annunciò che Caviglia avrebbe formato un ministero di cui avrebbe ricevuto il posto di ministro dell' Interno. Ma Caviglia smentì invece la notizia dichiarandola una fola. Taluno, e tra questi il commissario Allianello, afferma di averlo visto entrare all'ambasciata tedesca il 9, 10, 11 e 12 settembre; ma Graziani protesta e ^dichiara che può trattarsi di un suo sosia: in effetti egli non aveva allora alcun interesse a « infognarsi > nè coi tedeschi nè coi fascisti: pensava a salvare la sua proprietà, a mandare avanti la sua azienda. Ed ecco che, il 19 settembre apprende dal generale Grazioli che il suo nome è stato fatto come ministro della Difesa nel nuovo governo di Mussolini. Graziani dichiara di aver avuto un impeto di rivolta, ma il 22 settembre ricevette la visita di Barracu, il quale gli annunciò che Mussolini da Monaco aveva telefonato designandolo a ministro della Difesa. — Mia moglie — continua Graziani, — quando seppe dell'invito che mi si faceva, mi scongiurò: « Per carità non accettare ». Disgraziata donna, che da quel momento fu destinata al dolore! MI riservai comunque di parlare con Mezzasoma, il solo gerarca che io stimassi profondamente e nel quale avessi fiducia; e il 23 venni a Roma, dove fui portato poi a colazione all'ambasciata tedesca. Se non sono morto quella mattina non morirò più. Certe cose si subiscono, come si subiva l'olio di ricino al tempo dei fascisti. A Barracu e agli altri avevo obbiettato che non mi sentivo di accettare. « Mi avete ridotto uno straccio! », dissi alludendo al trattamento fattomi dal regime dopo il richiamo dall'Africa. Ma Barracu aveva insistito e in appoggio a lui era intervenuto Pellegrini, un mutilato ed un eroico combattente anche lui. All'ambasciata trovai Buffarmi e Pavolini che io investii vivacemente: «Come, dopo tutto quello che avete fatto e detto contro di me, avete il coraggio ora di fare appello alla mia persona? ». Intanto ci avvertirono che il ministro Rhan ci attendeva. Entrammo e Rhan fece capire subito che se non si costituiva subito un governo per riparare al tradimento, il nostro paese sarebbe stato trattate alla stregua della Polonia. Si intavolò una discussione che non sarebbe finita più se Rhan non ci avesse posto duramente di fronte al dilemma. E io vidi subito il danno che ne sarebbe venuto alla patria. L'emotività ebbe 11 sopravvento. Mi alzai in piedi e dichiarai: «Io non ho mini¬