L'allegro pessimista

L'allegro pessimista L'allegro pessimista Ci sono uomini che come quegli uccelli chiamati appunto procellarie i quali, per nulla epaventati, si librano e svolazzano sui mari in tempesta e sembrano inebriarsi della violenza della burrasca, provano non so che piacere a trovarsi nel mezzo di una catastrofe o quanto meno a prevederne e vagheggiarne i disastri. Essi sono oggi più frequenti di un tempo forse perchè la nostra epoca è tanto più catastrofica di quelle passate e l'uomo, come tutti gli altri esseri viventi, si uniforma alle condizioni in cui è costretto a vivere. Uno di questi uomini è senza dubbio il mio amico Gaetano. Ma non parlerei di lui se, tra tanti pessimisti lugubri, egli non rappresentasse la figura piuttosto originale del pessimista allegro, giulivo, addirittura esultante. Gaetano è un uomo vigoroso, pieno di salute, con una bella faccia rossa, occhi di fuoco e una di quelle risate irresistibili che fanno ballare le guance al ridente e gli scoprono i denti fino alle orecchie. La combinazione di questa allegria contagiosa con le più infauste circostanze forma appunto l'originalità di Gaetano. Se poi ed volesse sapere il motivo profondo di una letizia così insolita, dirò che Gaetano nei disastri si trova nel suo elemento, come, il paragone è abusato ma sempre calzante, un pesce nell'acqua. Quella sua ilarità tra crudele e innocente non è che l'espressione di una vitalità stimolata e centuplicata dall'incontro con una situazione favorevole. Insomma, Gaetano è un figlio schietto del nostro tempo e non è colpa sua se, portato per natura a ridere, in mancanza di cose fauste e liete gli tocca ridere delle infauste e tristi. Ricordo di Gaetano una quantità di aneddoti che tutti confermano questo suo carattere. Ma forse non vidi mai Gaetaho così allegro come nel tristissimo periodo della nostra vita pubblica che cominciò a un dipresso con lo sbarco degli alleati in Sicilia e finì con l'occupazione del Nord Italia. Si badi: il patriottismo di Gaetano non è da mettersi in dubbio ; *> più di una volta nella fragorosa risata che accompagnava le più funeste constatazioni e previsioni mi parve di avvertire un'amarezza e un dolore profondi; ma, infine, egli era nato per quell'atmosfera luttuosa e phi potrebbe rimproverare alla cicala di frinire d'estate o alla rana di gracidare dopo le piogge? Venne l'estate del 1943 e Gaetano, dopo avermi riso in faccia in piazza di Spagna, mentre le granate tedesche volavano sulla città desolata, scomparve del tutto. La guerra civile disperse in quei tempi le compagnie e ciascuno pensò a se stesso, e io, come gli altri, dovetti nascondermi. Non importa dir come, fatto età che un mese dopo il mio ultimo incontro con Gaetano, mi trovavo in cima ad una montagna dirupata, vestito di stracci puzzolenti, sotto un cielo percorso dagli aeroplani, con una capanna per abitazione e un gruppo di contadini analfabeti per compagni. Pioveva a dirotto e i profughi che si erano rifugiati in quelle montagne e vivevano' in grotte e capanne, soffrivano -molto. Là dove la linea del fronte passava at traverso qualche villaggio, i tedeschi evacuavano gli abitanti con inutile e spettacolare spietatezza. Mi giunse uno di quei giorni l'eco di simile evacuazione di un minuscolo borgo montano. Nottetempo, i camion tedeschi erano entrati rombando nel l'abitato, i soldati avevano percorso le strade con grande fracasso di scarpe chiodate e avevano, sotto la pioggia scrosciante, gridato l'ordine: venti minuti per raccogliere le poche cose indispensabili e poi tutti in camion aperto alla volta del campo di concentramento situato ottanta chilometri più a nord, nei pressi di Frosinone. Chi mi raccontava questa scena, con apatica e quasi ironica so brietà, era un giovane scappato dal rastrallamento che si asciugava le ciocie fradice dopo aver percorso venti chilometri a piedi ■ per portar notizia di certi parenti ai contadini che mi ospitavano Egli soggiunse che, per fortuna, in quella famiglia ridotta alle sole donne (gli uo mini si trovavano in Russia e nei Balcani) un profugo cittadino fungeva validamente da pater familias, aiutandole e confortandole. Certe frasi del contadino mi misero in sospetto. Lo pregai di descrivermi quel profugo. Egli mi diede qualche ragguaglio 6ulla persona fisica e poi soggiunse; «Uno che ride sempre... e quando le cose vanno male, ride di più». Esclamai, illuminato: «Gaetano». Il contadino rispose che infatti il profugo si chiamava Gaetano ; e fu così che per la prima volta ebbi notizia del mio lugubre e giulivo amico. Un mese dopo, tornato finalmente il bel tempo, salii in cima alla montagna sulle cui pendici si aggrappava la mia capanna, ad un pratello dal quale si scopriva una vista magnifica sui monti nevosi della Ciociaria, sulla pianura di Fondi e sul mare fino all'isola di Ponza. Non c'era un rumore la6sù; nel silenzio si udivano soltanto le lontane esplosioni delle mine con le quali i tedeschi facevano saltare in aria le dighe e i ponti delle bonifiche pontina. Ma udii improvvisamente parlare su un sentiero sottostante e mi affacciai al ciglio del burrone, nascondendomi in un cespuglio. Vidi allora, spuntare in fondo al sentiero una curiosa processione. Una decina tra vecchi, donne e bambini avanzavano con passo tranquillo di montanari, in fila indiana. Erano, o così mi parve, tutti vestiti a festa, gli uomini di nero con il cappello, e le donne con il busto, le buccole e le lunghe, pesanti gonne che spazzavano le pietre del viottolo. Ma le donne portavano certi immensi fagotti sulle teste e questo rivelava che, nonostante la tranquillità del loro passo, essi fuggivano e comunque emigravano. Poi, in fondo alla mulattiera, dal folto di un cespuglio che ne dissimulava la curva, udii una voce esultante esclamare : « Per me andiamo pure... ma appena a valle, i tedeschi ci piglieranno e ci riporteranno al campo... vedrete se non è vero ». Nello stesso tempo scrosciò una risata rumorosa, limpida, trionfale. «Madonna, fa' che non sia vero », dis se una delle donile segnandosi. «Ma è vero... 0 meglio sarà vero tra un paio d'ore », rispose la voce con un'altra risata. Mi sporsi e vidi venire sul sentiero, un bambino di tre anni in braccio, Gaetano. Era coperto di etracci, ma per il resto, giulivo e catastrofico come sempre. Allora lo chiamai per nome e lui, al zando la testa e riconoscendo mi, sebbene fossi, come lui, stracciato e irsuto, scoppiò nella più rimbombante risata che gli abbia mai sentito fàrer Finite le accoglienze, egli mi spiegò : « Siamo fuggiti dal campo di concentramento., queste stupide vogliono tor nare per forza a casa... delle vere formiche... e non sanno che le case non ci sono più ». Le donne a queste parole, mentre lui rideva a squarciagola, si segnavano protestando, ma mi parve che lo considerassero con affettuosa simpatia. «Don Gaetano vede sempre tutto brutto», disse una vecchia, «ma poi ci ride sopra e non ci pensa più » Gaetano, sempre ridendo, mi comunico un certo numero di previsioni, una più funesta drcltprddzdvcnLvsslsNilsmc■ dell'altra, quindi, a suon di risate, radunò la sua piccola carovana di ciociare, mi salutò e si allontanò. Seppi dipoi che, come Gaetano aveva preveduto, quei poveri contadini erano stati respinti dai tedeschi al campo dal quale erano fuggiti. I tedeschi, avvezzi alle popolazioni consapevoli e nemiche del nord Europa, non capivano niente della 'mentalità candida e furba insieme dei nostri contadini meridionali. Li prendevano, quelli scappavano, li riprendevano, quelli scappavano di nuovo. I tedeschi pensavano alla weltpolitik e i contadini invece pensavano al paese. E Gaetano? Non l'ho più rivisto da allora, immagino che sia in qualche luogo ridendo, al solito, a squarciagola della guerra imminente, della bomba atomica e di altre simili amenità. Alberto Moravia

Persone citate: Alberto Moravia

Luoghi citati: Frosinone, Nord Italia, Ponza, Russia, Sicilia