De Sica e il suo "Bru',,

De Sica e il suo "Bru',, De Sica e il suo "Bru',, ROMA, settembre. Conobbi De Sica sulla terrazza d'una società di canottieri. Io ero ancora studente; e lui cominciava appena, attoruccio volonteroso e gentile. La prima volta che abbozzammo una chiacchiera schietta, da un'altra a dia a sdraio la voce di un importante avvocato, che di teatro se n'intendeva, quasi ci zittì : «Avete un bel dire, Ibsen è soltanto noioso». Stavo per replicare ; ma mi trattenne uno sguardo di De Sica, che volle invece rispondere con un «Certo, certo» molto indulgente. L'avvocato ebbe un mugolìo, li aveva «messi a posto», quei due ragazzi; e noi, occhi chiusi, tornammo a rosolarci al eoi e. Poi i nostri incontri si fecero sempre più rapidi e saltuari. Era ormai ' un attore fortunato; ma un po' troppo mondano, un po' troppo elegante. Piaceva molto alle signore. De Sica parodista, De Sica che canticchiava «Lodovico sei dolce come un fico», De Sica-Za Bum; perchè tanta sorridente e piacevole disinvoltura? Quando si accostò al cinema, e in un film di Camerini ci diede una sincera figura di popolano, si ricomincio a sperare ; ma poi, obbedendo all'ineffabile fiuto dei suoi produttori rièccoci a un De Sica più che mai in marsina, più che mai «tanto carino». Un giorno si seppe che avrebbe tentato la regìa; e un «Dio gliela mandi buona» l'accompagnò. Ma un suo film, Maddalena zero in condotta, non deluse; e Teresa Venerdì fu poi sùbito una rivelazione. Avevamo un regista, un regista vero,; ed è nota la sua ascesa fino a Sciuscià, che portò il suo nome in tutto il mondo. Piovvero offerte: che De Sica, dolcemente, rifiutò. E preferì tacere per più di un anno, fin quando non si accinse al «suo» nuovo film, dal titolo fin troppo semplice e me1 Ladri di biciclette, la c vorazione si può consideiaie conclusa. * * Nella piccola sala di proiezione, sembra quasi scusarsi: — Te l'ho detto, è ancora muto. — Non importa. — E allora ti farò io il sonoro. Non appena il primo rullo ai sgrana, la voce di De Sica abbandona' quel suo accento un po' vellutato, nel quale invano tenteresti di ritrovare un'eco partenopea; e si trasforma in una gamma di voci romanesche, asciutta per il padre, up po' in falsetto per la' madre, un po' nasale per'il bambino : i tre eroi della sua vicenda. — Riassumi, non ti stancare. — E che vuoi? So' attore. Vedo oosì il suo nuovissimo film, ancora maculato dai freghi violacei della matita del montaggio, e recitato da questo eccezionale «doppiatore» d'occasione: che caletta, alle labbra di quelle ombre, persino la sillaba 0 l'interiezione con tempi e toni infallibili. E' un film schietto, semplice, umano; e « nostro 1 come pochi. E' uno scorcio di vita romana, dei quartieri popolari, in questi anni difficili. La disoccupazione è l'incubo di molti, di troppi; e quando questo povero Ricci Antonio fu Giuseppe, a un ufficio rionale di collocamento, si sente dire che il posto c'è, quasi non ci crede. Farà l'attacchino, gli daranno una bella tuta, un bel berretto; lui, però, dovrà avere la bicicletta. « 0 che non ce l'hai ? ». c Ce l'ho, si, ce l'ho! ». E se ne va, con un volto atterrito. La bicicletta l'aveva; e l'ha impegnata. A casa Mari, la moglietta, lo conforta; e poi energica decide: si potrà dormire anche senza lenzuola. Impegneranno le lenzuola per disimpegnare la bicicletta. E l'attesa, la trepidazione, in quel Monte di Pietà, tutto un cimitero di spente speranze e di dolorose rinuncio: tutto un piccolo mondo delineato in un racconto sempre sobrio e commosso, con al centro questo « regazzino » di sette anni, questo piccolo Bruno («Ohi Bru'!»), che, con due occhi sgranati, tristi e fidenti, segue il padre negli inizi della grande avventura che darà «da magna» ogni giorno; e quel diritto al lavoro e alla vita potrà persino apparire come un dono meraviglioso, a chi ha fin troppo disperato d'averlo. — Te piace? — Molto. — Je voi già bbene, a 'sta gente ? Mi guarda proteso: — Perchè tutto è Ili. E, con un piede, m'avvi¬ cina una latta che, sull'impiantito, ci serve da portacenere. * * Il lavoro del padre di Bru' comincia il mattino d'un sabato; fra una settimana ci sarà la prima busta-paga. Ma mentre il neo-attacchino, fervido, intento, sta incollando una monumentale e procace Rita Hayworth, un ladruncolo s'avvicina, ghermisce la bicicletta, scompare. E comincia allora la ricerca affannosa, per tutta la domenica: una domenica come.ee ne son tante a Roma, acquazzoni e schiarite, pie riunioni e l'incontro di calcio, molte fojette e profonde dormite. Tra quelle folle diverse e indifferenti, padre e figlio cercano e frugano; è una ricerca ansiosa, in crescendo, con il piccolo Bru' che ora si fa attento e ingenuo segugio, ora è la vittima delle improvvise collere del padre, ora accoglie incredulo le sue rudi tenerezze altrettanto improvvise. Anche i loro amici sono naturalmente mobilitati; ed è come un'assillante e patetica caccia al tesoro,. la cui posta è il pane dei giorni che verranno: tutta una piccola odissea, ricca di spunti comici e di amarezze infinite, con una Roma solenne vista molto di scorcio, e quella popolare frugata in tipi e ambienti impensati. (Ma come il film si concluda ve lo vedrete fra due o tre mesi). Al settimo rullo mi giunge un sommesso « Te va ?» ; e poi, soddisfatto, De Sica torna a riaccendersi, per l'ennesima volta, la pipa. « Doppiando » i suoi romani parla anche a me, senz'avvedersene, un po' in romanesco; ma ora che la proiezione è finita, riprende quel suo accento caldo, un po' molle; e allarga le braccia, con uno sguardo dolce e affettuoso, di buon ragazzo che dica: ho fatto tutto quel che ho potuto. (Lo stesso sguardo di quanto un mattino m'incitò a star zitto, per quelle parole d'un avvocato importante). La meritata fortuna non l'ha per nulla mutato. Ha soltanto un po' d'argento alle, tempie, il sorrjspmeno smagliante per il troppo tabacco; ma lo sguardo è talvolta come quello d'un bimbo: d'un artista vero, scrupoloso e modesto. Non può «fare» un film; deve, anzitutto, commuoversene, «sentirlo». Questo fanciullone un po' brizzolato è uno dei pochi registi che oggi il mondo segua; e ora quasi si rattrista, parlandomi del piccolo Bru': — Ha le adenoidi. L'ho detto e ripetuto, al padre, che si decida a fargliele togliere. Nou per nulla il mondo dell'infanzia, e soprattutto le tristezze delle infanzie patite, trovano in lui i più sensibili accenti; e, per esprimerli, sa prodigarsi con una pazienza infinita: — Alla fine, quando Bru' deve piangere, non sapevamo più come fare. Gli promettevi qualunque cosa, e quello, beato, rideva. Allora, poiché s'era affezionato a un macchinista, e quel macchinista era il suo dio, si pensò di farlo trattar male dal suo grande amico ; che all'ultimo momento, subito prima di girare, lo investe: « Te tenevo quasi come 'na creatura mia, e sei un puzzone peggio degli altri, m'hai rubato la sarvietta; non te voglio veder più, non aver mai il coraggio de ricomparirmi davanti!». Povero Bru', non vedevo l'ora che si finisse. Mario Cromo

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