Caduto dal cielo

Caduto dal cielo UN NOSTRO INVIATO DA ROMA A TOKIO Caduto dal cielo Non crediate sia così facile volare dall'Italia al Giappone: teoricamente sono sei giorni di viaggio ma in pratica è una lunga storia Il nostro inviato speciale Virgilio Lllll, in viaggio per il Giappone, ha avuto una disavventura a Bassora per opera delia polizia Irachena e per il ratto di essere sprovvisto' di un visto di transito che si riteneva non necessario per una sola ora di sosta dell'aeroplano in territorio Iracheno. Solo dopo dodici giorni, per l'intervento dell'ambasciata britannica, il governo Iracheno gli ha consentito di proseguire 11 suo viaggio. Iniziamo oggi la pubblica zlone degli articoli da lui scritti nel corso della sua forzata prigionia che ritarda di alcune settimane l'Inizio del primo reportage d'un giornalista europeo dal lontano Giappone. L BASSORA, agosto. Avrei voluto Intitolare questo articolo, — il primo del mio viaggio in Giappone — con una certa quale enfasi: € Il grande balzo », « /I fulmineo volot>, «A Tokio col vento » o qualche cosa del genere. Il mio programma era chiaro e preoiso: il giorno SO luglio partenza da Roma e arrivo al Cairo; il giorno SI partenza dal Cairo e arrivo a Oarachi, in India, oon una sosta di un'ora a Bassora, in Iraqt il giorno 1 agosto partenza da Oarachi e arrivo a Bang Kok, nel Siam, oon una sosta di due ore a Calcutta; il giorno 4 agosto partenza da Bang Kok e arrivo a Bciangai; il giorno 8 agosto partenza da SciangoÀ e arrivo a Tokio. In codesto articolo intitolato «TI grande balzo», «A Tokio col vento » o qualcosa di simile, avrei descritto mezzo mondo con una penna rapida e forse anohe attonita la quale indulgesse in qualche senso a una oerta civetteria dell'autore per una così dinamica avventura. Non posso farlo. Niente «grande balzo », niente « fulmineo, volo », niente « A Tokio col vento ». Un fatto imprevisto mi ha inchiodato a mezza strada, ha rotto in due il dannato «grande balzo», ha polverizzato il maledetto « fulmineo volo ». Mi è accaduto quel ohe può accadere a un uccello migratore cui, improvvisamente, la forza delle ali venga meno, e cada dal cielo, miseramente. Bono piovuto dal cielo a Bassora, in Iraq; e non mi sono più mosso. Così che il mio viaggio dall'Italia al Giappone diventa uno dei soliti lunghi viaggi pregni di avventure e disavventure, intrisi del rimpianto e della nostalgia del proprio Paese, gonfi di noia, anche, di rabbia anche, e anche di velenose esperienze. La testa fra le nuvole Partii da, Roma il penulv. mo giorno di luglio au uno di quei grossi velivoli detti Constellatlon, proveniente da Amsterdam e diretto a Binga poro. Ero solo soletto, l'unico viaggiatore salito in Italia, l'unico italiano fra olandesi, inglesi, americani e siamesi. Mentre l'aeroplano sorvolava l'agro romano, la prua a sudest, buttai un bacino con la punta delle dita alla nostra carissima Italia, attraverso il vetro dell'oblò: « Addio, mia diletta terra — mormorai fra me e me piuttosto pateticamente — addio mio cielo e mia casa. La dolcezza del mio viaggio sta già tutta nella ansiosa attesa del ritorno ». Botto le ali dell'apparecchio il Lazio diveniva sempre più pie eolino, le case dadi da gioco, le strade fili di ragnatela, gli alberi non si scorgevano più, Ed ecco apparve la costa sul mare, sintetica come su una carta geografica, poi entrammo in una bianca regione di nubi. Così, dentro quella bianca regione di nubi, prendemmo il Mediterraneo, Non parlai con nessuno, nessuno parlava. I viaggiatori aerei sono taciturni, chiusi in non so quale loro melanconico isolamento. Forse l'equilibrio del loro umore è turbato- dall'innaturale ritmo del viaggio, forse quell ' essere proiettati da una contrada all'altra con tanta violenta elementarità impedisce ai loro sentimenti e alle loro idee di prendere concretezza. Essi siedono oon una certa goffaggine, fumano, fingono di dormire, si sentono ostili l'uno all'altro. In realtà, senza ohe se ne avvedano, li divora il desiderio di rimettere i piedi a terra. Anche leggere, anche mangiare, anohe fumare, a quattro o cinquemila metri di altezza, costituiscono altrettanti fenomeni paradossali. Non a caso noi adoperiamo l'espressione «stare oon la testa fra le nuvole». I viaggiatori aerei sono nello stato d'animo di chi ha la testa fra le nuvole: il libro ohe leggono, il oibo ohe masticano, il fumo che aspirano son tutte cose che hanno, lassù, una labilità di nuvole, allo stesso modo vaghe, provvisorie e impalpabili. Il sapore della Libia Sorvolammo la Grecia. Giallastra nel sole, essa appariva improbabile come un oggetto a galla nel fondo d'un pozzo. Non ai vedeva un bel nulla, ma io pensai alle cannonate fra i soldati del Re e i guerriglieri: mentre i motori del nostro Constellatlon andavano, laggiù, in fondo, uomini piccoli come moscerini sanguinavano e si scannavano con impegno. Sorvolammo l'isola di Creta, ancor pia gialla e remota della Grecia; poi perdemmo di vista la terra e il mare. Ora strisciavamo dolcemente au un gigantesco strato di nubi, simile a una monotona brughiera di lenti e morbidi fiori candidi, sul quale l'occhio si appisolava cosi come quando fissa lungamente le bianche nevicate. Finché riscoprimmo il mare e, sul mare, la centina monotona della costa africana, d'un pai- lore lunare, soavemente or- v , a o l , i , si...». W l'inglese disse: «/o\ha fatto la guerra, laggiù»; egenteo. Io riconobbi quel timbro di pallido argento détta terra nordafricana, mi senta nel palato Ù sapore della Libia e della Cirenaica, e alle narici l'odore del ghibli di Porto Bardia,. di Giarabub, di Tobruk. Fu a questo punto che il mio vicino, un inglese sulla quarantina, mi disse: « Laggiù c'è El Alamein »; e io, additando l'ovest, gli dissi: « laggiù r>s D'orna, /tenga¬ lo: /, Anch'io laggiù ho fatto la fuerra». Erano parole come pronunciate in sogno o, meglio, come jossimo già nel mondo di là, e, mirandi» la terra, rammemorassimo la nostra vana vicenda mortale. Volammo ancora; e la terra che cos'era? Arida morta sabbia. Ma improvvisamente, quasi per un miraggio o una allucinazione, verdi prati germogliarono giù giù sotto le nostre ali: placido, geometrico, come dipinto dal pennello del cartografo, apparve un fiume, e attorno al fiume una stupenda campagna, n veoOhio padre Nilo flottava maestoso nella piana ubertosa di pascoli e di foraggi, andava gloriosamente al mare ool suo corteggio d'erbe di fiori e di frutti. Atterrammo all'aeroporto del Cairo alle cinque e mezzo del pomeriggio. Panorama senza storia L'aeroporto del Cairo giace in pieno deserto, non si vede nulla, neanche il lontano profilo della metropoli. Sempre più estranei l'uno all'altro, sempre più taciturni, sempre più isolati in un mondo di indefinibili egoismi, mangiammo al restaurant annesso a quella stazione aerea serviti da lunghi arabi neri vestiti di camici Wancfci e dormimmo nelle camerette dei cottages un sonno abrigativo. Alle sei del mattino volavamo sul canale di Suez (qualcosa come un reciso taglio di coltello sulla polpa della terra) e iniziavamo la trasvolata dei deserti dell'Arabia settentrionale. Un panorama senza storta si veniva svolgendo sotto le nostre ali, caratterizzato appena da taluni corrugamenti delle sabbie e da piattaforme rocciose. Alla nostra alniatra fuggiva vertiginoaamente Veatremo lembo meridionale della Palestina, fuggiva l'ultima provincia della Transgiordania, entravamo nel cielo dell'Arabia Saudita. Invano io tentavo di cogliere dal fondo di quelle terre un segno, un accenno, un sintomo di vita f< C'è la guerra, laggiù — pensavo — cannoni, eserciti, morti, bandiere, ospedali »). Non mi riusciva di vedere altro se non un obbiettivo scenario geologico, inerte come il dorso della morta luna. Alle undici cominciammo a perdere quota mentre il paesaggio pareva lentamente animarsi: via via ohe ci avvicinavamo al suolo vaste piantagioni di alberi venivano stampandosi sotto di noi, alberi di forma assai elemento* re, così come potrebbero essere quelli dìnegnati da un bambino, qualcosa come acopettini o scacciamosche. Sempre perdendo quota, quegli alberi dalla forma elementare si rivelarono per palme, finché apparvero anche taluni larghi prati e un ampissimo fiume al quale confluivano e dal quale si diramavano robusti bracci d'acqua. Bu quel fiume, la cui vastità si faceva via via più maestosa, galleggiavano vapori di grande stazza, come in un mare aperto. Ormai volteggiavamo su una città, una rada città di case basse e schiacciate, percorsa da canali e da ponti: si riconosce- mq vano le matite aguzze dei minareti delle moschee e addirittura le strade ricche di una folla disordinata. Atterrammo su una pista d'asfalto nero, arroventata dal sole, uscimmo dall'apparecchio; mettemmo i piedi a terra, Eravamo all'estremità sudorientale dell'Iraq, a Bassora. Solo a Bagdad Dalla tona si levava «n fia,*o ardente. Cualcuno disse m /i^y,.; . Zi muore». Brava\mo attesi lugli impiegati deU jla Compagnie, impiegati olandeii, dm capetti bifmdo^oro, fradici di wnàon rossi •* volto cerne per ima., imminente congeaffom: Vicina a quegli impiegati, picena nummi vestiti ir. uniformi cachi, con pantaloni tanghi, giacca, cinturone e pistoia, AS pelle piuttosto bruna* dì; fattezze indecise fra quelle della razza bianca e quelle ielle, razze non bianche, grondavano, anchressi sudore, generosa/mente, ma avevano {'aria di iirs,: «A nei U caldo non fet multa, noi- ci siamo avvezzi ffn datila, nascita, questa è la nastra putridi ». Erano infatti iracheni)? della: polizia. TI fuso fungente, dell'aeroplano, 8olitai iti sotto il sole rovente sul piatta' deil'aeroporto, ci sembra ux gir gantesco pesce su una graticola. L'edificio dell'aeroporto, era basso ma vastissimo, vii alitava una temperatura di émr\ quanta gradi, s'aveva l'impres>sione di trovarsi nei corriào* t[spun d'una nave all'equatore, vicino alle macchine. In un grandioso salone dove fummo condotti, dieci larghi ventilatori andavano all'unisono, con un ronzio penoso di grossi insetti presi nella ragnatela, diffondevano raffiche d'aria che bruciava la pelle. Qualcuno disse: « Meno male che ci fermiamo solo un'ora». In quello stesso momento un ufficiale della polizia venne ad avvertirmi che era costretto a trattenermi perchè il mio passaporto era sprovvisto del « vita » iracheno. Io sorrisi, dissi: « B> impossibile ». Dopo un'ora — nel corso della quale protestai ininterrottamente — gonfi di birra e di squash (soda e Timone) i miei compagni di viaggio ripresero il [volo. Qualcuno venne a dirmi: « Ora avrete una camera con aria condizionata. Ci vuole pazienza. La va <tra sorte sarà decisa da Bagtad». Ed ora eccomi sulle r se del Tigri e dcìFEu frate I congiunti nella grcmde e*- .ente del fiume Sciat Ai Arab-, che, per Bassora, va al Golfo Persico), prigioniero in un albergo di fmeco, in attesa delie decisioni di Bagdad. Bagdad è entrata unita aria vita senza ch'io me net sim reso conto. Sono soto, non c'è console italiano, non c'è: legazione italiana, non c'è wm prete, un operaio italiano iim tutta tfrmq. Il Omppunc è Vemtaato, lontana malta. Virgili» LilU

Persone citate: Arab, Arabia, Bang Kok, Binga, Siam, Virgili