Riforma agraria e piccola proprietà di Giuseppe Medici
Riforma agraria e piccola proprietà Riforma agraria e piccola proprietà La mozione approvata dal Comitato Nazionale della Democrazia Cristiana in tema di riforma agraria ha suscitato un ampio dibattito nel quale è intervenuto anche il Ministro per l'Agricoltura, on. Segni, con una serie di argomentazioni che chiedono una ulteriore precisazione; tanto più che fon. Grieco su l'Unita, ed anche altri autorevoli scrittori che a buon diritto rappresentano una vasta corrente della pubblica opinione, sostengono che la piccola proprietà segna, almeno da un punto -~di viBta"TefOinanicop'Uit-Te-gresso produttivo. Il guaio è che,'mentre la citata mozione è stata di una grande obiettività, ed ha considerato la molteplicità delle soluzioni come, conseguenza dell'estrema varietà della nostra agricoltura, gli interventi raramente hanno avuto carattere costruttivo, anche se intelligenti, perchè affetti da astrattismo. Soprattutto in tema di piccola proprietà era facile essere deviati dalla corretta impostazione, perchè da troppo tempo la dottrina ha oziosamente discettato sulla astratta convenienza della piccola, media e grande azienda, come se fosse possibile discutere questo tema indipendentemente dalle condizioni oggettive dell'ambiente fisico (clima e terreno) ed economico sociale (densità e distribuzione della popolazione, contratti agrari), nel quale si esercita l'agricoltura. Il porre in astratto il problema portava a concludere che la dimensione ottima dell'azienda era quella dove si produce al costo minimo e quindi una azienda nella quale sia possibile impiegare la quantità più conveniente di lavoro e di capitali. E' evidente che l'azienda ottima varierà da luogo a luogo in dipendenza del tipo di cultura, ma che, nel grandissimo numero dei casi, avrà un ordinamento di tipo capitalistico, altamente meccanizzato, tècnicamente aggiornato, nel quale sia però possibile in qualunque moihènto assumere ò licenziare i lavoratori per realizzare il dìù conveniente equilibrio fra le quantità di capitale e le quantità di lavoro. A questo punto giova constatare alcune realtà, non facilmente modificabili (cioè, per breve periodo, praticamente fisse), che rappresentano i vincoli del nostro sistema economico e sociale. Siamo tutti d'accordo nel ritenere che sarebbe conveniente organizzare la produzione agricola in tante aziende, moderne e razionali, altamente meccanizzate, dove s'impiegasse un minimo di lavoro ; è d'uopo però convenire che oggi, e chissà per Stianti anni ancora, in Itaa ciò non è possibile, perchè bisognerebbe poter trovare una conveniente occupazione per i milioni e milioni di lavoratori agricoli che resterebbero disoccupati. E' stata soprattutto questa necessità di realizzare il migliore (o meno peggiore) rapporto fra l'uomo e la terra, che ha imposto, attraversò secoli di lotta politica spesso cruenta, il frazionamento di una parte imponente del nostro territorio nazionale fra un numerò inverosimilmente erande di piccoli proprietari, molti dei quali coltivatori diretti. La piccola proprietà coltivatrice, in Italia, rappresenta lo sforzo mirabile compiuto soprattutto dai contadini per trovare il modo di occu pare il proprio lavoro, ape eie in quei periodi dell'anno nei quali non era possibile emigrare sia pure temporaneamente all'interno ed all'estero. Quale è dunque, in Italia, il luogo economico della piccola proprietà coltivatrice? Esso si trova in tutte quelle zone dove è possibile attraverso il frazionamento fondiario aumentare l'impiego di mano d'opera senza diminuire, o meglio, aumentando la produzione. Questa conclusione indica chiara mente che devono subito es sere escluse, dall'indicato luogo economico, le grandi zone irrigue fra la Dora Bai tea ed il Mincio dove è al meno improbabile ottenere un ulteriore incremento delle produzioni e dove il frazionamento sarebbe forse fatale. Devono essere altresì escluse, per analoghi motivi, altre contrade dell'Emilia, del Veneto, e, in misura più limitata, dell'Italia Centrale e meridionale, dove sono stati realizzati ordina menti agricoli, con mano d'opera salariata, di alta intensità produttiva e di alta attività per numero di giornate lavorative. Escluse queste zone restano però centinaia di migliaia di et tari che sono suscettibili di essere frazionati senza far diminuire ]p, produzione e con un forte aumento del lavoro manuale impiegato. In fdest fatti, mentre il reddito fondiario imponibile medio per ettaro delle proprietà con superficie inferiore a 50 ettari è di L. 342 (lire del triennio 1937-39) quello della proprietà oltre i 1.000 ettari è di sole L. 70. Alle proprietà comprese fra 51 e 1000 ettari compete un reddito di L. 311, che subito decresce a L. 205 per quelle comprese fra 100 ed i 1000 ettari. Del resto non occorre molta fantasia per comprendere che, specie in certe zone del Mezzogiorno, quando il contadino riceve in proprietà-un boccone di" terra, non troppo lontano dalla sua abituale dimora, lo riveste di àlberi, lo sistema per realizzare un efficace scolo delle acque e piano piano, specie se vi è l'aiuto di una annata buona o di un colpo di fortuna, vi costruisce sopra una casetta. E' in questo modo che parte delle poverissime terre del Mezzogiorno sono state popolate da viti e da olivi e sono state trasformate da poveri pascoli cespugliati di terza classe o da seminativi di quinta classe in buoni vigneti, mandorleti, oliveti oppure in seminativi arborati. In Italia esistono almeno due milioni di ettari di povere terre da semina, idonee per essere trasformate in seminativi arborati ed in arboreti; sono queste che possono essere indicate come immediato luogo economico dela piccola proprietà coltivatrice. Non occorre essere studiosi di problemi sociali per comprendere la portata politica di un orientamento che, potenziando la produzione, accresca il grado di occupazione ed aumenti il numero dei proprietari coltivatori, specie se ad essi si reca l'assistenza di un'elementare cooperazione agricola. Giuseppe Medici
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