La rievocazione di Boito alla Scala

La rievocazione di Boito alla Scala La rievocazione di Boito alla Scala MILANO, maggio. Quali sono l'ora ed i luoghi più propizi per celebrare i grandi scomparsi? Le 6 pomeridiane ed il ridotto della Scala parevano adattissimi a rievocare l'immagine di Arrigo Boito durante la commemorazione indetta dal Comitato per le onoranze nel trentennio della morte. C'era una grande tavola ricoperta di velluto rosso e, appoggiati ad essa, Camillo Giussani che aveva scelto come tema « la signorilità spirituale di Boito », Ruggero Ruggeri, il quale doveva leggere alcuni versi del poeta, Antonio Greppi e Sabatino Lopez rappresentanti del comitato. Un po' più in basso, sulle seggiole e sugli sgabelli di stile impero, molte signore, molti uomini di età avanzata, musicisti, scrittori, pittori, giornalisti. Sopra le teste di tutti una luce calda, moltiplicata dal riflessi degli specchi, più forte della luce di fuori, trattenuta dal tendaggi delle finestre. Tanta intimità fu tuttavia in principio turbata dagli scricchiolii del ritardatari, poi da colpi sordi e violenti che venivano dal soffitto, forse in rispondenza con qualche laboratorio di scenografia ed alla fine, dopo più di un'ora, dal rumore delle sedie smosse di chi se ne andava «n anticipo e dal discorsi sommessi di qualche ascol¬ tatore. Ad un certo punto il pubblico zitti una voce meno discreta. Umberto Giordano aveva cominciato a discutere con Renzo Bianchi, e forse era giusto che almeno una volta dovesse accadere anche a lui di essere zittito. Camillo Giussani ha parlato a lungo. Ha rinarrato la vita di Boito, compendiato la storia delle sue opere, riassunto lo straordinario impegno della sua vita spesso poco concludente, e ne ha descritto il singolarissimo carattere riconducendo ogni pensiero, evento ed atteggiamento ad una mente e ad un animo che operarono appunto sotto il segno della signorilità. Ha ripetuto brani di lettere, aneddoti, giudizi di Boito e dei suoi contemporanei con abbondanza di citazioni latine e francesi. Si sentiva molto amore, molta ammirazione e devozione nelle sue parole ed anche nella sua voce, che è esile e velata, e che talvolta l'accento commosso rendeva trasparente. Ma la commozione non era sufficiente a cancellare nel pubblico, e forse nello stesso Giussani, la riserva che da anni accompagna il nome di Arrigo Boito. Tutte le volte che si rievoca questo artista, dopo le magnificenze e l'elogio, in chi ne parla ed in chi ascolta, come in chi ne scrive ed in chi legge, si fa avanti una specie di sgomento, tanto le sue aspirazioni e la sua facoltà di capire, sicuramente affascinanti, furono più grandi della sua capacità di creare. Che ciò sia vero s'è visto anche ieri, quando Ruggeri lesse con voce mirabile due liriche del « Libro dei versi »; e di una il pubblico rise a sproposito. Ruggeri, che è un po' il Toscanini della recitazione, ha letto anche la prima scena del quarto atto di «Otello» (si trattava di far dimenticare la musica e c'è riuscito, un pezzo di bravura), e un brano di «Basi e bote » che doveva concludere la commemorazione con una nota festosa. Nè la vivacità del dialetto, nè la varietà dei ritmi, nè la maestria del dicitore sono valsi tuttavia a dissipare quell'aria malinconica; la stessa che Boito doveva portare in sè quando si aggirava in quel medesimo ridotto. Tra pochi giorni uscirà un numero unico in ricca veste tipografica, andranno ad appendere una corona alla lapide di via Montebello, verrà il concerto atteso del 10 giugno. Un commemorazione in grande. Ma niente riuscirà a vincere la malinconia che soltanto I creatori perennemente vivi, anche in occasioni simili, possono far dimenticare. r. r.

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