Il cupo incanto della tragedia

Il cupo incanto della tragedia L ' ORESTIADE.. SIRACUSA Il cupo incanto della tragedia Migliaia di spettatori affascinati dal poeta che aveva profetato i secoli futuri SIRACUSA, maggio. La prima parte dell'Ovest ea di Eschilo, nella traduzione di Manara Valgimigll, ha richiamato al teatro greco di Siracusa una grande folla, attenta, e tuttavia meridionalmente vivace, che a poco a poco si è lasciata prendere, anzi affascinare, dal cupo incanto di questa tragedia. Una tragedia la cui potenza è tanto più misteriosa quanto pu) appare lineare, quasi elementare, dove nulla avviene davanti agli spettatori ma tutto è raccontato. Nulla avviene, eppure tutto vedono. Vedono, nelle parole dell'Araldo, la caduta di Troia, il naufragio di gran parte delle navi greche dopo la vittoria, il ritorno di Agamennone. Vedono, nelle parole dei due corifei, l'angoscia del popolo per gli oscuri delitti che ai preparano nella reggia, e soprattutto vedono, nelle grida a volte forsennate a volte dolenti di Cassandra, l'efferato disegno di Clitennestra e gli stessi momenti in cui la regina uccide di sua mano Agamennone. Questo miracolo poteva compierlo soltanto la poesia. La poesia affidata quasi esclusivamente alla potenza della parola. Nella primavera del 458 A. C, si rappresentava in Ate. ne per la prima volta questa tragedia. Nella primavera del 1948 della nostra èra, si rappresenta in Siracusa. E il tempo non pare passato. Le stesse passioni hanno sconvolto per secoli e millenni il mondo, della stessa bramosia di potere e della stessa orrenda cate¬ na di delitti sono stati, In questi anni da noi vissuti, speltatori impotenti i popoli. Il poeta, dunque, aveva già veduto per i propri contemporanei e per i posteri: egli aveva, in un accento, in una immagine, scoperto il volto dell'eternità. Il teatro è anche azione, cer- to. Ma non si può dare vera tragedia, se le parole non si sollevano dall'eloquio familia- re. Questa necessità ha capito B»aVt^d^deu'0^ splendida traduzione dell Ore- S&rtSPn ™ ofn^S SSE^«UJ£r2^8&i?d0 «£iìS£ J?,2L™S i ■ Vfn° h3&n° mod.el'no-Ju°n della lirica, non è ancora uscito nSfa ■SESte*pe?°;««m«i«™?KrJ?,™V-d,Ìat? (a? STh£Srt.P^ ^f0)- In al_tri termini non esiste un mio-vo linguaggio etico da noi e perciò ogni riduzione di tra- gedie antiche in versi, ci por-te. fatalmente ad epoche e stili che non sono nè quelli deli ai .ore, nè quelli del no- stro tempo Valgimigli ha usato una prosa ritmica concautela, senza sonorità com-piaciute, senza cadenze trop- po marcate, ma anche senza cadute, e ha avuto il buon gusto, anzi, il tranquillo co- raggio, lui toscano, di ricorre-re a una lingua nazionale, eliminando cioè ogni parola che facesse troppo spicco Meritevoli di elogio furono tutti gli attori, sia pure in dversa misura. Annibale Nin- chi e Sarah Ferrati, che in- terpretsrono le parti dell'A- raldo e di Cassandra, furono senza dubbio i migliori: Il primo per il suo bell'entusiasmo, per la voce profonda e potente, per la magnanimità del gestire, e quel sentirsi tutto preso della-propria parte che era una virtù, ingiustamente oggi irrisa, degli attori di grande scuola. La seconda per la passione a tratti contenuta, a tratti esa cerbata e violenta. o, „„, ,Q „, ln _,.„ „„_ L» c^Se*eero10 f "o^sto SWSMS^ uffi cesso pieno calorosissimo. ' Alla seconda parte dell'Ore stea> che comprendeva le Coe f°re e ^ Eumenidi, è accorso poi un pubblico anche più nu Sieroso 1 11 lamento delle Coefore sul la tomba di Agamennone, l'ar:rlvo dl Oreste travestito da ' pastore u auo riconoscimento da parte della sorelia Elettra, ed il disperato incitarsi di en,trambi perchè la morte del padre venga vendicata, e sia pure con l'uccisione della ma dre Clitennestra, danno subi to allo spettatore il senso dei,la tragedia che sta per comjpiersi. Ma è giusto il delitto? puo mai essere giusto, od al meno scusabile, un matrici dio? Eschilo dovette certa1 mente essere colto dalla stes sa angoscia. E volle liberar sene, con un tratto di genio, nelle Eumenidi. Le Fune in seguono Oreste, sono assetate del suo sangue, gridano con irò di lui parole di abboniinio. danzano una danza demonia ca: stupenda raffigurazione Idei rimorso, nella quale il i poeta pare che si conceda tut¬ to alla passione, si prodighi, trovi accenti terribili. Ma egli sa dove tendere. Ai vecchi dèi « barbarici » dai quali le Erinni traggono l'impura bramosia della vendetta, si 3ono aggiunti 1 giovani dèi della moderazione, della saggezza: Apollo e Pallade. Essi vengono in soccorso di Oreste, essi lo salveranno. Pallade non giustifica il matricidio; ma ritiene che più colpevole sia Clitennestra. Quanto ad Apollo, non è lui forse che ha ispirato Oreste al delitto? Zeus cosi ha voluto. Per ordine di Pallade, i cittadini di Atene, costituiti in Areopago, giudicheranno. Ed il giudizio risulta favorevole ad Oreste. Invano le Furie inveiranno contro Pallade; la saggia dea con serena dolcezza le consola: esse dovranno diventare benigne agli ateniesi, da Erinni mutarsi in Eumenidi, e vigilare affinchè nè l'anarchia, nè il despotismo imperino nella città. Anche qui gli attori si distinsero per l'amore col quale si immedesimarono nel personaggio a ciascuno di loro affidato. Salvo Randone fu un Oreste animoso, pronto, appassionato quando occorreva, umile, infelice, raggiante alla fine dopo l'assoluzione. Anna Proclemer ebbe accenti semplici ed umani. L'ottima direzione drammatica era di Annibale Ninchi; la scena di Duilio Cambellotti, la musica molto efficace e senz'bile di Maliplero. Il successo fu grandissimo. G. B. Angioletti

Luoghi citati: Atene, Siracusa