Tre concetti di Benedetto Croce di Panfilo Gentile
Tre concetti di Benedetto Croce Tre concetti di Benedetto Croce In una lettera diretta al I Giornale di Napoli, JJenedet-1 to Croce ha rivolto ai critici delle arti figurative alcuni ammonimenti, che mi inducono in tentazione d'imtromet. termi indiscretamente nella controversia. L'insigne Maestro denuncia tre concetti critici, che egli benevolmente qualifica «disadatti ». Il critico, secondo Croce, erra se, invece di tenursi al testo artistico, al documento che gli è avanti, si perde nel ricercare le «intenzioni », il punto di vista dell'artista non realizzato nell'opera d'arte. Il critico erra se va ad indagare lo spirito del tempo e se crede che esso detti alla poesia e all'arte il suo fare. Il critico infine erra se suppone che esista una natura, un mondo esterno, circa il quale sia da discutere se l'artista debba imitarlo o debba allontanarsene. Non ho nulla da obiettare al primo ammaestramento, e ritengo anzi che esso sia particolarmente salutare in una epoca come quella attuale di penosa decadenza, in un'epoca in cui si cerca di sopperire all'indigenza della spontaneità creatrice coi programmi e le poetiche precostituite. Ogni pittore, invece di dipingere come gli detta dentro il suo genio, va guardandosi attorno, e di preferenza guarda dal lato della Senna, per sapere come deve dipingere e a quale ordine della moda parigina o ispano-parigina deve obbedire. Sono nati così cubismo, astrattismo, surrealismo e non so quanti altri «ismi»; sono nate le «intenzioni », che Croce giustamente chiama intellettualistiche, che sono polemica, letteratura (cattiva), giornalismo, tutto quel che si vuole, ma che restano al di qua dell'opera d'arte. E i critici che si fanno a discutere di codesti propositi programmatici, di queste regole retoriche e accademiche (è accademia qualsiasi pretesa normativa suggerita dall'esterno) vanno indubbiamente fuori strada, perchè il critico deve leggere ciò che sta scritto in immagini nel testo e non curarsi di teorie e programmi. Benedetto Croce vorrà consentirmi però se non di dissentire, almeno di affacciare qualche riserva sugli altri suoi avvertimenti. E' certamente vero che l'arte è un miracolo che si verifica solo quando un artista si degna di venire al mondo, creando esso, superiore al tempo, un proprio tempo e una propria epoca. In proposito vorrei ricordare quel che scriveva Humboldt: «Un grand'uomo, in ogni genere, in ogni epoca è un'apparizione di cui non ci si può rendere conto. Chi potrebbe spiegare come mai ci fu tutto d'un tratto un Goethe? Eppure egli creò, gettò le fondamenta di una nuova epoca della poesia tra noi, alla poesia dette una forma interamente nuova, impresse il suo stampo alla lingua e comunicò alla nazione impulsi decisivi per tutto l'avvenire.. Il genio, che è sempre nuovo e crea la sua regola, non ha mai la sua ragione in qualche cosa di anteriore già noto». E Oscar Wilde pure incisamente diceva: «l'arte non è il simbolo di alcuna epoca; le epoche sono i suoi simboli. L'indurre dall'arte di un tempo, il tempo stesso è il grande errore di tutti gli storici». Ma, una volta ciò riconosciuto, bisogna guardarsi da non confondere questo miracolo dell'iniziativa creatrice dell'artista con una supposta atemporalità dell'arte, come se l'artista non fosse in un rapporto di comunicazione vivente col 6UO tempo, e come se esso non avesse occhi o orecchi aperti sul mondo che lo circonda. Fuori del particolare clima storico della civiltà greca, resta incomprensibile la statuaria classica. Fuori del clima italiano del Quattrocento e dell'Umanesimo resta incomprensibile la pittura del Rinascimento. L'ambiente non determina l'arte, ma l'arte non è indifferente o separata dall'ambiente. « Qui de nous — esclamava Chateaubriand — se fait un'idée de Vharmonie de la prose dt Bem.ostht.ne et de Gtcéron, de la cadence de vrrs d'Alcée et d'Horace, telhs qu'elles étaient saisie par une oreille grecque et latine?*. Benedetto Croce poi chiama un pregiudizio grossolanamente tradizionale l'idea che esista una natura e pensa ohe per l'artista esiste solo l'anima sua. Qua Croce diméntica che l'artista figu rativo ci dà le sue confeesio ni liriche per l'interposta persona delle apparenze visi bili di quella natura, di cui poco importa poi se la filosofia debba pronunciare che essa è un dato o è invece una proiezione dello spirito. Il fatto decisivo è che questa realtà estorna sta dinanzi agli occhi del pittore, e che da essa soltanto il pittore deriva il suo lessico e la sua sintassi. Futile 'discussione, d'accordo, quella se l'artista debba imitare o allontanarsi dalla natura, perchè tutti gli artisti imitano e nel tempo stesso si allontanano. Il più strampalato dei pittori dovrà pur sempre prestare infatti un minimo di ossequio alla realtà perchè non si esprimerà altrimenti che attraverso linee, forme, colori «imparati-» dalla natura. E per converso, il pittore più verista e docile al modello, non potrà fare a meno del suo occhio personale che guarda a quel modello. In tutti i casi però esiste non la sola anima dell'artista, ma l'anima che ha scelto e trovato nella natura le sue <t corrispondenze » e che attraverso questa si confida. E chissà, in fin dei conti, se per spiegare codesto misterioso incontro, senza del quale le arti figurative non esisterebbero, non sarebbe il caso di disturbare l'ombra di Plotino e rispolverare le sue Enneadi. Che Benedetto Croce mi perdoni 1 Panfilo Gentile
Persone citate: Benedetto Croce, Goethe, Humboldt, Oscar Wilde, Plotino
Luoghi citati: Napoli
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