Bevitori di sole

Bevitori di soleBevitori di sole (Dal nostro inviato speciale) STOCCOLMA, maggio. Volete sapere come si beve il sole a gocce? Venite a Stoccolma (o a Upsala o a Goteborg, o a Iilnkoping, o a Oslo, 0 a Bergen, o a Narvik eccetera, che fa lo stesso). Veniteci nel mese d'aprile, possibilmente, quando l'inverno comincia a rompersi, quando il lastricato bianco del bracci di mare gelato viene blandamente sciogliendosi e, slmile al ghiaccio tritato della granita nel bicchiere, fattosi appunto granuloso, assume quell'aspetto di vetro prossimo a infrangersi che dice: qui sotto c'è l'acqua. E' il tempo nel quale i gabbiani si innervosiscono, gridano in coro con una certa rabbia (o forse gioia?), preferiscono i lunghi voli alle tediose sieste sulla pancia contro 11 ' ghiaccio del mare. Essi sanno che 11 coperchio sotto il quale 1 pesci dormivano sicuri entra in dissoluzione: torna la stagione della pesca e dei tuffi. SI incrina il ghiaccio sul mare, In cielo si incrinano le nuvole. Ed ecco, da quelle incrinature delle nuvole, dopo il piatto grigiore del lungo Inverno, filtra qualche raggio di sole, come filtrerebbe qualche goccia dalle crepe d'un serbatoio d'acqua. E' un sole chiaro e freddino, un sole avaro, che viene di lontano come un frettoloso viaggiatore: dà una occhiata fuggitiva e se ne va. Gli svedesi (e i norvegesi) lo sanno che quel magro sole ha fretta, e non se lo lasciano sfuggire. Dovunque si trovino, In città o in campagna, in strada o in causa, in tranval o In treno, automaticamente, con una compunta felicità di cui essi stessi non si rendono conto, ruotano la testa, offrono il volto al raggio che scende dall'alto, lo tengono immobile, leggermente levato, le palpebre serrate, seri, raccolti, intenti. Lo delibano,' quel poco di sole che dopo qualche attimo sarà riassorbito dalle nuvole, lo centellinano ingordamente. Scomparso quel raggio, ri sai datesi le nuvole in cielo, essi aprono gli occhi, riabbassano il volto, vanno. E' 11 modo di bere il sole a gocce. Tale è l'aspetto d'una città scandinava quando la tardiva primavera di queste latitudini è alle porte. Attenzione ai giardini di Stoccolma (o di Norkoping, o sia pure di Aparanda); se sarà una mattinata di sole (o meglio un quarto d'ora, cinque minuti di sole) non troverete un posto libero su una banchina per tutto l'oro del mondo. Gli uomini del nord sono li, seduti alla ' maniera di bambole, il viso offerto al sole. Non una parola intorno, non una voce, non una nota di canzone: silenzio fondo, fonda quiete dentro quel pallido sole di bianco' alluminio che per qualche attimo visita la terra. Mettersi al sole, quassù, è un rito che ha un accorato sapore di paradiso perduto, è la fuggevole evasione a una amara condanna. Non dissimile dall'espressione degli svedesi (o dei norvegesi) al sole, è quella del carcerati quando camminano in circolo, nel cortile della prigione, durante l'ora d'aria concessa loro dal regolamento. Ma consideriamo ora quelle panche che improvvisamente incontriamo nelle piazze e nelle piazzette della città. Panchine bianche, a stecche di legno, disposte una dietro l'altra come nella platea di un teatro all'aperto, come nell'aula di una qualche scuola all'aperto. Quale attore reciterà per il pubblico che occuperà quel posti? Quale maestro impartirà la lezione agli scolari che slederanno su quei banchi? Il sole reciterà, il sole Impartirà la lezione. Nessun attore, nessun maestro al mondo avrà mai un pubblico o una scolaresca più quieti, più profondamente raccolti, più meticolosamente attenti. Quando fa nuvolo quell'accolita di panche o banchi è deserta, ma non appena il sole filtra dalle crepe delle nubi, non un millimetro quadro libero. Seduti come in chiesa, l'uno accosto all'altro, ragazzi, vecchi, vecchie, uomini e donne adulti, (occhi azzurri, capelli d'oro) si sono silentemente raccolti come per un segreto appuntamento a bere il sole; a gocce. Non devono spostarsi per porgere il viso al sole, non devono preoccuparsi di seguire il corso di quei raggi: le panchine sono state orientate dal municipio della città, sono state messe li per questo dal municipio, perchè 1 cittadini bevano 11 sole stando seduti, a mezzogiorno. Riconoscete in quella tacita gente dagli occhi chiusi uomini d'affari con le loro cartelle di cuoio sul ginocchi, militari, massaie con la borsa della spesa, studenti col fascio di li' bri sotto il braccio, portalettere con l'ampia sacca della corrispondenza e delle stampe, fattorini del telegrafo, 1 quali pure dovrebbero non potere rubare un minuto al loro me» stiere di gente volante eccetera eccetera. Il sole li ha fermati, il soie 11 ha inchiodati su quelle par "hine. E se an. daste a domandare la professione a ognuno di quei bevi tori di sole, sapreste che fra essi, c'è 11 medico sorpreso dal sole mentr'era in strada per recarsi da un malato grave (ed ora è li, fermo, a occhi chiusi, perchè non può perdere neanche una goccia di sole); sapreste che c'è l'uomo d'affari, pressato dai suoi impegni di banca o di che (il quale, tuttavia, non può perdere neanche una goccia di sole); sapreste che c'è 11 reporter di giornale, con la notizia In tasca, mentre in redazione lo si attende con ansia (e si è nondimeno fermato, a succhiare qualche goccia di sole), eccetera eccetera. Cosi si beve il sole a Stoccolma (e a Upsala, e a Gote¬ aigsnddzidmsvcimvclctsqalsrdvlgtcvsgbzppV borg, . e a Tromsoe, e se volete anche a Vadso). E vi dirò che io, personalmente, volli un giorno fare l'esperienza di suggere con questa gente "del nord alcune gocce del pallido, dell'argenteo, del vitreo sole della tardiva primavera di Svezia. E con un mio caro amico italiano sedetti su una di codeste panchine messe in fila, messe l'una dietro l'altra. E sedutomi, chiusi gli occhi, e levai la testa alla maniera del ciechi. E stando fra la gente immobile, fra la gente di marmo e di cera o di ghiaccio, avvertivo sulla fronte, sulle guancie, sulla bocca qualcosa come l'alito d'una carezza, qualcosa come un sottile soffio, — sottile, dico, come un gemito, — quasi la mia persona fosse scaldata dal fiato di non so quale gentile e soccorritore animale; e questo tepore labile, per la verità, mi dava allo stesso tempo un leggero delirio, una tenuissima febbre; dentro le palpebre chiuse vedevo il nostro sole d'Italia, quell'azzurro limpido e anche talora feroce sole italiano (il gran sole di Roma su San Pietro o sul Campidoglio, l'affocato sole di Napoli sul Vesuvio o su via Caracciolo, l'agreste fervido sole sulle campagne della Toscana, dell'Umbria, delle Marche, degli Abruzzi, lo smaltato sole della riviera, di Taormina, di Capri, e sia pure quel solleoni afosi della pianura padana, del Tavoliere). Vedevo il sole nel quale noi nuotiamo, come In un mare, nel quale noi naufraghiamo, talvolta, come in una tempesta; e mi domandavo con una certa angoscia che cosa avrebbero fatto i miei compagni di quella « magra siesta al pallido sole del Nord » se improvvisamente fossero stati tuffati dentro 11 furore del sole del Sud. Preso da questo pensiero cominciai a parlare con il mio amico, e gli ricordavo appunto 11 nostro sole eccetera eccetera. E l'amico mi rispondeva che non sapeva, che non poteva immaginare; e in quel profondo silenzio si udivano solo le nostre parole. Ed effettivamente il suono delle nostre parole metteva un'ala d'ombra dinanzi a quelle poche gocce di sole, per quegli svedesi. Tan to che improvvisamente si levò per un attimo un leggero mormorio da quella gente, un mormorio corretto, che vo'.ova dire: «Silenzio! Silenzio!». E noi tacemmo. E ci vergognavamo, un pochino. Come se avessimo commesso un sacrilegio. Come se avessimo offeso con le nostre voci la solenne austerità d'una cerimonia funebre; o meglio la cristallina quiete d'un mondo che fosse già oltre i confini della vita mortale. Virgilio Lillà