Una Venere ottocentesca

Una Venere ottocentesca Una Venere ottocentesca In un disordinato e oscuro libro di ricordi, Torchcs et lumignom, J.-H. Rosny racconta che Alphonse Daudet, del quale si è appena celebrato il cinquantenario della morte, usciva, in un pomeriggio temporalesco, da una casa amica, quando s'imbattè in una donna fatale. La giornata era soffocante, elettrica, e la sconosciuta che gli apparve, pallida, le palpebre viola e gli occhi nuotanti, stava salendo in vettura: vi entrò, senza dire verbo, anche Daudet, e per lungo tempo gli rimase nelle ossa e nella memoria, l'immagine di una scala nera e di una camera bianchissima, il senso di quell'estasi totale, di quell'accanirsi furioso nel piacere. Il richiamo al « mostro verde > che, per la Saffo oja elegantemente tradotta da Francesco Beruardelli (Torino, De Silva, 1948) figura nel Journal dei Goncourt, può esser collegato all'episodio, narrato dal Rosny, a cui dobbiamo la conoscenza di un'altra avventura, durata dieci minuti, con una giovane sposa popolana? Parrebbe di no, giacchè gli esordi di quel meridionale povero, trapiantato dapprima a Lione, poi a Parigi, che fu l'autore di Tartarini son pieni di storie e di donne del genere : una fonte autobiografica di Saffo, con nome e cognome della modella, è menzionata dal Beruardelli. E, divenuto poi marito modello e padre felice, Daudet si volgeva, con un po' di nostalgia, talora, ai putridi fermenti del passato, ma Be ne distoglieva toBto: Saffo, con piglio di moralista, è dedicata « ai miei figli, quando avranno vent'anni*, e l'anatomia ai conclude in sermone. Eppure, il libro, artisticamente parlando, resta il mi- fliore di quanti ne lasciò Jaudet, essendo al nostro schizzinoso palato di moderni, difficile metter troppo in alto Tartarin, sciropposa e lunga novella, dove le «macchiette > stentano a diventare «personaggi». Qualche patetico e patriottico frammento dei Conte* du hindi ci può attirare, e lo' stesso si dica dei languori dei Rois en exil, o di Fromont jeune et Rider ainè (la scena del contabile che trpva sul palchetto del varietà la moglie fedifraga e canterina). Ma Jack e Petit chose, sanno di racconto educativo; V Evanyeliste e l'Immorte.l non persuadono; Numa Roumestan e il Nabab, sono irrimediabilmente polverosi, invecchiati, stantii. A conservarli, sarebbe occorsa la magìa dello etile, e Daudet confessava proprio ai Goncourt, che prima d'incontrarli e frequentarli, egli non se ne rendeva conto, e scriveva alla diavola, romanzando quaderni di note, con un'istintiva attrazione pel buffo e il doloroso, per la figurina comica e la scena sentimentale e passionale, mescolando i propri ricordi e il reportage, e riuscendo a qualcosa di non molto diverso da un Jules Claretie o da un André Theuriet, nomi ormai dimenticati nel museo letterario dell'Ottocento. Quando non si ha il genio di osservazione e di rievocazione zoliano, ma si vive sugli scampoli del mondo dei «naturalisti», l'unica salvezza è nello stile, e Huysmaus, infatti, si è salvato. Saffo, questa Manon ottocentesca, che però è fra i , trenta e i quaranta, già sciupata e vizza, in confronto dell'adolescente, snella creatura del Settecento, tuttavia sopravvive. Chi guarda da vicino, con la lente, la pagina, vede il tessuto dozzinale del periodo, l'iiflmagind sciatta, la parola imprecisa, il capitolo accozzato, e la fatica di Beruardelli dev'esser stata grande, quant'è meritoria. Però, la carne e l'anima ci sono, e un "curioso studio, più che di costumi, di razza. Daudet era razzista e antisemita, odiatore dei « nordici », e il protagonista di Saffo, GausBÌn, gli somiglia come due gocce d'acqua. Del meridionale, ha la foga sensuale, raccendersi di botto, e assieme un orudo, duro disprezzo della donna che ha ceduto, un costante rimorso del peccato, dal quale si ritrae, per ricadérvi con peggior frenesia. Confesso di aver riletto Saffo come contributo allo studio della psicologia amorosa dei meridionali, e di averne cavato dei tesori. La donna è, indubbiamente, quel che in buon francese si chiama une tratnée, ma l'eroe di Daudet non la considera con indulgente lucidità, cavandone ciò ch'essa, per grazie e spirito può dare. In altri termini, egli non vede, neppur per un momento, la compagna di poche settimane o mesi, la buona amica di qualche anno, da prenderei con le opportune cautele, e magari per intervallo. Sempre la teme, e la desidera ; l'avversa, e non può farne a meno. Si confronti la vicenda di En menage di Huysmans, dove il concubinaggio, il cottage, manifesta subito un aspetto più sereno; gli è che Huysmans era di origini fiamminghe... Daudet, invece, drammatizzava a più-non posso, e c'è l'urto e l'inverosimiglianza, la volgarità e lo stridore, che hanno distolto da Saffo tanti lettori delicati. Qualcosa di sudicio, di corrotto, "un lezzo d'alcova, è nel romanzo (inezie, se pensiamo ai nostri contemporanei) e Sàff\ appare più malsana di Teresa Raquin, che pure andava risolutamente in fondo, sino al delitto. Gli è che Zola faceva perno sulle passioni animali, naturalisticamente descritta, e Daudet v'introduce il sentimentalismo, il gioco degli affetti. Riscritta da Mérimée, da Maupassant, Saffo diventerebbe nitida e quasi casta, mentre sotto la penna del nostro autore, sentiamo ,il ricordo, lo sfogo personale, la vita vissuta : Daudet non si è ancora staccato dal suo personaggio, non lo guarda da lontano, e gira il ferro nella piaga. Il libro resterà, come Manon, proprio perchè è una confessione, «una storia -vera»: piaccia o no l'atteggiamento dell'eroe verso la donna (e a me, francamente, in molte parti, non garba) non possiamo ricusarlo, nè dimenticarcene. L'interpretazione di Beruardelli secondo cui l'ultimo gesto di Saffo,' di riprender Gaussin e poi rigettarlo spremuto al suo mediocre destino di burocrate, è quello di chi sa dominare e guidare la voluttà, mi sembra sottile: c'è, nella donna, intelletto più lucido e volontà più ferma, ma forse soprattutto il disappunto di aver dovuto riconoscere, una volta di più, che l'amante prescelto non era della sua forza, e che bisognerà ricominciare, rimettersi in cerca di uno che le ridesti i senei e l'accarezzi. La carriera amorosa di Saffo, Venere dell'Ottocento, è una lunga fatica. Arrigo Cajumi

Luoghi citati: Beruardelli, En, Lione, Parigi, Torino