Cent'anni dopo di Pasquale Jannaccone

Cent'anni dopo Cent'anni dopo Nel febbraio del 1848 Carlo Marx e Federico Engels lari i aro no da Londra quell'appello ai proletari di tutto il mondo ch'è passato alla storia col nome di Manifesto dei Comunisti. Grido di riscossa, programma di azione, dimostrazione storica e scientifica della fatalità delle rivoluzioni sociali, tutto questo il manifesto vuol essere; ma, a rileggerlo dopo cent'anni, ben si vede quali siano, nella selva delle sue affermazioni, i rami secchi e quali gli ancor verdi. La parte caduca del documento è proprio quella in cui s'incarna la dialettica marxista: ^^rimediabile" contrastò fra le forze produttive, che in una società crescono e si espandono, e le forme della proprietà che tendono a restare immutate; la formazione di un proletariato sempre più misero per opera delle stesse forze che creano una borghesia sempre più ricca ; l'immancabile cozzo fra la potenza del numero e la potenza del possesso dei mezzi di produzione; la sintesi fra gli opposti, e quindi la fine della lotta e la solu zione del problema sociale quando tutti i mezzi di produzione e di scambio siano divenuti pubblica proprietà, perchè allora il proletariato stesso « abolisce le condizioni di esistenza dell'antagonismo di classe, e cioè abolisce le classi in generale ed il suo 'proprio dominio di classe ». ■ * Nulla di tutto questo si è avverato in cento anni nei paesi occidentali, dove l'economia borghese si è estesa, sviluppata ed irrobustita, apprestando essa stessa gli antidoti a quelle forze che, per la dialettica marxista, avrebbero dovuto disgregarla. Da sè, essa ha spesso mutato le forme e i limiti della proprietà privata per adattarla a nuove esigenze sociali ; in seno ad essa le classi lavoratrici non sono divenute quella squallida turba di proletari, incapaci di mutare stato per la loro stessa miseria, che il manifesto dipinge; nè le crisi economiche, pur frequenti, hanno ca gionato quel progressivo ac créscersi del proletariato ed indebolirsi della compagine capitalistica, che avrebbe dovuto affrettarne l'immancabile catastrofe. Il Manifesto, che esalta le forze creative ed espansive della borghesia sino a dire che quello ch'essa ha fatto, da paese a paese e da continente a continente in meno di un secolo (e quanto altro dovrebbe aggiungervi ora!), « supera quanto abbiano mai fatto le passate generazioni tutt'insieme », non vede che essa ha anche una grande forza di conserva zione e di recupero nell'es sere una classe sempre più « aperta », tanto da perdere via via i tratti di una vera e propria classe e di riassu mere in sè tutto il « popolo » Nella società borghese la stessa distinzione tra capi talisti e lavoratori non è una distinzione « sostanzia' le », ma, come i logici direbbero, soltanto «funzionale»; sia perchè anche il lavoro è, come il capitale, un mezzo di produzione e l'uno è indispensabile all'altro; sia per che nessun ostacolo fisso impedisce a qualsiasi indivi' duo di passare da una cate goria all'altra o di apparte nere nello stesso tempo ad entrambe, purché il regime politico sia libero. *La rivoluzione russa è la controprova. Essa non è stata la realizzazione dello schema dialettico marxista, la conclusione fatale di una economia borghese giunta all'estremo delle sue possibilità di sviluppo; che la Russia del 1917 era al fondo della scala delle società borghesi e delle economie capitalistiche. E, pur avendo avocato allo Stato terra e capitali, non ha cancellata (perchè non era possibile conceliarla) la distinzione fra i lavoratori e gli « amministratori » del capitale sociale (funzionari, tecnici, politici) nè soppresse le differenze nelle rispettive condizioni di vita. Anzi, il regime politico ha irrigidite le disparate situazioni delle varie categorie, ed ha creato un proletariato nel quale ciascun individuo, essendo disciplinatamente avvinto al lavoro assegnatogli e non possedendo di proprio che i beni di ultimo consumo, ha poca o nessuna facilità di muoversi e mutare condizione. Capovolgendo il proces so di disintegrazione della società borghese disegnato nel Manifesto cui già avevano tolto credito gl'insuccessi delle rivoluzioni tedesche e francesi del 1848-51 e la resistenza opoosta dall'ordinamento capitaliBtico anche alle più gravi crisi economiche — la rivoluzione russa ha cercato e conseguito un trionfo iniziale in quel'« attivismo politico », al quale il Manifesto assegnava il compito finale. «Il proleta« riato — esso dice — pro< ntterà del suo dominio po- « litico per togliere via via « alla borghesia tutto il ca« pitale, per concentrare « nelle mani dello Stato tutti gli strumenti della pro« duzione e per aumentare « con la massima celerità « possibile le forze produtti« ve. Tutto ciò non può na« turalmente accadere se « non per via di dispotiche « infrazioni al diritto di pro« prietà e di violazioni dei rapporti borghesi della « produzione, ossia per mez« zo di misure che appari« ranno economicamente in« sufficienti ed insostenibili, « ma che nel còrso del movi« mento sorpasseranno se « stèsse. spIng§R§9.. a.rWQvil« misure, e che per intanto « sono mezzi indispensabili « per raggiungere la sovversione della intera forma di « produzione ». Mentre ha dato un formidabile impulso alla formazione di un movimento socialista internazionale, il Manifesto, descrivendo l'annientamento della società borghese sia come il termine naturale della sua stessa evoluzione, sia come un risultato che l'attività rivoluzionaria può conseguire in qualsiasi fase di quello sviluppo, ha seminato nella dottrina e nella tattica socialista quei dissensi che ora hanno la loro espressione più significativa nel contrasto fra il bolscevismo russo, ad un'estremità, e il laburismo inglese, all'altra. A loro volta, le società borghesi debbono trarre dal Manifesto l'avvertimento che, per non perire d'interna discrasia o di qualche colpo violento, debbono darsi una struttura politica libera ma forte, ed una struttura economica che, non paralizzando le energie individuali, eviti una troppo grande concentrazione della ricchezza. Le guerre e i loro postumi controbattono purtroppo queste inderogabili esigenze di vita. Pasquale Jannaccone

Persone citate: Carlo Marx, Federico Engels

Luoghi citati: Londra, Russia