Nominatività dei titoli di Pasquale Jannaccone

Nominatività dei titoli Nominatività dei titoli In una discussione ch'ebbe luogo nel 1916 intorno alla proposta, allora fatta dal prof. Vivante, di mutare il regime delle società anonime col rendere generale ed obbligatoria la -forma nominativa delle azioni, io opposi fra l'altro che la nominatività obbligatoria dei titoli avrebbe allontanato dalle società molti piccoli ma serii risparmiatori. « Le società — scrivevo — diventerebbero sempre più organi dell'alta finanza: e le azioni si concentrerebbero nelle mani dei grandi capitalisti, delle banche,, dei sindacati... il che non è certo il risultato « democratico che i fautori della riforma si sarebbero aspettato ». - Questo appuntò è avvenuto. Nell'ultimo quindicennio una grande concentra, zione si è prodotta nel pos-. sesso delle azioni: ed una recente indagine ha rivelato che alla fine del 1945 circa il 75% di tutto il capitale azionario era posseduto da poco più dell'1% del numero totale degli azionisti, mentre il restan te 25% di capitale era dis seminato tra il 98-99% de gli azionisti. In alcuni tipi di società, come le finan ziarie, la concentrazione è ancora maggiore, essendo l'81% del capitale nelle mani di meno dell'1% degli azionisti. Nei singoli gruppi di industrie (estrattive, metallurgiche, chimiche, elettriche, tessili, ecc.) il 50-70% del capitale è posseduto da una piccola frazione del numero degli azionisti. Le azioni delle grandi banche d'interesse nazionale sono possedute per più del 90% dall'I.RJ.; ed in complesso su 66 miliardi di capitale azionario nominale, 31 erano posseduti da gruppi finanziari, 24 dallo Stato direttamente o per mezzo di enti parastatali, 5 da società od enti stranieri, restando così appena 6 miliardi ai singoli azionisti privati. Nella recente esposizione al Consiglio dei Ministri, l'on. Togni ha confermato che circa il 50% del patrimonio delle aziende industriali è controllato dallo Stato ed altri enti pubblici. Non oserei dire, per dare maggior valore e risalto aliti mia previsione del 1916, che questo forte concentramento del capitale azionario in poche mani sia per intero un effetto della nominatività obbligatoria instaurata nel 1942; perchè esso è una delle manifestazioni di tutto un processo di condensazione tecnica e finanziaria, che si è andato compiendo nell'ultimo ventennio di vita dell'industria italiana. Ma certo la nominatività vi gioca una parte importante; e se ne ha un indizio "nel forte aumento del valore nominale del portafoglio azionario degl'istituti di credito, ch'ebbe luogo fra il '42 e il '43, cioè appunto nell'anno di applicazione della nominatività, e durante il '47, periodo di grandi fluttuazioni nel valore delle azioni, v'è più di un nesso fra le due cose. In primo luogo, la nominatività ripugna al piccolo e singolo azionista, sia per timori fiscali, sia perchè gli impone spese, fastidi, difficoltà giuridiche, intoppi frequenti alla pronta disponibilità del proprio patrimonio; mentre è indifferente a banche, società ed altri enti, ben attrezzati a sostenere questa rete di rapporti, forniti di altre risorse patrimoniali e di cassa, non soggetti ad imposte personali e di successione, già abituati alla notorietà del loro portafoglio azionario. I piccoli e medi risparmiatori sono quindi indotti dalla nominatività a preferire altri impieghi allo stabile possesso delle azioni, le quali vanno ad impinguare portafogli più cospicui. E come dissi altra volta, questo processo di concentrazione sarà sensibilmente accresciuto dalla applicazione della patrimoniale progressiva, perchè tutti i titoli venduti da coloro il cui reddito non è sufficiente a pagare l'imposta passeranno — e forse sono già in parte passati — in tasche più capaci. In secondo luogo, la grande concentrazione del possesso azionario crea un clima propizio a violente fluttuazioni dei valori di borsa. Nè il rialzo del '46 e della prima metà del '47 nè il tracollo da allora ad oggi sarebbero stati così intensi, se sul mercato avessero operato soltanto piccoli e disgregati risparmiatori. Ciò e specialmente vero del secondo periodo; perchè, se è facile anche a minuti speculatori accodarsi ad un movimento di rialzo assecondato da facilità monetarie e di credito bancario, sta invece che le operazioni al ribasso, tecnicamente più per'colose, economicamente più difficili, psi- cologicamente meno allettanti, possono essere intraprese in grande stile soltanto da possessori: di forti pacchetti di azioni. I professionisti di borsa hanno notato che durante questo lungo e violento periodo di ribasso non hanno mai scarseggiato i titoli per le liquidazioni: segno che sono stati in massima parte Venduti e ricomperati da chi ne possedeva grandi quantità, cioè da società ed enti che probabilmente coi lucri di queste operazioni hanno già scontato la loro imposta patrimoniale del 4%. E cosi, questa aggiunta d'imposta, che fu voluta appunto perchè apparve troppo scarso il patrimonio azionario delle sole persone fisiche, che sarebbe stato colpito dalla progressiva, avrà anch'essa contribuito a renderlo ancora più scarso con le vendite effettive dei risparmiatori impauriti dal ribasso. Da tutto ciò si trae, in terzo luogo, che la nominatività obbligatoria non serve più a nulla, neppure come strumento di polizia fiscale. Non paga la spesa tenere in piedi un macchinoso e tardo congegno burocratico, se il possesso azionario privato, ch'esso dovrebbe accertare per le imposte personali e di successione, non raggiunge forse nemmeno la quindicesima parte del totale. E se si continua a dire « democratici » provvedimenti, come la nominatività delle azioni e l'imposta progressiva sul patrimonio, che contribuiscono ad esacerbare la concentrazione della ricchezza — base e pista di lancio della propaganda e dell'azione social-comunista — si è perchè è inveterato costume politico sostituire alla sostanza delle cose la loro apparenza o il vacuo suono dei loro nomi. Pasquale Jannaccone

Persone citate: Togni