Segni sul muro

Segni sul muro Segni sul muro n professore ci fece salire sui palco per accostarci agli affreschi di Raffaello che si stanno restaurando nella Stanca della Segnatura In Vaticano; e così ci trovammo con le nostre teste all'altezza della testa di San Tommaso nella Disputa del Sacramento. Stavamo a disagio su quei palco da muratori, come in un errore di prospettiva; più che grossi, ci sentivamo brutalmente rilevati coi nostri, corpi rotondi coperti di vestiti scuri e rugosi, vicino alle liscie figure, pur così reali, dei Santi e dei Dottori della Chiesa, nelle loro tuniche lilla, celesti, e rosso lacca spento. Per aiutarci a giustificare la nostra parte di gente di un mondo diverso, seguivamo attenti la voce del professore, spiritualmente affaticata, rotta fino all'afonia. Egli ci indicava i guasti degli affreschi, fessure lunghe e serpeggianti, allargate a delta o dilatate in crepacci; e pareva che per 11 dolore di quei guasti la voce gli fosse caduta, ed egli potesse soltanto così, sottotono, mostrarci i pericoli mortali che minacciano le Stanze di Raffaello per il ceder* dei vecchi muri. Dietro di noi era salito l'aiuto del professore, Gregorio: un uomo bruno e magro, dalle mani sottili, che faceva pensare a un artigiano medievale. Con una siringa da iniezioni, assai grossa ma d'ago sottile, ci mostrò come Iniettava nel muro una. miscela di calce e colla la calce riempie le crepe; e la colla riporta al massiccio del muro la pelle dell'affresco dove stava staccandosi. — Durerà, molto? —■ chiedemmo. — Secoli — rispose. Si vede--;, che gli pareva naturale lavorare per 1 secoli. Il professore ci mostrava cose commoventi. Svelava quasi i passaggi d'animo del pittore quando ci faceva osservare, deducendolo dagli impercettibili limiti tra figura e figura, il lavoro delle sue giornate, ora più vasto ora più scarso; e il colore delle sue ispirazioni, quando ci conduceva a vedere da presso una testa dipinta e delineata alla maniera peruginesca vicino ad un'altra fermata in uno scorcio nervoso che preludeva al Seicento. Lo straordinario flusso delle sensazioni che Raffaello fondeva nella sua mano con una pacata purissima armonia correva come un sangue sotto la celebre parete; ne sentivamo il ritmo, e ci pareva d'essere chiamati ad un antico ordine umanìstico una chiamata che sgomentava. Tanto sgomentava che abbassai lo sguardo dov'era buio tra il muro e il sottopalco, nel vano lungo e stretto, vedevo muoversi Gregorio intento ai suoi lavori e seguivo meccanicamente 1 suol gesti. Lui alzò _il viso e disse: ,^^^„_T_ — Venga a vedere. Andai giù per la scaletta col sollievo di chi si sottrae ad un interrogatorio difficile. Il sottopalco non era cosi buio come m'era parso; barattoli bottiglie, secchielli, pentolini, strumenti di chirurgia muraria stavano allineati su tavole lunghe. Stagnava un odore di vernice e un odore più acre e più sottile di reagenti chimici. Gregorio accese una lampadina ta scadile, s'avvicinò al muro e fececorrere la luce da sinistra a destra: sulla parete, nella parte più alta dello zoccolo mi mostrò un graffito profondamente inciso, storto e maldestro: Martinus Lutherus, stava scritto. — E' una scoperta del professore — spiegò Gregorio. Il graffito era affiorato durante 11 restauro dello zoccolo coperto di ridipinture che celavano l'originarla decorazione raffaellesca. Ce n'era voluto per ritrovare tutte le lettere, tanto erano state accuratamente riempite poi di calce e pareggiate al muro. Si vedeva chiaramente il segno fatto con la punta di una lancia o di un'alabarda; e chi poteva aver affermato quel nome In quel luogo, se non "un lanzichenecco accampato in Vaticano al tempo del sacco di Roma? Subito lo vidi, anzi lo riconobbi. Era lui, venuto di-maggio, 1527, al sacco della città papale con 1 lanzi di Prundsberg, ubriaco dal sole di prima estate, con la sua compattezza animale, il suo riso goffo, i vuoti occhi colesti che guardavano senza vedere. Mentre Gregorio parlava, cadevano le mura del Vaticano, ed ero alla fontana il 4 giugno 1944. * * Alla fontana, perchè, naturalmente, non avevamo acqua nelle case da tanti giorni; ed era necessario bere, necessario lavarsi. Avevamo stabilito dentro di noi che era necessario compiere tutti i gesti consueti anche se stava accadendo quel l'avvenimento sperato e aspettato da mesi: la partenza del tedeschi da Roma. Partivano, Infatti: andavano comunque, la maggior parte a piedi. E noi, con i nostri secchi, le nostre damigiane, i nostri fiaschi, stavamo insieme alla fontana, tante donne, quasi tutte donne, perchè gli uomini erano chiusi nelle case o correvano per loro conto pronti a segnali segreti, Non si parlava molto, si era più pazienti del solito. Una che annunciò che avrebbero messo cannoni sul viale fu ascoltata appena. Era pomeriggio tardo, manifesti per le strade avevano ordinato il coprifuoco, ma la gente, inerme e tranquilla, se ne stava fuori e guardava senza commenti l'incredibile ritirata del pauroso esercito, a plctoni, a file scarse, a gruppetti, alla spicciolata. Per la prima volta li vedevamo, questi soldati, sporchi, polverosi, cercando tuttavia di serbare, almeno quelli in gruppo, qualche cosa di militare. Una colonna di S. S. passò cantando, al passo. Andavano stranamente a tempo. Vicino a me una donna tremò cosi forte che 1 suol due secchi tintinnarono. Dal profilo capii che era ebrea. S'era fatto tardi, lo ero alla mia terza fila, tra le ultime dntdcvtaptuptenpcdceg donne rimaste. I cittadini erano rientrati nelle loro case, 1 tedeschi erano passati, la sera di giugno s'inclinava sul viale completamente vuoto. E allora vedemmo comparire un soldato tedesco, solo. Aveva le sue armi, il fucile mitragliatore, la pistola alla cintura, la baionetta, corta e larga sulla coscia; una duplice collana di nastri di proiettili dondolava greve Intorno al suo collo. Si avvicinò e chiese da bere. L'ebrea vicina a me gli porse una bottiglia piena; lui beveva, tutto il suo corpo dipendeva dalla frescura di quell'acqua, avidamente, ciecamente; bevve fino In fondo e rimise la bottiglia sotto 11 getto dell'acqua; mentre si riempiva si volse a noi e disse nel suo linguaggio gutturale che gli americani stavano a Porta Maggiore. — Contente, eh? Contente? Faceva con un sorriso che voleva essere chissà come, forse maligno.. Non sapeva sorridere. Sotto la polvere era ben nutrito, grasso, sanguigno, chissà quanta roba aveva razziato in giro per essere così in carne. E dopo tutto era stanco, era l'ultimo soldato di un esercito in ritirata, avrebbe dovuto farci pena, a noi donne; ma non ci faceva pena nè altro, era lontano da noi con la sua floridezza animale, le sue armi, il suo ammiccare goffo. Una di noi disse calma: — Sì, siamo contente. Molto contente. Lui che stava portandosi la bottiglia alla bocca si ritenne, stette a guardarci; e tra le ciglia bianche di polvere gli vedemmo gli occhi; erano vuoti, assolutamente vuoti, nemmeno crudeli. Occhi che non sapevano riempirsi di immagini nè di pensieri, e tanto meno esprìmere sentimenti. Quegli occhi girò intorno. La voce di colei che aveva parlato pareva essersi fermata nell'aria turchina; un alito fresco aerava le foglie del viale e le parole. Sempre guardandoci, il soldato bevve ancora, ma senza persuasione, come per tener fede ad un gesto cominciato; posò la bottiglia in terra, si appoggiò al muro. In silenzio noi riempivamo i secchi, e lui stava lì con tutte le sue armi, solo e straniero, sotto il dolce cielo, le dolci foglie, presso di noi colme di dolci speranze. Stette 11 un pezzo, così straniero che ci dimenticammo di lui. Ad un corto momento si riscosse, tirò fuori dalla custodia la baionetta, e sul muro fece alcuni segni. Ci guariò ancora, e se ne andò. Lo vr lf mmu allontanarsi sotto gli aiuoli verso 11 nord; ci avvicinammo al muro e trovammo scritto: Heil Hitler. * * Ora, 11 professore e gli altri erano scesi nel sottopalco guardavano anche loro l'antico graffito del luterano di Prundaberg. Ed lo pensavo a quell'altro graffito sul muro presso la fontana. Dissi al professore: — Quel lanzichenecco io lo conosco. Pensò un momento! — Anch'io — disse. Maria Bellone! iiiiiimiiimiiiiiiiniiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiimiiimiii Fonti d'ispirazione per la moda: l'abito medievale, n J i ■ J i 'i< j 1111111 >1111111111111 111111111 [ 111i11111111

Persone citate: Heil Hitler, Maria Bellone, Martinus Lutherus

Luoghi citati: Roma