Se volere è potere proviamoci ancora di Sergio Romano

Se volere è potere proviamoci ancora Torna Lessema, dopo più di 100 anni Se volere è potere proviamoci ancora LI A «qualità», di cui parla Cesare Romiti quando afferma che l'industria italiana deve prepararsi la sostenere la concorrenza internazionale, è la traduzione nuova di un vecchio concetto. Il generale De Gaulle avrebbe detto «sforzo», i maestri di qualche anno fa avrebbero detto «impegno» e i pedagoghi del secolo scorso «volontà». Se anziché parlare di «invito alla qualità» parlassimo di volontarismo, come si sarebbe fatto nel secolo scorso, capiremmo meglio perché il discorso di Romiti sia tanto spiaciuto al Manifesto e a una buona parte dell'intelligericija di sinistra. Volontarismo, nel senso corrente della parola, è la teoria che crede nella capacità dell'uomo di superare ostacoli, vincere resistenze, progredire e elevarsi con la tenacia, l'entusiasmo, la forza del carattere. Come tutti i concetti che sono fondati su un atto di fede il volontarismo non è una terapia scientifica e ricorda quei «placebo» che si vendevano sulle piazze di paese nei giorni di mercato per curare tutti gli acciacchi possibili. Ma come i placebo esso può essere moralmente contagioso. Può destare entusiasmi, suscitare emulazioni, risolvere problemi che parevano insolubili. L'intelligencija di sinistra ne è perfettamente cosciente anche perché la storia dei movimenti popolari è disseminata di manifestazioni volontariste. Lenin fu volontarista, Gorbaciov è volontarista e la Rivoluzione d'Otto- Michbre fu certamente l'avvenimento meno scientifico e più volontarista della storia del XX secolo. Ma in Italia, durante gli ultimi trent'anni, questa «religione della volontà» è stata bandita come espressione di scaltrezza padronale. A chiunque avesse osato osservare che un problema poteva essere risolto con un po' d'impegno e con uno sforzo supplementare l'intelligencija avrebbe replicato duramente che questa era l'ideologia dei crumiri e del lavoro straordinario, e avrebbe sostenuto che nulla poteva essere fatto senza modificare radicalmente le istituzioni, le condizioni ambientali, il regime della proprietà, i rapporti di produzione, la struttura e la superstruttura. Ho l'impressione che dopo il crollo delle ideologie e l'ecatombe dei sociologismi, il volontarismo stia tornando di moda. Non lo deduco dai pubblici interventi di Cesare Romiti, che dopo tutto è parte in causa e parla «prò domo sua», ma da una serie di segnali fra cui la riapparizione di libri che non mi sarei mai aspettato di rivedere in libreria. In Unione Sovietica un settimanale, il Kniznoe Obozrenie (L'Osservatore librario), ha pubblicato a puntate un classico dell'intraprendenza, Latte di conquistar gli amici (e il dominio sugli altri), di Dale Carnegie, e in Italia le edizioni e in Studio Tesi di Pordenone hanno pubblicato in edizione anastatica Volerei potere di Michele Lessona. Nella galleria letteraria del Risorgimento i grandi e i meno grandi che hanno diritto alla riconoscenza della patria e a un busto marmoreo come nei viali del Pincio o sulla collina del Gianicolo, sono Alfieri, Parini, Foscolo, Giusti, Man- zoni, Abba, Nievo. Nella realtà, tuttavia, nessuna delle loro opere ebbe, al momento della pubblicazione, il successo di tre libri che divennero rapidamente il catechismo laico della prima generazione unitaria: Volere è potere di Michele Lessona (1869), //bel Paese dell'abate Antonio Stoppani (1875) e naturalmente Cuore di Edmondo de Amicis (1886). Dei tre quello di Lessona era il più esplicitamente catechistico. Divenne per più d'una generazione il breviario della borghesia italiana e, in legature fiorite, un premio per i giovani che si erano distinti sui banchi della scuola. - Lessona era nato a Venaria Reale nel 1823, si era laureato in medicina, aveva fatto lunghi viaggi nel Levante e aveva diretto un ospedale nei pressi del Cairo. Ma quando rientrò in Italia nel 1849 abbandonò la medicina per dedicarsi alla zoologia, alla storia naturale, alla mineralogia e all'anato- mia comparata. Fu professore universitario e rettore dell'Università di Bologna, ma soprattutto autore di alcuni fortunati volumi in cui divulgò le teorie di Darwin. L'idea di un libro per illustrare con molti esempi le grandi virtù della volontà e del carattere non fu sua. Gli venne suggerita dall'editore Barbera di Firenze che era stato fortemente colpito dallo straordinario successo del libro di un educatore inglese, apparso in Italia sotto il titolo Chi si aiuta il del lo aiuta. L'autore, Samuel Smiles, vi raccontava la vita di molti uomini che avevano vinto le avversità con la forza del carattere e conquistato fama, onori, ricchezza. Perché non fare anche in Italia, disse Barbera a Lessona, un libro di esempi virtuosi da cui gli italiani avrebbero tratto ispirazione per i grandi compiti cui li chiamava l'unità nazionale? Ne venne fuori un libro di 500 pagine e 2000 proverbi in cui Lessona immaginò di risalire la penisola dalla Sicilia al Piemonte per raccontare lungo la strada la vita d'un centinaio di italiani, di cui molti viventi, che egli proponeva all'esempio e all'ammirazione dei suoi compatrioti. Come le poesie d'una volta le storie di Lessona hanno scansioni obbligate e rime baciate. Cominciano generalmente con un'infanzia difficile, un padre scettico, una madre amorosa, proseguono attraverso delusioni, amarezze, ostilità e si concludono con la vittoria della volontà, il premio del successo, una vecchiaia onorata, un paese riconoscente. 1 luoghi che fanno da sfondo a queste vicende sono quelli in cui si recita abitualmente il primo atto di ogni dramma della volontà trionfante: l'aula scolastica, la bottega dell'artigiano, la cameretta d'affitto, l'alberguccio di periferia, le strade d'una città straniera. A mano a mano che Lessona risale lungo la penisola la tipologia professionale cambia: al Sud artigiani, commercianti, medici; al Centro scultori, pittori, intagliatori, orafi, scienziati; al Nord militari e imprenditori. Ma nel libro non vi sono soltanto gli italiani, vi sono anche la «filosofia» dell'autore e il suo giudizio sull'Italia d'allora. Lessona vorrebbe che i suoi compatrioti fossero un po' meno latini e un po' più inglesi, avessero meno fantasia e più costanza. • Quando si guarda attorno alla fine degli Anni Sessanta del secolo scorso vede ancora troppo «dolce far niente», troppi impiegati che ammazzano il tempo in ufficio, troppi mendicanti, troppi «lazzaroni», troppe «liti di coltello» e troppa gente che non ha perso l'abitudine di aspettare dallo Stato la soluzione di ogni problema. Ma il tono del libro è fondamentalmente ottimista. Dall'inizio alla fine Volere è potere trasuda la convinzione che il peggio è finito, che l'unità sta cambiando il carattere degli italiani, che i loro difetti sono le scorie del passato. Soltanto Lessona redivivo potrebbe dirci se l'Italia d'oggi assomiglia alle sue speranze d'allora. Ma noi potremmo per parte nostra aggiornare i piccoli classici dell'Italia unitaria. A scrivere una nuova epopea delle aule scolastiche italiane ha già pensato l'autore di Io speriamo che me la cavo. Ad aggiornare //bel Paese dell'abate Stopnani pensano i rapporti non sempre concordanti dei Verdi e del ministero dell'Ambiente. Chi ha voglia di comporre, con tutte le luci e le ombre della volontà trionfante, un nuovo Volere è potere? Quali «avvocati», «ingegneri», «professori», architetti, designers, stilisti, critici d'arte, padroncini, palazzinari, magnati della televisione e maghi della finanza possono essere additati all'ammirazione dei loro compatrioti per questo scorcio di secolo che ci separa dal terzo millennio? Sergio Romano ) Nell'immagine grande, «Il commesso e il negoziante fanno l'inventario» (I960). Nella piccola, «Ragazzo co.i cuccioli». (\')22) Michele Lessema