Al San Martino di Genova vietalo ammalarsi dopo le 14

Al San Martino di Genova vietalo ammalarsi dopo le 14 Al San Martino di Genova vietalo ammalarsi dopo le 14 medicinali e gli articoli sanitari che possiede e smista sono catalogati nella memoria di un computer, ma gli aggiornamenti dei carichi e degli scarichi spesso avvengono con molto ritardo. Sembrerebbe inutile catalogare, allora. Perché può succedere che gli addetti al servizio rispondano ai reparti di degenza e alle sale chirurgiche: «Questo prodotto non c'è, bisogna disporne l'acquisto», e invece il prodotto è lì in qualche scaffale, entrato ma non ancora registrato elettronicamente. Oppure: «Sì, ora ve le mandiamo quelle scatole di fiale», e poi la promessa non viene mantenuta, perché nessuno ha ancora segnalato al computer che le scorte sono finite. In questo panorama si fa il possibile per i malati, soltanto al mattino con pienezza di mezzi: al massimo fino alle ore 14. E' un connotato di gran parte degli ospedali italiani questo dell'assistenza concentrata soprattutto nelle ore mattutine. Ma al San Martino si tratta di una peculiarità che appare clamorosa, anche soltanto agli occhi del cronista che ci ha messo tre pomeriggi consecutivi per accertarsi di non prendere un granchio nello scrivere: l'ospedale è quasi deserto di medici nelle ore pomeridiane, serali e notturne, quando un decimo dell'organico, a farla grossa, si trova sul posto di lavoro. Soltanto le rianimazioni e i reparti d'alta specializzazione, con pazienti che hanno subito un trapianto o un'operazione al cuore, o interventi chirurgici complessi, conservano una funzionalità e fanno registrare nell'arco delle 24 ore una dedizione di medici e infermieri più che accettabile. Per il resto, è vero che la «controvisita» ai malati nel pomeriggio è obbligatoria. L'impressione però è che si tratti di un'adempienza rispettata in modo tecnicamente ineccepibile ma frettoloso; e qualche volta elusa, se la caposala assicura al telefono «che tutto sta andando bene». Insomma dormono torpidi, dopo le ore 14, quasi tutti gli apparecchi per gli accertamenti diagnostici che costituiscono una dotazione di miliardi; quasi tutti gli ambulatori; tutti i reparti in cui ci sono malati per i quali «si può fare tranquillamente domattina quel che faresti oggi, di pomeriggio». E formalmente (ma anche sostanzialmente in verità) ci si affida in quelle lunghe ore a una guardia medica inter-divisionale che quando è attiva a pieno regime prevede la presenza di 40 medici, pronti a proiettarsi fra i 2830 posti letto della cittadella sanitaria, via via che arrivano le chiamate dell'infermiere in affanno. E funziona il pronto soccorso - ci mancherebbe altro - ma spesso a ritmo frenetico e poco sereno: con lunghi posteggi di malati, meritevoli invece di essere presto dimessi o di approdare ai reparti. «Qui lo dico e qui lo nego», ti ammoniscono i pochi medici che si soffermano a dare testimonianza di questa situazione, del resto rilevabile a prima vi¬ ^ ^^^^^^^^^^^^^ I sta. E ti spiegano che tutto ciò succede perché la maggior parte dei loro colleghi esercita fuori dell'ospedale la libera professione: guai a toccarglieli i pomeriggi liberi. Perché ci vorrebbero dei veri, autorevoli manager e mezzi e organici più sostanziosi in modo da ridisegnare l'assistenza ospedaliera su due turni quotidiani di eguale valore e dignità. Perché l'attuale stato di cose fa comodo a troppe persone, e ai laboratori d'analisi e cliniche private, che vedono piovere su di sé le richieste di costosi esami specialistici - Tac e risonanza magnetica nucleare in particolar modo - rifiutati dall'ospedale pubblico per l'ispessirsi delle liste d'attesa. Il dubbio di invisibili bustarelle non aleggia soltanto sull'acquisizione di costosissime apparecchiature, utilizzate al 50 per cento quando va bene; ma anche sul caso di pazienti gravi dirottati frettolosamente in Lombardia o a Montecarlo, poniamo per fare privatamente la risonanza magnetica. Anche