INDIA di Sara Cortellazzo

INDIA INDIA Una retrospettiva dedicata al Film Institute di Puna CONTRADDITTORIA: così potrebbe essere definita la cinematografia indiana. Al primato di questo colosso, che produce il maggior numero di film al mondo, alla sua vitalità e al costante aumento di pubblico che vede nel cinema lo strumento d'aggregazione per eccellenza, fanno riscontro una diffusione limitata dei film di qualità e una scarsissima conoscenza di tale cinematografia all'estero, dove si tende a identificare in Satyajit Ray e in Mrial Sen l'intero cinema indiano. A chi, se non ai festival, è demandato il compito di colmare quest'assenza di informazione, che genera spesso miopi e affrettati giudizi? La retrospettiva dedicata al «Film and television Institute of India», la rinomata scuola di cinema di Puna che ha formato molti dei registi divenuti negli ultimi vent'anni i nomi di punta del nuovo corso del cinema indiano, è un'occasione per avvicinarne il variegato e complesso universo, fatto di forme linguistiche, assimilazione di modelli classici del cinema mondiale e tradizioni regionali indiane. Per la prima volta, in Europa, si vedranno i diplomi di regia e i saggi di fine anno di artisti come Kumar Shahani, John Abraham, Adoor Gopalakrishnan, Mani Kaul, Ketan Mehta, Saeed Mirza, Vishnu Mathur. Il Film Institute è stato fondato nel 1961 dal Governo indiano, che in non poche occasioni si è trovato agli antipodi dello spirito di sperimentazione che circolava all'interno della scuola. Uno spirito di rinnovamento stimolato innanzitutto dal grande regista Ritwik Ghatak (che per alcuni anni ha insegnato al FTII) e alimentato in seguito dai suoi successori. Un ennesimo segnale delle contraddizioni che attraversano il cinema indiano, organizzativamente e finanziariamente sorretto dal governo — come ben pochi Paesi al mondo —, ma spesso ostacolato (il cinema di qualità) proprio dalle istituzioni. I 32 cortometraggi proposti dalla retrospettiva offrono un ampio spettro delle tendenze del cinema non commerciale degli ultimi tre decenni. «Avevo un gruppo di ragazzi e di ragazze pieni di vita, di energie, di 'joie de vivre' — raccontava Ritwit Ghatak — e ho insegnato loro che con i film avrebbero dovuto entusiasmare la gente, mostrando nel contempo i motivi della sua sofferenza». Ghatak ebbe un'influenza enorme sulla generazione formatasi negli anni '60: «La sua presenza, tra continue polemiche — scrive Marco Mùller — dà i suoi frutti nella realizzazione collettiva con gli studenti, di due cortometraggi («Rendezvous» e «Fear»), ma soprattutto semina fermenti e inquietudini per una schiera di cineasti a venire, innescando una miccia a lenta combustione in una cinematografia tanto sterminata quanto narcotizzata». E questa miccia scoppietta già nei cortometraggi presenta- ti al Festival Cinema Giovani, opere variegate che spaziano dai toni parodistici «In Search of God» e «A Great Day» al film educativo («Nagarik Sanrakshan»), dalle preoccupazioni letterarie e politiche di «Avasesh» ai problemi dell'incomunicabilità di «The Glass pane» e «6,40 p.m.», dall'autoriflessione all'insegnamento («Madhsurya», «A Day with the Builders», «Shelter»). Fra gli autori, anche Kamal Swaroop (con «Columbus Chapter V» e «Dorothy»), regista del lungometraggio in concorso «Om Dar B Dar» («Om porta a porta»), ritenuto il più importante esordio indiano degli ultimi anni. Secondo Ashish Rajadhyaksha, che ha redatto i materiali della retrospettiva FTII, «Om dar B Dar» «è uno dei più notevoli esempi di utilizzo di modi popolari per fini del tutto surrealistici». Il film parte dalle fantasie di Om, il giovane protagonista e, attraverso le leggende e i miti indiani, descrive i numerosi cambiamenti che l'India ha registrato negli ultimi decenni. E con essi le contraddizioni, inevitabili, di un paese in cui tradizione e modernità stentano a convivere. Sara Cortellazzo

Luoghi citati: Europa, Great Day, India