ANAGRAMMI DI PIACERE di Stefano Bartezzaghi
ANAGRAMMI DI PIACERE ANAGRAMMI DI PIACERE Con i giochi di parole, «gode chi apre l'immaginario» La bizzarra storia di un bibliofilo toscano del '600 LE notizie di carattere anagrammatico si sono infittite. La collana degli Oscar Giochi di Mondadori pubblica, in questi giorni, tre libri. Il primo è Codici segreti (pp. 128, L. 16.000), di Andrea Sgarro. Il secondo è Tangram (pp. 270, L. 12.000), di Reginaldo Lucioli. Di questi primi due, che a mio parere sono anche i più interessanti, parleremo nelle prossime settimane. Il terzo è Anagrammi e giochi diparole (pp. 188, L. 8000) di Francesco Adami e Roberto Lorenzoni. In particolare, agli anagrammi sono dedicate le prime cinquanta pagine del libro, alcune parti dell antologia conclusiva (con anagrammi e giochi vari di Sandro Doma, Carmelo Filocamo, Raffaele Massacesi, Roberto Morraglia, Giuseppe Varaldo: la crème), e la copertina, in cui il titolo Anagrammi e giochi di parole viene anagrammato in: E goda chi apre l'immaginario. Costante Lanteri (Badalucco, IM) mi scrive una severa epistola per diffidarmi dal proseguire con le sagome onomantiche, gioco che egli ritiene «infantile» appetto all'anagramma, che invece propugna a chiare lettere (per gli appassionati sagomanti, un avviso: le sagome torneranno presto). Piacerà a Lanteri sapere che la gentile lettrice Silvana Vanetti (Sostegno, VC), cercando di autosagomarsi, si è invece autoanagrammata così: La vita s'inventa. Bello, no? Fabio Luca Cavazza (Milano) mi segnala la storia curiosa di un anagramma (presunto) che circolava in piena guerra mondiale, gettando scompiglio tra i fisici nucleari che stavano cercando di inventare l'atomica. La storia proviene da un libro di Richard Rhodes, The Making of the Atomic Bomb (ora nei Penguin Books). Da parte mia, l'ultima storia anagrammatica l'avevo raccontata sabato 16 settembre (Tuttolibri n. 669), rifacendomi a una lettera di Tiziano Lorenzon (Noale, VE). Il tutto verteva su un bibliofilo toscano, Antonio Magliabechi (1633-1714), il cui nome, latinizzato, fu anagrammato così: Antonius Magliabechius: Is unus magna bibliotheca. L'anagramma è difettoso (al nome manca una B). Nuovi sviluppi della stessa storia me li fornisce ora Carlo Bologna (Verona), traendoli da un libro di Aneddoti bibliografici, scritto dal bibliotecario Giuseppe Fumagalli, ed edito da Formiggini, nell'ottobre del 1933. Già Fumagalli notava la B eccedente, che ora Bologna propone di aggregare al nome come sigla per «bibliothecarius»: B. Antonius Magliabechius. Bologna rivela così animo cavalle- resco, ma accetterei il suo emendamento, non fosse altro per ringraziarlo di avermi accluso una spassosa serie di notizie biografiche su Magliabechi, riportate da Fumagalli che a sua volta le ricavava da biografi d'epoca. Uno di questi dice di Magliabechi: «fu l'uomo più brutto, più trascurato, più sudicio, più erudito che fosse al suo tempo». Che Magliabechi fosse uno spirito bizzarro, lo si capisce quando si viene a sapere che non uscì mai da Firenze, se non per vedere un codice, una volta sola, spingendosi fino a Prato. Magliabechi mangiava solo insaccati, assicurando i biografi, e forse è diretta conseguenza di questa dieta l'uso magliabechiano di tenere il segno nei libri con fette di salame. Fattezze e stranezze di Magliabechi, infine, gli valsero molti nemici, uno dei quali compose una certa «sconcia poesia», di «crudo verismo», che poi Girolamo Tiraboschi (1731-1794) incluse nella sua Storia della letteratura italiana. Infine, come ultimo piatto anagrammatico di questa settimana, il dottor Salvatore Giaquinto (Roma) mi ha cortesemente procurato le bozze di un suo articolo in via di stampa, intitolato «On the stability with age of anagram forming». L'articolo rende noti i risultati di un esperimento neuropsicologico condotto da Giaquinto, con l'inconsapevole collaborazione di alcuni enigmisti. L'esperimento consisteva nel trarre una o più frasi sensate da una stringa alfabetica di 30 lettere (componenti i nomi di cinque marche automobilistiche). Nella valutazione dei risultati si è tenuto conto dell'età e della bravura degli anagrammisti. Dall'articolo ho potuto rafforzare due mie intuitive convinzioni, dando loro fondamento scientifico. La prima è la tesi principale di Giaquinto: il fattore dell'esperienza, nel fare anagrammi come in altre attività simili, prevale su quello dell'età (traduco e parafraso). In soldoni: l'abilità anagrammistica non viene meno, con l'età, e questa è una bella consolazione per noi tutti, se pensiamo alle nostre, incipienti o meno, vecchiaie. La seconda convinzione che ho ricavato è che farei meglio, io, a rivolgermi presto a uno psicoanalista. E' raro ricevere messaggi personali attraverso una rivista scientifica, ma a me è successo. Quando Giaquinto dice che il mio caso può destare l'attenzione dei seguaci di Sigmund Freud (la «delegazione viennese», come la chiamava Vladimir Nabokov), non fa il mio nome, ma parla di me, e io lo so. Forse è un onore. Stefano Bartezzaghi
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