Ora Luzzati colora Voltaire di Monica Sicca

Ora Luzzati colora Voltaire Intervista col grande illustratore che lavora a «Candido» Ora Luzzati colora Voltaire E a Firenze crea scene per Olmi wrj GENOVA | N'anta di armadio soc1 chiusa riflette personaggi I I fantastici, forse Don ChiJ^J sciotte e Sancho Panza, forse qualche paladino di Francia. In un angolo, da una cesta di vimini, fanno capolino le maschere senza vita di Arlecchino e Pulcinella. Alle pareti, tra pupi siciliani e marionette di Paesi lontani, disegni, collages. A Genova, nella sua casa, Emanuele Luzzati pensa e inventa le sue scenografie, prepara le illustrazioni per i libri, scrive le filastrocche. Si trasferisce a Roma soltanto per fare i cartoni animati, ma è Genova che lo tiene legato come gli incantesimi delle sue storie. E forse è proprio questa città che ha dato l'impronta alla sua arte, «questa città alla rovescia — come lui la chiama — così diversa da ogni altra città del mondo, dove gli ascensori sono per le strade, dove la gente entra nelle case per i tetti e per uscire sale le scale, giù dalla spianata di Castelletto». Ma come definire questo signore di quasi settant'anni, dai modi semplici e lo sguardo curioso di fanciullo? E' scenografo, pittore, decoratore, ceramista, scrittore, regista di cartoons, illustratore. Semplicemente artista? «No, per carità. Lavoro solo se mi chiedono qualcosa. La mia è un'arte applicata, devo sapere qual è la destinazione finale delle cose. Non ho mai pensato, ad esempio, di dipingere quadri, né di fare una regia a teatro. Ma se qualcuno mi dice che ci sarebbe da illustrare un libro, allora mi metto all'opera e invento. L'anno scorso ho lavorato sui fratelli Grimm, adesso sto concludendo il Candido di Voltaire, un testo che mi è molto caro, perché quand'ero a Losanna al- l'Ecole des Beaux Arts durante la guerra, preparai una tesina illustrando proprio Candido. Oggi lo spirito è diverso». Da una pila di cartoncini neri tira fuori la serie dei bozzetti: Candido nell'Eldorado, Candido e Pangloss, Candido e Cunegonda, Candido tra le scimmie e gli Orecchioni. Ancora un universo fantastico, dove le tecniche più diverse (pastello, matita, collage, penna, acquerello) si fondono in un insieme di colori, celeste e blu oltremarino, cremisi e verde smeraldo. Allo stesso modo nascono le scenografie: «Mipiace raccontare storie con tanti mezzi, anche se oggi tendo a ritornare alla pittura. Quasi sempre la mia scena è un bosco, ma al posto degli alberi ci sono vecchi mobili, raccattati dai robivecchi di mezz'Italia o noleggiati dalla ditta Rancati, banchi di scuola, comodini da notte, persino vecchie auto rovesciate. Tra pochi giorni andrà in scena a Firenze il mio ultimo lavoro, la Katia Kabanova di Jànacek con la regia di Olmi. Poi al Teatro Massimo di Palermo, con Crivelli, ci sarà l'opera Le allegre comari di Windsor». Ha in programma uno spettacolo con il Teatro della Tosse, il suo vecchio amore genovese: I Bizantini. E poi, quelli della Tosse allestiranno La mia scena è un bosco, tratto da un intervento di Luzzati su Hystrio, una passeggiata tra i personaggi incantati di Luzzati, da Papageno a Puck, da Titania a Oberon fino a Calibano. Per l'ispirazione, per i maestri, si è fatto il nome di Chagall. «In comune vedo l'origine ebraica. Per il resto, è evidente che ci siano artisti da cui tutti attingono, inconsapevolmente. Pensa che Picasso non mi abbia lasciato un segno? OpJ pure Rousseau o Klee?» sorride Luzzati. Il teatro oggi, in Italia, lo preoccupa. «A vedere la prosa, vado sempre più raramente. Mi annoio. Trovo che non ci sia stata da noi quella ventata di rinnovamento che altrove, con forme come il teatro-danza, ha lasciato il segno. Mi riferisco a Pina Bausch, a Maguy Marin che ha fatto una splendida Cenerentola. Si vede la fantasia, si vede una ricerca. O altrimenti, si passa al cinema, dove qualche volta si possono ancora provare emozioni». Sussurra Luzzati: «Da piccolo, tornando da scuola salivo a casa con l'ascensore di Castelletto. Per me quell'ascensore significava passare, in un minuto, dal grigio quotidiano al mondo del fantastico, e sfondando il tetto arrivare in paradiso. Capisce che cosa può fare un bambino?». Lui non lo ammetterebbe mai, ma tutto ciò ha il sapore inconfondibile delle sue scenografie fantastiche. Monica Sicca «Mi piace raccontare storie con ogni mezzo. Quasi sempre la mia scena è un bosco, non di alberi ma di mobili»

Luoghi citati: Firenze, Francia, Genova, Italia, Losanna, Roma