8 settembre: l'Italia trema

8 settembre: l'Italia trema Due volumi di testimonianze sul 1943 e le sue umiliazioni 8 settembre: l'Italia trema // re in fuga, prigionieri, delitti Oggi a Torino (Palazzo Lascaris, ore 17), L. Ceva, C. Dellavalle e G. Rochat presentano i volumi «Una storia di tutti. Prigionieri, internati, deportati italiani nella seconda guerra mondiale» e «8 settembre 1943: storia di memoria», dell'Istituto storico della Resistenza in Piemonte. jlG settembre '43, alle " 19,45, Badoglio annunciava alla radio la firma i dell'armistizio con gli an Llglo-americani. Un comunicato di poche righe, letto con voce stanca e concluso con la frase sibillina: «Le forze italiane reagiranno a eventuali attacchi di qualsiasi provenienza». Meno di dodici ore dopo, all'alba del 9 settembre, Vittorio Emanuele III, la famiglie reale e lo stesso Badoglio fuggivano a Pescara; alle 7 era la volta dei massimi responsabili militari, con alla testa i capi di stato maggiore Ambrosio e Roatta. Bastava un giorno per consegnare ai tedeschi un intero esercito, che la guerra fascista aveva sparso fra l'Europa orientale, i Balcani e la Francia; e bastava ancor meno per abbandonare alle armate naziste di Kesselring una nazione che all'improvviso si trovava senza riferimenti e senza indicazioni. La resa agli anglo-americani, inevitabile sin dalla tarda primavera del 1943, comportava il sacrificio di buona parte dell'apparato militare italiano: i rapporti di forza dicevano chiaramente che le nostre divisioni nei Balcani, nella Francia meridionale, nella Pianura Padana sarebbero state travolte dalla reazione tedesca e una grossa parte del territorio nazionale occupato. Era l'ultimo prezzo della guerra fascista, il più umiliante. La fuga del re e di Badoglio, preoccupati solo di salvaguardare la continuità delle istituzioni monarchiche, trasformava un armistizio difficile in un tragico sbandamento. Un sovrano e un governo più consapevoli delle proprie responsabilità avrebbero dovuto ordinare la resa ai tedeschi per evitare inutili spargimenti di sangue, oppure la resistenza a oltranza per cadere con le armi in pugno: quello che non potevano e non dovevano fare era lasciare il peso di una decisione tanto grave ad ufficiali educati all'obbedienza e al rifiuto di responsabilità politiche. La conseguenza fu lo sbandamento generale, in un drammatico intreccio di fughe, arresti, esecuzioni: lo sgretolamento dell'esercito e dello Stato, malgrado singoli episodi di valore e sacrifici generosi: il fallimento di una monarchia complice del fascismo e delle sue avventure. A questa data fondamentale della nostra storia recente sono dedicati due volumi curati dall'Istituto storico della Resistenza in Piemonte: 8 settembre 1943, una raccolta di testimonianze sulle reazioni all'armistizio e sulle scelte maturate in quei giorni, e Una storia di tutti, un'ampia rassegna delle ricerche sui prigionieri italiani della seconda guerra mondiale. Dalle due pubblicazioni emergono i contorni di una nazione che attraverso il dramma dell'armistizio scopre una nuova identità e sceglie la strada di una resurrezione morale pagata con i venti mesi di Resistenza sulle montagne o nei campi di prigionia. «La nostra generazione è cresciuta nelle verità del duce — dice il comandante partigiano Giulio Nicoletta — poi l'andamento della guerra ci ha tolto sicurezza: ma è l'8 settembre che ci ha costretti a capire, ognuno solo con la propria coscienza e le proprie paure». L'armistizio è anche la vera data d'inizio dell'antifascismo. Nell'Italia occupata dalle divisioni tedesche tutti devono scegliere: i soldati, minacciati di prigionia e fucilazione; i civili, davanti al bivio fra la complicità con gli sbandati o la collaborazione con gli occupanti; i giovani, presto mobilitati dai bandi di Salò; gli internati, abbrutiti dalla detenzione e ricattati. «Quale sia stata la scelta — scrive Rochat — lo dice la storia successiva, la Resistenza partigiana, l'autogoverno dei Cln, il 25 aprile, e quell'altra Resistenza, meno conosciuta e più drammatica, combattuta all'interno dei lager. Ascoltare e studiare come maturarono queste scelte è il modo migliore per manifestare il rispetto e il debito che abbiamo verso tutti quelli che rifiutarono di arrendersi l'8 settembre e fino alla Liberazione». Gianni Oliva Bastò un giorno per consegnare ai tedeschi un esercito e abbandonare nelle mani di Kesselring l'Italia intera

Luoghi citati: Francia, Italia, Pescara, Piemonte, Salò, Torino