Bagnara, la strage dimenticata di Pierangelo Sapegno

Bagnarti, la strage dimenticata Dopo un anno sul dramma è sceso il silenzio, il giudice: «Caso da archiviare» Bagnarti, la strage dimenticata Resta un mistero la morte dei 5 carabinieri BAGNARA DI ROMAGNA DAL NOSTRO INVIATO Il gagliardetto appeso al muro è nuovo. «Carabinieri. Bagnara di Romagna». Poi quadri e stendardi. Non c'è una foto, non c'è un'immagine, un nome, qualcosa, qualunque cosa che ricordi quella strage, un anno fa. Eppure, la stanzetta è la stessa. Cinque morti e un mistero. Uno solo sparò, l'appuntato Antonio Mantella, da Vibo Valentia: 112 colpi, prima di togliersi la vita. Perché lo fece, nessuno forse ha cercato davvero di saperlo. Dodici mesi dopo quel massacro, non c'è un dubbio che sia stato chiarito, non c'è una domanda che abbia avuto risposta. Aldo Ricciuti, procuratore capo a Ravenna, riceve i giornalisti e strabuzza gli occhi: «La strage? Avete qualche notizia per me?». Se n'era quasi dimenticato, «a questo punto sarò costretto ad archiviare», aggiunge come fosse sconsolato. A Bagnara attaccano i manifesti ai muri per ricordare quei cinque morti. Luigi Chianese, brigadiere, da Minturno, Latina; Angelo Quaglia, carabiniere scelto, di Controguerra (Teramo); Paolo Camesasca, Giussano; Daniele Fabbri, Cesena. E Mantella, l'appuntato che fece fuoco. Il paesino è pieno di silenzio. I prati coperti di rugiada e i vigneti fino all'orizzonte. E la piccola caserma davanti a uno spiazzo deserto. C'è ancora Sandro Trombin, 25 anni, e faccia di bimbo. Lo chiamano «il sopravvissuto», perché l'anno scorso era appena partito per una licenza quando Mantella compì quel massacro. Rientrò che era disperato; eppure è rimasto qui, non ha voluto andarsene. Inutile chiedergli perché. «Per favore, cancelli quel cognome», sus- surra. E prima di rispondere se è davvero lui, prima di ammettere che si chiama proprio Sandro Trombin, guarda il suo brigadiere, poi dice di «sì». Alberto Saputo, che è il nuovo brigadiere della caserma, sorride e spiega che «a Bagnara si vive come in qualsiasi altro ambiente militare. Si vive non pensando a quello che è successo, continuando a fare il carabiniere». Il parroco, don Francesco Bonello, ripete: «Il paese ha rimosso, abbiamo voluto dimenticare». Il sindaco, Lodovico Muccinelli: «Non si è saputo niente, qui nessuno sa niente. E' rimasto il mistero». E il colonnello Mario Solinas allarga le braccia: «Noi abbiamo riferito tutto alla magistratura. Se volete qualcosa di più andate da loro». Appunto. Ricciuti scuote la testa: «Sono state fatte tante supposizioni, ma nessuna suffragata dai fatti. Che volete che vi dica? Alla fine, l'ipotesi più vicina al reale, l'unica possibile, rimane quella del raptus». I misteri, tutti dimenticati. «Eeeh, signori miei, noi dobbiamo lavorare sulle certezze... Il processo l'abbiamo tenuto aperto proprio perché era un caso di grande portata, nella speranza che saltasse fuori qualche elemento nuovo. Ma non è arrivato niente». Il 16 novembre dell'anno scorso, i cinque carabinieri della stazione di Bagnara sono tutti insieme nell'ufficio di Chia¬ nese. Il brigadiere ha appena fatto chiamare via radio la pattuglia. Mantella e Fabbri rientrano subito. Chianese è dietro alla scrivania; vicino a lui, alla sinistra c'è Camesasca; all'altra scrivania c'è Quaglia. Mantella, accertò l'inchiesta, spara i primi colpi quando è ancora nel corridoio, mentre sta entrando nell'ufficio. I bossoli sono stati trovati sotto alle poltrone dell'ingresso. Mantella scarica la sua mitraglietta, poi un'altra e un'altra ancora, e la sua pistola d'ordinanza, altri sedici colpi. Poi infierisce sui corpi, Quaglia lo sega in due, una raffica feroce sulla schiena. Lucia Conte, la moglie di Chianese, dal secondo piano ha sentito tutto e scende le scale, con le due bimbe in braccio. La porta degli uffici non si apre, per sua fortuna. C'è una damigiana di vino, lì davanti. Lei allora esce nel cortile, fa il giro, cerca di guardare dalla finestra della stanza, ma ci sono le tapparelle abbassate. Mantella, forse, avverte che c'è qualcuno lì fuori. Spara undici colpi contro la finestra, nove bucano i vetri, due si stampano sugli infissi. I corpi dei carabinieri sono tutti per terra, non c'è motivo di sparare in alto. Un proiettile colpisce la 126 del postino, Martino Zardi, che sta passando proprio in quel momento. Lucia Conte si butta a terra, però è colpita di striscio da un frammento di vetro o dalla camicia di un proiettile. Mantella aspetta qualche minuto prima di spararsi l'ultimo colpo. Perché? Decide di uccidersi solo quando capisce di non avere più scampo? Perché Chianese aveva richiamato la pattuglia? E come mai tutti e cinque gli uomini in servizio erano negli uffici del brigadiere? E perché le mitragliette e la pistola sono state ritrovate riposte con cura sulla scrivania? Le perizie, pare, non hanno dato molte risposte. «Solo Mantella ha sparato», dice Ricciuti. Così, anche la dinamica della strage è rimasta avvolta nel mistero. I carabinieri, a Ravenna, ripetono che in pratica !e indagini le hanno già concluse da un anno. La verità, alla fine, sembra una speranza irraggiungibile. Alberto Saputo continua a sorridere: «Non mi fate rispondere». E Trombin continua a non rispondere. Andavate d'accordo? C'erano mai stati screzi fra di voi? Lui guarda il suo brigadiere e tace. Poi si volta e tace ancora. Pierangelo Sapegno 1^1 - tri i*T coji - I USi Un carabiniere uccide quattro colleghi, poi si spara. Della strage restano i segni sulle finestre della caserma