Miracolo incompiuto tra le macerie del Libano di Igor Man

Miracolo incompiuto tra le macerie del Libano r L'ACCORDO DI TAIF Miracolo incompiuto tra le macerie del Libano MIRACOLO in Libano: dopo tredici mesi di vuoto istituzionale, dopo un ennesimo massacro durato sei mesi, domenica scorsa, 5 di novembre, il Parlamento ha eletto presidente della Repubblica l'avvocato René Moawad, 64 anni, deputato maronita di Zghorta. Moawad è il nono presidente libanese ma il primo della II Repubblica frutto dell'accordo raggiunto a Taif, dopo 23 giorni di estenuanti trattative. Raymond Eddé, «campione della cristianità» al pari di suo padre Emile, primo presidente della Repubblica nata dalla costola della Francia ex mandataria, allorché gli proposero di candidarsi rispose che, pendendo sulla sua testa il veto di Assad, sarebbe stato per lui un suicidio, non soltanto politico, scendere in lizza. Con amaro humour aggiunse che, in ogni caso, l'unico luogo adatto per l'elezione d'un Presidente non poteva essere che Lourdes. Invece il miracolo i deputati libanesi, in numero di 58, l'hanno compiuto nella mensa ufficiali della base aerea di Qlayaat, nel Nord-Est del Libano, sotto controllo siriano. Il Libano ha dunque, di nuovo, il suo Presidente, ma questi non ha, per lo meno a tutt'oggi, il suo Paese. Non ha neanche l'ufficio, perché nel palazzo-bunker di Baabda, residenza ufficiale, è tuttora rinserrato il generale Aoun. Costui, nominato in extremis 411 giorni fa presidente del governo militare cristiano da un Amin Gemayel decaduto e frustrato, considera nulla l'elezione di Moawad perché avvenuta sulla scorta dell'accordo di Taif che, a suo dire, legittima «la pax siriana e l'occupazione del Paese». In verità l'accordo di Taif modifica la famosa convenzione nazionale del 1943 che assegnava un ruolo preponderante nella conduzione del Paese ai cristiano-maroniti, allora maggioritari, ma non fa parola del ritiro delle truppe di Assad che, in fatto, tiene sotto la sua ferula il Libano. Da qui il no di Aoun. Non vorremmo sbagliare ma, prima o poi, Moawad convincerà Aoun a scendere da cavallo. Bene inteso in cambio di qualche cosa. I cronisti del Medio Oriente coetanei o pressappoco del presidente Moawad lo ricordano animoso mediatore, nel 1958, tra Nasser, leader assoluto del mondo arabo, e il generale Shehab, che sarebbe poi succeduto a Camille Chamoun, contestato Presidente al tempo della prima guerra civile, roba da boys-scout al cospetto dell'attuale che, fra una tregua e una strage, tormenta il Libano oramai da 15 anni. Ancorché cristiano, quest'uomo di giusta statura, dall'aria addormentata, è un laico sensibile, e da sempre, alle istanze dei musulmani. Anch'egli, come il suo «padrino», il generale Shehab, crede nel pragmatismo politico incentrato sulla pacifica convivenza intercomunitaria, la : modernizzazione dello Stato e ! l'apertura al mondo arabo. E' in buoni rapporti con i siriani | ma ne vuole il ritiro, anche se, | dice, dovranno essere gli I israeliani a ritirarsi per primi dal Libano. I suoi detrattori dicono di lui che è troppo gentile per essere sincero; i suoi amici ne lodano l'equilibrio. In verità è uno straordinario incantatore di serpenti, come lo definì Nasser. L'uomo giusto in un nido di vipere qual è il Libano di oggi: un Paese occupato per due terzi dalla Siria; governato nel Sud da Israele; con i pasdaran iraniani e gli hezbollahi loro proseliti ben radicati nella Beka'a; coi palestinesi che controllano Sidone; e il «Paese cristiano» a mezzadria tra Aoun e le milizie di Samir Geagea. Un Paese per di più minato dal cancro degli ostaggi occidentali, intombati in quella Beirut Ovest che siriani e iraniani si contendono (o si spartiscono?). II vaso di Pandora chiamato Libano si ruppe il 12 di aprile del 1975. Da quel giorno che segnò l'inizio della guerra civile, il Paese dei Cedri ha smesso di produrre benessere. Produce soltanto cadaveri. Certo il miracolo dell'elezione di Moawad non significa la pace. Postula, tuttavia, e seriamente, l'opzione pacifica a un popolo disperato ma pronto a rimboccarsi le maniche. E sono loro, gli eredi degli antichi Fenici, l'arma più forte di Moawad, il collante che dovrebbe consentirgli, non senza travaglio, di ricomporre un Paese in cocci. Quel Libano ventre molle del mondo arabo, ma pur sempre capace di tornare a produrre benessere, una volta seppelliti i morti nel segno della pietà e della speranza. Igor Man lan |