Bush manda segnali a Teheran

Bush manda segnali a Teheran Il Presidente parla di Est e Medio Oriente, sempre freddi i rapporti con Pechino Bush manda segnali a Teheran Beni restituiti in cambio degli ostaggi in Libano WASHINGTON DAL NOSTRO CORRISPONDENTE Nel primo anniversario della sua elezione e nel decimo della cattura degli ostaggi ampH<-:>ni a Teheran, George Bush ha *atto un'improvvisa apertura all'Iran. La scorsa settimana, alla Corte internazionale dell'Aia, dove negoziano saltuariamente dall'81, gli Usa hanno acconsentito a restituire all'Iran 527 milioni di dollari di beni iraniani confiscati in territorio americano, circa 700 miliardi di lire. Ieri, in una conferenza stampa, Bush ha detto di sperare che la restituzione «porti alla liberazione degli ostaggi in Libano». «Non so che cosa accadrà — ha dichiarato — ma voglio sgomberare il terreno di questo contenzioso. Il problema degli ostaggi mi accompagna giorno e notte, di recente, l'Iran ha fatto affermazioni costruttive, dietro le quinte continuiamo a seguire certe piste». E' la seconda volta dall'ingresso alla Casa Bianca che Bush prospetta la soluzione della crisi degli ostaggi. La prima fu la scorsa estate, in circostanze drammatiche, quando gruppi sciiti in Libano distribuirono una videocassetta dell'impiccagione del tenente colonnello americano Higgings. Ma allora Bush poggiò le sue caute speranze solo sullo sdegno provocato nel mondo islamico dall'assassinio. Questa volta, gli Usa sembrano accin- gersi a soddisfare una delle condizioni sempre poste dall'Iran, appunto la restituzione dei beni confiscati. La somma contesa è di quasi 10 miliardi di dollari, di cui 3 miliardi e 800 milioni già restituiti. Il versamento di 527 milioni di dollari della scorsa settimana potrebbe essere seguito nei prossimi mesi da altri più sostanziosi, sebbene la Casa Bianca neghi che il gesto abbia a che vedere con gli ostaggi. Bush ha anche rassicurato indirettamente Teheran sul futuro del Libano. Il presidente si è scagliato contro il generale cristiano Aoun, i cui seguaci l'altro ieri hanno aggredito il Patriarca maronita. «Noi apI poggiamo la mediazione dei Paesi arabi e il governo di riconciliazione, vogliamo il ritiro di tutte le forze straniere, tutte, dal territorio libanese», ha esclamato Bush. «Chiediamo il contributo di ogni libanese alla ricostruzione. Prima della fine del mio mandato, desidero che i problemi del Libano siano risolti». Il presidente ha anche indicato che continuerà a esercitare pressioni sul premier israeliano Shamir per le elezioni in Cisgiordania e a Gaza e per i successivi negoziati sui palestinesi con i Paesi arabi. Bush si è presentato nella sala stampa della Casa Bianca con un preavviso di appena mezz'ora, e ha esordito dandosi quasi i pieni voti, «quasi ma non proprio — ha detto — perché non siamo ancora riusciti a eliminare il deficit statale». Dopo aver rilevato che i suoi primi dieci mesi di governo «hanno visto la spinta più forte del dopoguerra verso la democrazia nei Paesi comunisti», il presidente ha detto che «i cambiamenti nell'Est europeo sono irreversibili». Il blocco sovietico, ha dichiarato, «si è spinto troppo avanti, non potrà più riportare indietro l'orologio». Bush ha tenuto in sospeso il giudizio sul leader tedesco-orientale Krenz che però, ha notato, «non è certo una copia del predecessore Honecker», e ha aggiunto di voler parlare delle due Germanie con Kohl al suo ritorno a Bonn dalla Polonia. Rispondendo a chi lo accusa di non appoggiare a sufficienza la trasformazione del blocco sovietico e di abdicare alla leadership dell'Occidente, Bush ha affermato che non si tratta solo di dare più soldi ai Paesi comunisti, e ha promesso che il vertice con Gorbaciov nel Mediterraneo il 2 e 3 dicembre segnerà un importante passo avanti nei rapporti Est-Ovest. Poi ha indicato i temi principali del summit: la riduzione delle armi convenzionali della Nato e del Patto di Varsavia, il riavvicinamento delle due Europe, la soluzione della crisi in Nicaragua. Infine ha rifiutato di avallare le critiche mosse domenica al gorbaciovismo dal vicepresidente Quayle. Bush ha approfittato della conferenza stampa per lanciare un segnale anche a Hanoi e a Pechino. Di Hanoi ha detto che «rivela una nuova trasparenza, un nuovo spirito di collaborazione, e mostra la volontà di migliorare i rapporti con Washington»: è un giudizio che punta a future discussioni per la ripresa dei rapporti diplomatici tra gli Usa e il Vietnam. Su Pechino ha invece ricordato un vecchio proverbio: «Chi stringe il nodo deve poi scioglierlo». «La Cina pensa che il nodo lo abbiamo stretto noi e si aspetta che lo sciogliamo. Non sono d'accordo, è il contrario. Per adesso quindi non riprendiamo contatti ad alto livello». Ennio Caretta