Gli italiani fermati «Non siamo mercanti di piccoli colombiani» di R. Cri.

Gli italiani fermati «Non siamo mercanti di piccoli colombiani» A Bogotà per adottare un figlio Gli italiani fermati «Non siamo mercanti di piccoli colombiani» BOGOTA'. I quattro italiani fermati dalla polizia colombiana non sono trafficanti di bambini. A Bogotà erano andati per adottare un figlio e ora dicono di avere tutti i documenti in regola. «E' probabile che non fossero consapevoli di trattare con trafficanti di bambini, che siano vittime di individui senza scrupoli», ammettono gli inquirenti colombiani. In un primo tempo i quattro italiani erano stati accusati di sequestro di persona e di maltrattamenti fisichi e psichici, come hanno comunicato le agenzie di stampa. Ora Raffaello D'Amico, trentasette anni, architetto di Torremaggiore (Foggia), la moglie Giuseppina De Pasquale, 37 anni, Giuseppe Santero e la moglie Margherita, di Castagnole Lanze, vicino ad Asti, sono in un albergo di Bogotà, «sotto la custodia della polizia colombiana», precisano fonti della capitale. Gli agenti li hanno trovati in un appartamento di un elegante quartiere di Bogotà in compagnia di una donna colombiana, Laura Ortiz de Cadena, accusata di tessere le fila di un'organizzazione che ha venduto all'estero un centinaio di piccoli. La sezione della magistratura colombiana che si occupa esclusivamente del traffico di droga e di bambini era da due anni sulle tracce dell'organizzazione. Secondo i giudici, alcuni piccoli hanno trovato nuovi «genitori» in Belgio, Francia, Spagna, Stati Uniti. Altri sono arrivati in Italia. Nell'appartamento di Bogotà c'erano tre bambini, tutti maschi, rispettivamente di cinque, sei e un anno. Sembra che stessero per lasciare il Paese. La coppia di Foggia era in attesa dell'adozione da tre anni. Era partita per Bogotà da una settimana. Nicola Sacco, cognato di Raffaello e Giuseppina D'Amico, ha dichiarato a un'emittente locale che «i miei parenti avevano tutti i documenti in regola, la pratica dell'adozione era regolare». La stessa affermazione viene fatta da conoscenti della coppia astigiana. «Non sappiamo ancora nulla al riguardo», dice Corrado Milesi Ferretti, della direzione generale per l'emigrazione e gli affari sociali del ministero degli Esteri. «Ci risulta che i quattro nostri connazionali siano in stato di fermo. La Farnesina è in contatto con l'ambasciata italiana a Bogotà, i nostri rappresentanti diplomatici stanno seguendo il caso». Il problema, sottolineano al ministero, è complesso. «Per portare in Italia un bambino straniero e adottarlo — spiega Milesi Ferretti — i nuovi genitori devono produrre un certificato di adottabilità rilasciato da un tribunale italiano, e la documentazione, fornita dalla rappresentanza consolare o dall'ambasciata, che l'iter previsto dal Paese in questione per le adozioni all'estero è stato rispettato. Ogni Stato ha le sue procedure, le verifiche sono difficili. E a volte ci troviamo di fronte a documenti in perfetto ordine, che in realtà sono stati ottenuti con procedure irregolari». Gli inquirenti colombiani parlano di oltre cento bambini venduti all'estero, alcuni in Italia. «Non abbiamo riscontri al riguardo. Ogni bambino che entra nel nostro Paese ha un visto d'adozione, un dossier che dev'essere in regola. Ma non abbiamo elementi per stabilire se i documenti necessari sono stati prodotti in modo legale o illegale», [r. cri.]

Persone citate: Corrado Milesi Ferretti, Giuseppe Santero, Giuseppina D'amico, Giuseppina De Pasquale, Laura Ortiz, Milesi Ferretti, Nicola Sacco, Raffaello D'amico