Wall Street vuole spegnere i computer

Wall Street vuole spegnere i computer Le compravendite elettroniche sotto accusa: «Falsano il mercato, danneggiano i piccoli investitori» Wall Street vuole spegnere i computer Le grandi banche in campo contro il «program trading» WASHINGTON DAL NOSTRO CORRISPONDENTE L'evento è senza precedenti. La Prudential Bache e la Neuberger and Berman, due delle più note banche d'investimento di Wall Street, hanno chiesto una drastica riforma del «program trading», le compravendite programmate col computer, la prima in un'inserzione a piena pagina sul Wall Street Journal, la seconda in una sul New York Times. Con una denuncia clamorosa della «truffa dei numeri» dello Stock Exchange — così ha chiamato il program trading — la Neuberger and Berman ha invitato gli investitori a premere sul governatore della Federai Reserve Greenspan e sul presidente della Sec Breeden, l'ente di controllo della Borsa. E protestando contro «l'ingiustizia economica e sociale» delle vendite programmate col computer, la Prudential Bache ha esortato il Congresso a intervenire in fretta. Dalle due inserzioni sono emersi insieme lo sdegno e la paura di un crack. L'allarme per la salute della Borsa è enorme nell'America che produce: essa è vista come una fonte di contagio, un fattore di destabilizzazione dell'economia. In un'intervista alla radio, il presidente Bush ha ieri detto di essere stato colto di sorpresa dal venerdì nero del 13 ottobre scorso, in cui l'indice Dow Jones dei titoli industriali crollò di 190 punti: «Non me l'aspettavo, per fortuna la settimana dopo si riprese». Ma il senatore Lloyd Bentsen capo della commissione finanziaria ed ex candidato democratico alla vicepresidenza lo ha deriso: «Dov'era il presidente?» ha chiesto. «Sulla luna? Dal lunedì nero del 19 ottobre '87, quando l'indice Dow Jones precipitò di 500 punti, quasi tutti gli esperti ammoniscono che il program trading dei titoli, ma soprattutto degli indici alla Borsa di Chicago, è una rovina». Accanto al program trading, nel processo contro Wall Street oggi siedono sul banco degli imputati anche i junk bonds, i titoli spazzatura, emessi ad hoc, su cui gli arbitraggisti fanno leva per fusioni e compravendite di società altrimenti irrealizzabili. Essi stanno provocando seri problemi alle istituzioni finanziarie che ne abusano, perché la percentuale di fallimenti supera ormai il 12%. I junk bonds, il program trading, le operazioni sugli indici sono tutti figli della Reaganomics: introdotti tra l'81 e 186 hanno dato un incredibile impulso al mercato azionario, trasformandolo però in un Casinò come dicono al Congresso, un gioco d'azzardo, e sottraendo capitali all'investimento nelle attività produttive vere e proprie. In un clima di emergenza, tra ieri e l'altro ieri si sono svolte combattute riunioni allo Stock Exchange, alla borsa merci di Chicago e al Congresso. Un gruppo di deputati ha proposto una sovrattassa sui profitti a breve, detta appunto «l'imposta contro i Casinò». Il presidente dello Stock Exchange, Phelan, ha suggerito la sospenzione del program trading a Chicago quando le oscillazioni degli indici diventino eccessive. Il ministro del Tesoro Brady, il più severo, ha invocato il controllo della Riserva Federale su tutti i tipi di borse. Pochissime, invece, le voci che si sono levate in difesa degli attuali meccanismi. Negli ultimi tre giorni, l'indice Dow Jones ne ha zittite molte con un'altra serie di salti inquietanti: più 40 punti martedì, paralizzato l'altro ieri, al di sotto di 20 punti a metà giornata ieri. C'è la sensazione che Wall Street si aspetti un'altra stangata entro Natale. Definendosi «una modesta banca, che gestisce solo 17 miliardi e mezzo di dollari all'anno», ossia 25 mila miliardi di lire, la Neuberger and Berman ha denunciato quella specie di gioco delle tre carte che a suo parere è diventato lo Stock Exchange. Secondo la società «le compravendite col computer non servono a nulla se non a riempire la tasche di un pugno di società e individui; rendono il mercato instabile, ne allontanano l'investitore e ne intaccano l'attendibilità; si fanno beffa di una verità fondamentale, che un titolo deve basarsi sul suo valore, distruggendo così il concetto di investimento; riducono il valore dei titoli: se il mercato fosse stabile, essi sarebbero superiori e ci sarebbero meno fusioni e acquisizioni». Il «program trading» è ingiusto, ha continuato, «perché consente di operare depositando solo il 5% del valore dei titoli invece del normale 50%; perché i computers sono collegati direttamente a quelli dello Stock Exchange, e hanno quindi la precedenza mentre i normali investitori fanno la coda; perché possono vendere quando i titoli precipitano, vendita che viola i regolamenti, mentre gli investitori devono aspettare che risalgano marginalmente». Ecco, allora, la proposta della Neuberger e Berman. Imporre subito il rispetto della «upstick rule», cioè costringere il program trading ad attendere che un titolo al ribasso si riprenda temporanemente prima di disfarsene; esigere un deposito del 50% sui valori transati. I computers adesso scatenano la valanga perché programmati per vendere quando i titoli scendono e comprare quando salgono. Ennio Carette UN MONDO DI BORSE CONFRONTI INTERNAZIONALI DEI MERCATI AZIONARI A FINE ' CAPITALIZZAZIONE IN MILIARDI DI DOLLARI NUMERO DI SOCIETÀ' CON TITOLI QUOTATI 224 FRANC A

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