Brachetti il magnifico Fregoli
Brachetti, il magnifico Fregoli Brachetti, il magnifico Fregoli Numeri incantevoli tra parodia e trasformismo wssm TORINO. Un grande Brachetti per «il grande Fregoli» in uno spettacolo ambizioso ma modesto. Non sapremmo sintetizzare in altro modo il «Fregoli» che dall'altra sera è in scena al Carignano, dove resterà fino al 7 gennaio. Prodotto dalla Compagnia della Rancia, diretto da Saverio Marconi e scritto da Ugo Chiti, «Fregoli» vorrebbe essere un esempio originale di musical italiano. Ma non crediamo siano sufficienti alcune canzoni (di Moretti-Renzullo) e qualche frettoloso passo di danza per raggiungere lo scopo. Così come non crediamo che il testo di Chiti sia adatto al caso: il suo è un copione a volte lento e a volte pesantemente artificioso, gira con inutile insistenza intorno a concetti secondari, oscilla tra preziosismi «fin de siècle» e corrività del nostro parlar comune («ma che cavolo fate?» per esempio). Se poi aggiungiamo i fumo- ni, le scenografie a tinte autunnali di Aldo De Lorenzo e una ricorrente atmosfera da incubo, otteniamo al massimo una scaglia di decadentismo a mezza strada tra Huysmans e Pitigrilli. Ma per fortuna c'è Arturo Brachetti. Con lui in scena lo spettacolo prende il volo, diventa una meravigliosa parata di illusionismi, acquista la grazia leggera dell'incantesimo. «Fregoli» non racconta la vita del più leggendario fra i trasformisti. Chiti immagina che l'azione si svolga alla fine del secolo scorso, a Vienna. Fregoli si ammala di scarlattina, non riesce a terminare lo spettacolo perché il suo sosia, Romolo, alle cui sostituzioni qualche volta ricorre in gran segreto, non si trova: è tra le braccia di una prostituta. Non si trova neanche l'impresario della compagnia, che sta dilapidando il proprio patrimonio al tavolo da gioco. Resta soltanto la moglie Velia, che assume su di sé
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