I fiori del cieco Vladimir pazzo per l'arte

A Mosca la galleria Tretjakovskaya rende omaggio a Yakovlev, pittore scoperto dalla perestrojka A Mosca la galleria Tretjakovskaya rende omaggio a Yakovlev, pittore scoperto dalla perestrojka I fiori del cieco Vladimir, pazzo per l'arte Vagabondo, asociale, una vita passata in manicomio j~| MOSCA § A prestigiosa galleria Trei tjakovskaya di Mosca, fino Ila non molto tempo fa sansdì età sanctorum unicamente di opere non soggette a discussione, prodotte da autori ufficialmente riconosciuti e approvati, ha forse raggiunto l'apice del suo rinnovamento quando ha aperto i battenti della sua parte ricostruita e rimodernata (la «Nuova Tretjakovska», come viene comunemente chiamata) a Vladimir Yakovlev. Oggi la galleria è affollata di visitatori, molti semplicemente curiosi, ma altri genuinamente alla ricerca di una produzione pittorica che li convinca. E' interessante notare i giovani e giovanissimi che sfidano il maltempo (ha spesso fatto 20 sotto zero, nelle ultime settimane a Mosca) e le difficili distanze della capitale per fare conoscenza con un pittore del quale ignoravano l'esistenza fino a pochi mesi prima. Vladimir Yakovlev, di età imprecisata (alcuni dei suoi amici gli danno una sessantina d'anni, altri dieci anni di meno), è nato in Russia e ha trascorso a Mosca tutta la sua vita. Alcune sue opere hanno varcato le patrie frontiere a sua insaputa, acquistate da collezionisti convinti del buon futuro commerciale della cosiddetta «arte nonconformista» russa. Qualcuno si ricorderà forse ancora dello scalpore suscitato a suo tempo da Krusciov quando fece spianare con i bulldozer una mostra allestita all'aria aperta da artisti che non avevano ottenuto, e neanche richiesto, l'indispensabile placet delle autorità di partito. Da allora investire in opere di questo tipo diventò per gli occidentali spesso un affare e nel contempo nacque per gli artisti sovietici, perpetuamente marginali, una possibilità (modesta) di sopravvivere. Va detto, però, che Yakovlev entrò in questo movimento praticamente per caso, senza averne l'intenzione e senza neanche ben rendersi conto di quanto stava accadendo: fu per così dire travolto da una marea che non avvertiva. Ma il suo nome e la sua opera diventarono noti in Occidente, con addirittura una mostra allestita al Metropolitan Museum di New York negli Anni 60 e la partecipazione, sempre a sua insaputa, in numerose altre esposizioni nelle gallerie d'arte soprattutto americane. Il regime sovietico allora reagiva malissimo a ciò che considerava una provocazione; nello stesso tempo occorre rendersi conto che gli ottusi funzionari preposti a difendere la purezza dell'arte socialista semplicemente non potevano capire l'opera di Yakovlev, in bilico, in un modo tutto suo ed irripetibile, tra forme di impressionismo ed espressionismo interamente scaturite da un'indomabile libertà di fantasia. Egli non ebbe, però, a pagare lo scotto di tanta «disubbidienza ideologica» semplicemente perché era già fra le grandi vittime della condizione umana: quasi interamente cieco, piccolo di statura («poteva sembrare nano - dicono gn amici - ed era facile che suscitasse quel raccapriccio che troppo spesso proviamo per gli invalidi»), con un accenno di gobba, era totalmente e regalmente indifferente a ciò che comunemente si chiama realtà, al punto da essere, naturalmente, dichiarato schizofrenico. Era nato in una famiglia di piccoli impiegati sovietici, il padre un modesto tecnico, la madre contabile in una qualche impresa di Stato. Aveva una sorella del tutto «normale» e che nutriva verso di lui, raccontano gli amici, disprezzo e paura. I genitori invece accettavano la sua presenza con quell'assenza di ribellione alle prove che una volta in Russia era legata alla fede religiosa e che si è stranamente mantenuta anche dopo che di fede ne era rimasta ben poca. Vladimir non poteva lavorare, e non voleva: neanche capiva di che cosa si trattasse. L'unica cosa che lo interessava in quella sua buia prigione, che egli trasformava in nuvole per sorvolare il cosmo, era inseguire i sogni o le visioni che poi incredibilmente riusciva a trasferire sulla carta, o la tela quando ne aveva. Dipingeva ritratti, ai quali attribuiva dei nomi. Generalmente i soggetti stentavano a riconoscervisi, ma un mondo denso di significato e misterioso si affacciava in quei volti. I suoi temi preferiti, però, erano (e rimangono) i fiori e le farfalle: sfolgorìi di luce strappati al buio quasi totale nel quale era condannato a vivere. I critici, oggi, sono concordi quasi tutti nel discernere in questa pittura, che non riescono a ben definire, soprattutto un caldo ?MMmMÌÌim?M: '11111 Non si conosce la sua età, non ha famiglia, nei suoi quadri sfolgora di luce Una rara foto di Vladimir Yakovlev; i suoi fantastici fiori incantano il pubblico russo e prorompente amore per la vita. Di vita, nel senso come la intendiamo noi, esseri ancorati al conforto di una realtà tutta di questo mondo, Vladimir ne conobbe e ne assaporò ben poca. Dopo la morte dei genitori non ci fu più nessuno per occuparsi di lui, neanche per vegliare a che egli non morisse di fame. La milizia lo raccolse per la strada in quanto vagabondo e di fronte ai suoi discorsi, nei quali elementi fondamentali come cibo e tetto non trovavano alcun posto, lo misero in mano agli psichiatri. Solo con l'inizio della Perestrojka la sua sorte mutò: una donna, critico d'arte, girò allora il primo documentario sovietico sull'arte non conformista nel suo Paese, già celebre in Occidente e spietatamente osteggiata in patria. Il film, che si chiamava Scatola nera, attrasse l'attenzione dell'opinione pubblica che all'interno dell'Urss cominciava a ritrovare la voce. Yakovlev era uno dei personaggi presentati. Le circostanze pratiche della sua esistenza cambiarono. Oggi egli vive ancora in un ospedale psichiatrico ma in una stanza riservata a lui solo, trattato con riguardo e talvolta addirittura con tenerezza. I russi riconoscono in lui aspetti di una lunga tradizione, certamente presente ovunque nell'umanità, ma della quale la cultura russa ha fatto un suo capitolo particolarmente amato: quello dei «folli di qualcosa». Storicamente i più famosi sono i «folli di Dio». Ma oggi si comincia ad intuire che possono esistere anche i «folli dell'arte» e la tradizione russa chiede per loro un particolare riguardo. A questo punto il sorgere nella memoria, inevitabilmente, di Van Gogh è quasi un luogo comune. Anche di lui ancora oggi si ripete meccanicamente che era pazzo. Pazzo viene da molti, tuttora, chiamato Gogol, uno dei grandi della grande letteratura russa, perché alla fine dei suoi giorni diede alle fiamme gran parte della sua opera. Si potrebbe continuare a lungo. In realtà il confine tra arte e ciò che si usa definire follia è sempre difficile da stabilire. Lo è particolarmente nel caso del «folle dell'arte» Vladimir Yakovlev. Il celebre chirurgo-oftalmologo Sviatoslav Fiodorov attraverso una complessa operazione ha ridato all'artista un po' di vista, o forse ha ritardato il suo definitivo sprofondare nella notte della cecità. Recentemente, però, un critico ha osservato: «I fiori dipinti da Yakovlev non esistono nella natura. Sono possenti e strani, carichi di un irresistibile impeto di vita. Non esistono in natura, ma devono essere, e sono, perché il pittore li ha visti. Si protendono verso i raggi del sole nascente o sono lussuriosamente immersi nella luce calda della sera. C'è una tale carica di amore nell'opera di Yakovlev, amore per la natura, il creato, la vita, da rendere superflua per lui l'esistenza di un modello». Un'esplosione di luce: così i critici russi tendono oggi a chiamare l'opera del «gobbo, cieco e schizofrenico» Yakovlev. «Folle dell'arte» sembra una definizione più giusta. Molti l'identificano con una sorta di uragano di amore per la vita. Vita come fenomeno misterioso e meraviglioso, o come dono di Dio, secondo le credenze di ciascuno. Irina Alberti

Luoghi citati: Mosca, New York, Russia, Urss