Fazzuoli passa a Raidue? di G. V.

Fazzuoli passa a Raidue? Fazzuoli passa a Raidue? Già da oggi «Verde Fazzuoli» scompare dai palinsesti di Telemontecarlo. Dopo la richiesta di risoluzione del contratto che lo lega come direttore di rete all'emittente di Cecchi Gori, Fazzuoli (nella foto) ha infatti deciso, in accordo con i suoi collaboratori, che «non ci sono più le condizioni per proseguire la trasmissione domenicale» in onda sull'emittente monegasca dal gennaio '94. Saltano così le due puntate già previste: quella di oggi e quella del 31 dicem¬ bre. Intanto, si intensificano le voci di un rientro del giornalista a viale Mazzini. E' noto, peraltro, l'interessamento nei suoi confronti del direttore di Raidue Gabriele La Porta, che nelle scorse settimane lo ha più volte incontrato, dichiarandosi pronto ad aprire una trattativa per portarlo sulla seconda rete Rai. A rallentare l'operazione, però, ci sarebbe il budget della seconda rete, non abbastanza cospicuo da sopportare un nuovo ingaggio. FORLÌ'. Fra piatti di coppa, di vitello tonnato, fra bocche voracissime, fra mani sapienti nell'impignare fette di salame tra due piadine, l'evento Pavarotti-Muti, per la prima volta insieme dopo la burrasche del «Don Carlo» scaligero del 1992 (ma il disco «live» riscatta quell'ombra), ha avuto la sua coda mondana per il «parterre» che aveva più generosamente pagato il biglietto. Una sorta di «dopo Scala» in spazi da anticamera degli spogliatoi e in un minestrone divistico che, nella richiesta d'autografi, accomunava Muti a Jovanotti, Pavarotti a Maria De Filippi, ad Andrea Bocelli, tenore prestato dalla lirica alla canzonetta. Nonostante l'ora, il pensiero del nebbioso viaggio per rincasare a Ravenna e il peso di un fitto carnet d'impegni (l'ultima recita del «Flauto magico» e le incisioni con la Filarmonica della Scala: i Preludi e le Sinfonie di Verdi), Muti, come Pavarotti, non si è sottratto al rito di questa passerella mondana che un po' faceva parte di quel che era stato offerto come occasione ai benefattori. E non lo ha fatto frettolosamente e con l'aria di chi ci è obbligato. Era raggiante. «Che bella serata. Che bella serata, vero?», continuava a dire e a chiedere. E spiegava che non si era posto alcun problema di rigore filologico o di fili conduttori culturali, musicali nell'aderire a un programma che, scelto da Pavarotti, proponeva arie raffinatissime, forse poco adatte all'acustica e alla vastità di uno stadio, come Gluck o le tre arie di Respighi, e un finalone popolaresco, tutto farcito di romanze di Tosti, con l'affondo di «'0 sole mio». «Perché avrei dovuto storcere il naso? - raccontava -. Il significato della serata e del programma stava nell'obiettivo: raccogliere soldi per la comunità di Sadurano, aiutare, con il nostro messaggio di solidarietà, quei ragazzi a sperare nella vita, a credere di potersi riagganciare alla vita, come ha detto Don Dario. Quanto a me, al pianoforte e al mio ruolo di accompagnatore, spero di avere suonato degnamente. Un tempo, una trentina d'anni fa, da allievo di Vincenzo Vitale, non ero un cattivo pianista. Anzi. Adesso lo suono solo per lavorare con i cantanti, per mettere a punto con loro e senza intermediari quel che desidero diano sul palcoscenico, quando sto sul podio. Comunque, ho accompagnato Pavarotti con passione e divertendomi, felice di essermi alleato a lui per dare una mano a don Dario e ai suoi ragazzi». [g. v.]

Luoghi citati: Forlì, Ravenna