Clifford, viaggio ai confini dell'identità

Clifford, viaggio ai confini dell'identità Clifford, viaggio ai confini dell'identità Marco Alme AI margini dell'antropologia», si intitola la raccolta di interviste a James Clifford edita da Meltemi. Già, i margini sembrano proprio essere il terreno prediletto di questo autore che si muove da anni tra antropologia, storia e critica letteraria, attraversando e spesso rimodellandone i confini disciplinari. Non a caso in una delle interviste dichiara: ((Apprezzo particolarmente le prospettive stratificate provenienti dalle "periferie" geopolitiche, dai luoghi "marginali" che l'etnografia ancora offre». Maestro di metafore Clifford ama creare giochi di specchi destabilizzanti, trasformando l'antropologia da presunto studi degli «altri» a critica culturale di noi stessi. Nel corso di cinque colloqui con interlocutori diversi, l'autore non solo ripercorre criticamente i suoi principali lavori, che hanno dato un contributo fondamentale alla moderna antropologia, ma ridefinisce le sue prospettive e risponde anche ad alcuni suoi critici. I mutamenti di stile, la giustapposizione di saggi apparentemente contradditori sono frutto di una scelta narrativa, che se da un lato tende a destabilizzare il lettore, che si aspetta una più «scientifica» linearità, dall'altro vuole smascherare la complessità, l'incoerenza, la dimensione di collage che le culture presentano. Senza per questo decretare la fine delle diversità o dei confini. Clifford è uomo molto attento alla politica e non si inerpica s . percorsi teorici, scordandosi le istanze terrene degli individui. Fa notare infatti che, seppure un con¬ cetto come quello di «identità» venga fortemente messo in crisi dagh studiosi, ciò non toghe che certe minoranze in lotta necessitino di un'identità forte per difendere le loro istanze. Sebbene bollato di postmodernismo, Clifford non sembra amare tale etichetta, troppo riduttiva, secondo lui e avverte il rischio di chi, più realista del re, finisce per ridurre la ricerca antropologica a pura testuahtà o a mero esercizio riflessivo. A volte è la sua abilità letteraria a indurre a lasciare in secondo piano l'analisi che sta dietro. I giochi di specchi e di metafore che spesso mette in piedi, possono depistare il lettore meno attento, ma sono in realtà deUe strategie narrative che vogliono restituire, non solo a livello didascalico, ma soprattutto in forma complessiva e multicentrica le tensioni che segnano i rapporti interni ed estemi di ogni cultura. Narrativa, anzi, narrative, al plurale, sembra essere la cifra più pregnante dell'opera di questo autore, dove con questo termine si intendono tutte quelle strategie rappresentative che le società mettono in atto nei confronti degli altri e di se stesse. Clifford è uomo di frontiere e sembra davvero trovarsi a proprio agio nelle zone di contatto, a cui adegua il suo sguardo, perché a differenza della prospettiva antropologica passata: «l'ottica di contatto comphca la relazione a somma zero tra tradizione e modernità». Forse, la metafora più bella della sua idea di cultura Clifford ce la dà descrivendo le palme dei giardini del Luxembourg, piantate dentro casse con i piedi di ferro. Hanno le radici, sì, piantate nella terra, anche, ma soUevate un po' dal terreno. Possono essere spostate. James Clifford Ai margini dell'antropologia Meltemi, pp. 115,212 I N T E R V S T E

Persone citate: James Clifford