LA SOLITUDINE DEI LEADER di Gianni Riotta
LA SOLITUDINE DEI LEADER LA SOLITUDINE DEI LEADER Gianni Riotta E5 terribilmente difficile per una democrazia andare in guerra. I dittatori, presto o tardi, cedono al richiamo delle armi, ma la società civile di un paese libero rilutta fino alla fine. E' dunque di portata storica la decisione, senza precedenti nel mètezo secolo di vita dell'Alleanza, dei diciannove paesi membri della Nato di considerare l'attacco al World Trade Center e al Pentagono, in America, come guerra. E a una dichiarazione di guerra ammonta la risoluzione congiunta del Congresso Usa, in discussione in queste ore. Scrive Tom Friedman sul New York Times: «Mi chiedo con angoscia: il mio paese si rende conto di essere entrato nella Terza Guerra Mondiale?». La risposta è sì: gli americani che donano UN CAPO SI VEDESono i momenti migliori test peFilippo Ceccarelli A PAsangue, che vanno di ospedale in ospedale a chiedere notizie dei propri cari dispersi, hanno capito di essere in guerra. E lo hanno capito i passeggeri del volo 93, come Jeremy Glick e Thomas Burnett, decidendo, dopo un libero voto, di attaccare i dirottatori per tentare di salvare i passeggeri. Non ce l'hanno fatta, ma - secondo le prime testimonianze - hanno risparmiato la Casa Bianca dalla distruzione finale. La domanda vera è: ha compreso il presidente George W. Bush che il suo paese è stato attaccato da un nemico potente, risoluto, ideologico, deciso a battersi a lungo, pagando prezzi straordinari, fino alla vittoria? E alla prima questione dobbiamo aggiungerne una seconda: è all'altezza del compito George W. Bush? Ha la fibra morale, il carisma, la fiducia in se stesso, la capacità strategica e la visione per guidare gli Stati Uniti e la Nato alla vittoria, in un conflitto non convenzionale? Dove non bastano i raid aerei come sui Balcani, ma ci sarà da battersi, da morire, da riuscire a pensare come pensa l'avversario, provando a separarlo dalla sua base, sottraendogli consenso non solo con le armi, ma anche con la politica e lo sviluppo economico globale? A giudicare dalla prima reazione del presidente Bush le risposte sono negative, o almeno scettiche. Un leader risponde à una tragedia in modo istintivo, a pelle, per dare alla comunità il senso di non essere allo sbando, ma di avere testa, NELLA CRISI di paura r i grandi GINA 6 cuore e anima a posto. Churchill che va in Parlamento a promettere «sangue, sudore e lacrime». Il re Giorgio che passeggia sulle rovine di Londra devastata dal blitz nazista incoraggiando le massaie: «Almeno non le hanno rotto i vetri!». Papa Pio XII che abbandona il Vaticano e si fa fotogrefare a braccia spalancate a San Lorenzo bombardata. Reagan ferito dall'attentato che scherza con la moglie Nancy, «Amore, mi son scordato di schivare, come un cowboy». Bush è apparso legnoso, incerto, nervoso, più pronto a parlare di «belle riunioni» che a ridare coraggio al paese. Il suo vicepresidente Dick Cheney che ha retto Washington nell'ora della crisi - lo difende e cerca di raddrizzarne l'immagine facendolo adesso apparire in tv più spesso possibile: c'erano minacce dirètte contro l'Air Force One. Il sindaco di New York Giuliani, che da martedì ha cancellato tut¬ ti i suoi guai lavorando senza soste con l'elmetto sulla calvizie, corre alla Cnn per dare forza a Bush. Oggi il presidente vola finalmente a New York: e sarà forse l'ultima occasione per dimostrarsi coraggioso e capace di piangere e consolare. Troppo spesso i leader occidentali, in Europa come negli Usa, si sono illusi che la politica si sia ridotta ormai solo a immagine e spot, che basti cavarsela con la tv per governare. Non è così. Se i paesi della Nato e tutti i paesi di buona volontà vogliono vincere la sfida a cui sono chiamati devono dimostrare che i propri valori, democrazia, giustizia, uguaglianza, sviluppo, sono superiori all'odio e alla violenza delle dittature oscurantiste. Non bastano più i maghi del look. Occorrono strategia, coraggio, spirito di sacrificio e ideali. L'America da sola non può risolvere la crisi in corso, ma senza l'America la battaglia è perduta prima di cominciare. George W. Bush affronta un dilemma strategico che la sua avventurosa elezione del 2000 non aveva previsto. Tanti leader sono cresciuti nel mezzo di un dramma. Adesso tocca a lui. L'America e la Nato hanno bisogno di un leader e gli offriranno un credito illimitato in queste prime ore. George W. Bush ha la responsabilità di non disperdere questo impegno e questo patrimonio. gianni.riotta@lastampa.it
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