Urla dalle macerie con i cellulari di Glauco Maggi

Urla dalle macerie con i cellulari Urla dalle macerie con i cellulari Trovate persone ancora vive, i volontari continuano a scavare reportage Glauco Maggi NEWYORK LE torri, il giorno dopo. Con le due più famose gemelle, le Twin Towers delle cartoline, alle 5 del pomeriggio di martedì ne è caduta una terza, di 60 piani, la torre numero 7. Anche il Marriott Hotel, che è proprio sotto la Torre Nord, non c'è più. Ed è impossibile dire quali e quanti altri edifici, tra quelli chiusi nel perimetro della morte, saranno dichiarati inagibili e demoliti nei prossimi giorni. Le testimonianze di poliziotti, pompieri e volontari, i soli che hanno potuto oltrepassare la barriera della polizia sulla 14a Strada, sono allucinanti: le strade hanno fino a mezzo metro di detriti e dove una volta sorgevano le due torri le operazioni di recupero non hanno tregua. Le speranze di salvare vite umàWSi"affievoliscono con il passare delle ore, ma l'altra notte si parlava di due persone e ièri addirittttfe-'di sai tì'hoVè'tJèrsdne; tira i quali pompieri e poliziotti. Miracoli della tecnologia delle telecomunicazioni hanno permesso alle vittime rimaste sepoltìè ma non schiacciate in quegli interstizi, che si formano quando ci sono crolli del genere, di lanciare disperati appelli con il telefonino. Urla dall'inferno nel gracchiare disperato, ma quel che conta è che là, sotto (ma chissà quanto sotto?) c'è un essere umano con il sangue freddo e la forza di usare il cellulare. Per questo bisogna continuare a scavare. «Non è ancora il tempo di pensare agli edifici-simbolo che sono caduti - ha detto il sindaco Rudolph Giuliani -; tutti i nostri sforzi sono rivolti a salvare quante più vite è possibile». L'organizzazione dei soccorsi ha una scaletta precisa, come ha illustrato un funzionario di polizia alla televisione. «Abbiamo tre problemi in agenda: primo, ci sono ancora incendi in molti palazzi; secondo, altri edifici sono in pericolo di crollo; terzo, stiamo nuotando in un mare di detriti, calcinacci, polvere, ma non possiamo ancora spazzare tutto con il bulldozer perché sappiamo di poter salvare altre vite e dobbiamo muoverci con cautela». I recuperati, non tutti da sotto terra ma feriti perché investiti dalle nuvole di fumo nero e pietrisco che si sono sprigionate nei ripetuti crolli, sono già diverse migliaia. La Croce Rossa e l'Esercito della Salvezza hanno allestito una ventina di punti di soccorso e continuano a trasmettere appelli per la donazione del sangue e l'offerta dei primi contributi finanziari . La cifra che gira sui ricoverati con gravi ustioni supera le 1600 persone e di queste pare che una maggioranza abbia ustioni per l'86 per cento del corpo. Quando ieri mattina alle 7,30 locali ho cercato di forzare il blocco esibendo il tesserino da giornalista rilasciato dalla polizia di New York ma soprattutto reclamando lo stato di abitante della zona maledetta per poter rientrare a casa mia, che è a 300 metri in linea d'aria dalle torri, sono stato respinto e invitato a raggiungere i centri di raccolta per sfollati organizzati un po' in tutta Manhattan, soprattutto nel Greenwich Village, a Soho, a Chelsea. L'altro giorno nel Greenwich ho affrontato l'esperienza del supermercato. Era sera quando ho cercato pane, latte, qualcosa da mangiare e non mi è andata male. Di pane non ce n'era più, cosa strana in città perché di solito i drag store ne hanno sempre una scorta e l'approvvigionamento non è rigorosamente quotidiano, ma i banconi erano ancora abbastanza riforniti di pasta, scatolette, carne e verdura. Ieri mattina di pane continuava a non essercene ed erano in calo le scorte dell'altra merce. Proprio lì, vicino al supermercato che è al limite estremo della zona di libera circolazione, ho in¬ contrato Bryan Jaseartich, 30 anni, l'elmetto e la tuta da pompiere sottobraccio: «Voglio fare il volontario», spiegava agli inflessibili poliziotti del posto di blocco. A noi ha detto: «Sono un vigile del fuoco volontario del New Jersey e non potevo non venire». Prima di scendere nella Subway, in lontananza, vedo un corteo di persone con l'elmetto che caniminano di buona lena verso Sud. E' in quella direzione che vanno tutti quegli uomini, ma la loro non è una manifestazione. Qui le cento persone in mezzo alla strada deserta che incrocio parlano fra loro sicure solo di quello che stanno per fare: «Sono un t'ron worker (un fabbro edile) - mi dice Greg Charles, che ha la cortesia di fermarsi -. Noi lavoriamo tutti a Columbus Chele. Il nostro mestiere è fare grattacieli, sappiamo co¬ me sono fatti, speriamo di servire a salvare qualcuno». La città è attraversata da drappelli di persone che vanno all'appuntamento con la speranza. La giornata è passata in un'atmosfera allucinata e febbrile: è come se la città trattenesse il fiato per non disturbare i soccorritori. In cambio ha qualche parola di incoraggiamento, ma con il contagocce. «Incredibilmente buono il vostro lavoro ieri» ha lodato pubblicamente poche ore fa medici ed infermieri il sindaco Giuliani. E non sono complimenti di maniera. Chi ha visitato di persona le corsie lo ha testimoniato con convinzione e ne parlavano anche alcuni fedeli davanti alla chiesa cattolica di Saint Luke's in The Fields, dopo la Messa del vespro, undici ore dalla fine dei crolli. «Non cediamo alla tentazione di demonizzazione delle persone o dei dei gruppi di persone. Non rispondiamo con l'odio ma solo con le armi di Dio e della preghiera» aveva detto poco prima il parroco al centinaio di persone inginocchiate. «La solidarietà verso le vittime e la dedizione nel curare presto e bene quelle salvate, come fanno i volontari e i medici, è il nostro dovere di oggi», traducevano il messaggio che era arrivato dal pulpito quelle stesse persone. Pregano e ringraziano i loro Santi in molti a New York. Le storie degli scampati si sovrappongono, 'si intersecano. Come Michelle Martolli, dipendente della Goldman Sachs, che era già sopravvissuta alla bomba nel World Trade Center del '93: quando ha visto il primo aereo, era al 62° piano e ha capito che doveva fuggire: si è salvata di nuovo. E Guy Tozzoli, ottantenne direttore della Wtca, l'assoijiazione mondiale dei World Trade Centers, stava per entrare nelle «sue» torri gemelle con lo staff per un meeting. E' stato fermato dal primo botto perciò non ha fatto neppure in tempo a metter piede nelle torri. Riccardo La Rosa, ingegnere di 29 anni italiano che da due mesi lavora in un ufficio della Molecolar, azienda di consulting poco lontano dalle due torri, ha mancato l'appuntamento con il destino quando era già fuori dal Path, il treno che porta chi abita nel New Jersey al Wtc. Uscito dai sotterranei della Subway, è rimasto impietrito dall'immagine del primo aereo che colpiva la Torre Nord. Non ha staccato gli occhi fino al secondo attacco. E poi ai crolli. Ma è ancora fra noi. Si raccontano tante storie di scampati: la donna che sfuggì alla bomba del '93 o l'ingegnere La Rosa che uscendo dal metrò ha visto quell'aereo arrivargli sulla testa «Intorno alla zona vietata nei supermercati non ho trovato il pane Sono uno sfollato come tanti altri qui a Down town, non posso tornare a casa» Ciò che resta delle Twin Towers A quasi quarantott'ore dall'attentato rimane il buio sul numero delle vittime, certamente migliaia

Luoghi citati: Columbus, Greenwich, Greenwich Village, Manhattan, New Jersey, New York