La morte di Giacomo Temperino il pioniere delle utilitarie (1908) di Carlo Moriondo

La morte di Giacomo Temperino il pioniere delle utilitarie (1908) La morte di Giacomo Temperino il pioniere delle utilitarie (1908) «Per tagliare primi il traguardo ci vuole una Temperino». Il motto fu inventato da un giornalista nel 1920, in occasione di una «Corsa napoleonica al Gran San Bernardo» in cui aveva trionfato la microscopica vettura torinese. Il ricordo — è passato più di mezzo secolo — richiama un sorriso sul volto di Secondo, l'ultimo sopravvissuto dello straordinario trio di fratelli che costruivano quelle automobili di cui i vecchi torinesi e gli appassionati di motori conservano memoria. Il penultimo — Giacomo, detto Gim, ottantaquatbr'anni — è morto ora a Borgiallo, paesetto nel cuore del Canavese, tra Castellamonte e Cuorgnè, da cui sono partiti per il mondo innumerevoli costruttori: di strade, di ferrovie, di intere città. Il padre dei Temperino era andato come impresario nel South Dakota, morì giovane lasciando con cinque bimbi la moglie, che si affrettò a tornare a Torino. Ed a Torino nacque la gloriosa avventura. Primi del secolo: la città si espande, trova in sé la forza di diventare capitale dell'industria. L'automobile è l'avvenire, nascono tante fabbriche, una collana di nomi storici, Fiat e Lancia, naturalmente, ma tutt'attorno la Seat e la Ceirano, la Diatto e l'Italia, la Lanza, l'Aquila, la Chribiri. E la Temperino dei tre fratelli Maurizio, Giacomo e Secondo, che ha per arguto stemma tre coltellini disposti a forma di triangolo. Studiavano da matti alle scuole serali; di giorno, olio di gomiti. Quasi tutto nasceva sotto le loro mani, in quell'of- ficinetta di via Ravenna: erano tre geniali ragazzi, sui vent'anni, con una tipica mentalità meccanica che li portava alle soluzioni più strane. Così, in un tempo — 1908 — in cui l'automobile, erede del cocchio, era un mastodonte, i tre misero sul mercato una pulce; una «due posti», 350 di cilindrata, velocità settanta all'ora, enorme consumo di benzina, ma allora il carburante costava pochissimo, quasi niente. In compenso era carissima quella vettura, fatta tutta a mano, per cui ogni prodotto era quasi un prototipo. Il prezzo era sulle ottodiecimila lire: una follia da nababbi, poiché un ottimo stipendio allora era sulle trecento, quattrocento lire al mese. Però possedere una macchina era una distinzione come è adesso il panfilo, e gli acquirenti — professionisti, grossi commercianti — non mancavano. La Temperino si ingrandì, giunse ad avere alcune centinaia di dipendenti, esportò persino in Russia ed in Gran Bretagna. Un esemplare andò a Giava. La fabbrica «tirava» in modo superbo, era un modello. Secondo Temperino ricorda ancora le visite di un signore alto, con la paglietta in testa, il virginia in bocca, di poche parole: veniva, osservava, faceva due domande, se ne andava. Era Giovanni Agnelli, che più volte chiamò i tre geniali fratelli a dare qualche consiglio tecnico. La guerra portò alcuni benefici economici, la successiva crisi annientò la maggior parte delle Case di automobili. Caddero ad una ad una, come foglie staccate da un albero: il tracollo venne con il fallimento della Banca di Sconto. L'ultimo tipo prodotto dai fratelli fu una spyder, nel '28: ancora due cilindri, ma di 800 ce. Da allora i Tempe¬ rino rimasero nel campo dell'auto (rimesse, accessori), ma non furono più fabbricanti. Com'era la Torino inizio del secolo? Risponde l'ultimo dei tre: «Non me ne ricordo. Passavamo il tempo a lavorare. Eravamo come matti, pensavamo solo ai nosìri motori, discussioni e disegni a non finire. Un entusiasmo, una passione, un amore della fatica che non ci saranno mai più». Carlo Moriondo Giacomo Temperino (a sinistra) sulla sua celebre vettura

Persone citate: Ceirano, Diatto, Giacomo Temperino, Giovanni Agnelli, Lanza, Temperino

Luoghi citati: Borgiallo, Castellamonte, Cuorgnè, Gran Bretagna, Italia, L'aquila, Russia, South Dakota, Torino