Quasi un avvenimento storico da 31 a 61 donne in Parlamento di Liliana Madeo

Quasi un avvenimento storico da 31 a 61 donne in Parlamento L'avanzata femminile alla Camera e al Senato Quasi un avvenimento storico da 31 a 61 donne in Parlamento Roma, 25 giugno. Sarà in grado il nuovo Parlamento di sferrare colpi decisivi al potere patriarcale, così da farlo almeno vacillare o da mettere in crisi la sua sopravvivenza? Le femministe intransigenti non prendono neanche in considerazione una tale domanda: per loro le istituzioni, la politica, la cultura dominante, sono espressione della supremazia dell'uomo, e — ritengono — non è combattendo all'interno di questi steccati, usando gli stessi strumenti dell'avversario, che le donne possono rivoluzionare lo stato di cose esistente e far vincere le loro istanze. Sul fronte opposto ci sono gli uomini, le segreterie di partito, gli apparati di potere. Essi, risultati elettorali alla mano, sfoderano una buona dose di ottimismo per quanto riguarda l'ipotesi di rinnovamento del nuovo Parlamento e il contributo che dalla rappresentanza femminile in esso può venire. Ecco le cifre. Nell'ultima legislatura le donne che sedevano alla Camera erano 25, e appena 6 al Senato. Nella prossima saranno rispettivamente 50 e 11 Quasi il doppio, quasi un avvenimento storico, dalle conseguenze ancora tutte da calcolare. Ma le cifre meritano una lettura più meditata. Le elettrici erano 21 milioni 300 mila, su un totale di 40 milioni 871 mila votanti. Quindi erano in maggioranza. Alle elezioni politiche del '72, su 8512 candidati solo il 3,5 per cento erano donne. Poi c'è stato il referendum sul divorzio, poi il 15 giugno. Quei risultati hanno fatto «scoprire» l'elettorato femminile, la sua autonomia di giudizio e volontà di cambiamento. Il fermento che ha agitato il mondo delle donne in questi ultimi anni ha avuto un'eco consistente sia nei temi della campagna elettorale appena conclusasi, sia nella rap- presentarla femminile inclusa nelle liste di voto. La de ha candidato 41 donne per la Camera e 6 per il Senato. Il partito socialista italiano 80 complessivamente. Democrazia proletaria 78. Il partito radicale il 55 per cento. Il partito comunista 136. Era un grosso gesto di buona volontà, che a taluni è parso strumentale, quasi l'esibizione di un fiore all'occhiello che — alla fine — sarebbe stato però travolto dalle logiche maschili di potere, dai collegi «sicuri», le indicazioni di voto, quei meccanismi insomma che garantiscono un partito nelle sue scelte di fondo rispetto agli umori del proprio elettorato. I risultati sono stati inferiori alle aspettative, e al gran parlare che si è fatto di «apertura alle donne» e «femminilizzazione dei partiti». Le poche decine di elette vanno messe a confronto col nume¬ ro globale dei deputati e dei senatori, rispettivamente 630 e 315. La de ha avuto 2 sena- i trici e 9 onorevoli (nella passata legislatura erano 2 e 7). Il psi una sola, alla Camera. Il partito radicale 2, su 4 eletti. Democrazia proletaria 1, su 4. Il partito repubblicano 1, su 14. Il pei 36 e 9 (erano 17 e 4): a conti fatti è il partito che meglio ha mantenuto | le promesse della vigilia, e con maggiore coerenza si ricollega alle legislature passate nelle quali portava in Parlamento il numero più elevato di donne (22 alla prima legislatura, contro le 4 socialiste e le 17 democristiane). Adriana Seroiii, responsabile della sezione femminile del pei, esprime la sua soddisfazione per questa avanzata femminile verso gli scranni del Parlamento. Rileva che le proprie elette hanno ottenuto ovunque una gran messe di voti, il che significa che c'è stato un confluire spontaneo e caratterizzante di preferenze su candidate donne. Dice che il numero delle parlamentari del Sud s'è triplicato, il che si può interpretare come una volontà delle donne meridionali di far giungere più direttamente la propria voce all'interno del Parlamento. Le voci di amarezza sono tante. L'onorevole Magnani Noya, l'unica parlamentare socialista, ammette: «hi effetti è un po' poco. Speravo passasse qualche altra compagna». Racconta che lei è risultata eletta per un atto di «disobbedienza» al partito: volevano candidarla al Senato, in un collegio dove il psi non è passato; si è battuta per ripresentarsi alla Camera e l'elettorato le ha dato ragione. L'onorevole Eletta Martini, democristiana, commenta: «Certamente il nuovo Parlamento non rappresenta a sufficienza il movimento di crescita e di presa di coscienza delle donne». Realisticamente Luciana Castellina, neo-eletta nelle liste di democrazia proletaria, riconosce: «Ne' questo né alcun altro Parlamento potrà esprimere le posizioni del movimento femminista». C'è il fatto numerico che gioca incontestabilmente contro ogni tono trionfalistico sulla composizione del nuovo Parlamento. C'è — per niente promettente — il tono con cui la maggior parte delle neo elette nelle prime dichiarazioni rilasciate parlano della loro futura attività: risolviamo i problemi della società che sono drammatici e impellenti, il resto viene dopo; il che significa relegare ancora una volta in soffitta le specifiche richieste di rinnovamento espresse dalle donne. D'altronde non è l'essere donna la garanzia di successo, o almeno di sostegno, per una linea a favore delle donne. Lo spiega benissimo Luciana Viviani, che è stata parlamentare comunista dalla prima alla quarta legislatura, e attualmente è dirigente dell'Unione donne italiane. Luciana Viviani racconta del primo Parlamento repubblicano, delle speranze, gli entusiasmi, le aspettative riposte nelle rappresentanti donne che per la prima volta entravano attivamente nella vita politica. «Poi — ammette — c'è stato il riflusso. E' diminuito il numero delle parlamentari. I partiti hanno incanalato la grossa spinta innovativa da noi rappresentata nei loro disegni generali. Le donne erano sempre presenti sì nei partiti e nel Parlamento, ed erano "ospiti scomodi" che sempre tornavano a battere certi tasti. Esse tuttavia non hanno avuto la forza di imporsi alle organizzazioni politiche. E' mancata loro la consapevolezza del proprio valore, la capacità di esercitare un potere all'interno dei loro partiti. Si sono fatte valere poco, insomma. Forse si sono sentite condizionate dal modello maschile. Forse ha pesato su di loro l'antica abitudine a delegare il comando all'uomo. Forse non sono psicologicamente attrezzate per usare gli stessi metodi di lotta instaurati dall'uomo: hanno rifiutato la competitività, l'intrigo, la disponibilità ad accaparrarsi connivenze o favori, e non si sono impegnate sino in fondo. E' successo così che gli uomini — già detentori di ogni potere — hanno fatto prevalere i loro interessi». Liliana Madeo Roma. Da sin., Emma Bonino (pr), M. Magnani Noya (psi)

Persone citate: Adriana Seroiii, Eletta Martini, Emma Bonino, Luciana Castellina, Luciana Viviani, M. Magnani Noya, Magnani Noya

Luoghi citati: Roma